CENNI SUL MEDIORIENTE
di Giovanni Bianchi
Disperati |
The Med
Credo che la cosa di cui più soffriamo sia l’assenza di un punto di
vista europeo sul Medioriente. Il Mediterraneo è diventato the Med (e non Mare nostrum) nell’ottica unificante
anglosassone. Quella che funziona anche in questo caso, non soltanto lessicale,
è dunque la logica imperiale Usa e quindi la logica della Nato. Una logica che
sempre più stride e confligge con l’esigenza che avrebbe l’Europa di elaborare
una propria linea di politica estera mediorientale, sia pure all’interno
dell’alleanza atlantica visto che si sentiva rassicurato da essa perfino Enrico
Berlinguer.
È infatti curioso che
la linea di divisione che ancora attraversa i paesi dell’Unione sia quella che
vede da una parte i “fondatori” e dall’altra l’infornata di paesi dell’ex
blocco sovietico che sono entrati prima nella Nato e poi in Europa, e sono
approdati nell’Unione pensando di andare in America…
Chi per tempo poneva
all’attenzione nelle sedi deputate la difficoltà di continuare a conciliare
logica tradizionale della Nato e logica della nuova Europa (tanto più dopo gli
ingressi favoriti da Romano Prodi) era Giulio Andreotti. E infatti pesa tuttora
in maniera fin troppo evidente la mancanza di una politica mediterranea della
UE. Abbiamo sprecato una grande
occasione di riflessione quando abbiamo rimosso la guerra – tutta europea – nei
Balcani Occidentali. Sarajevo forse nel cuore di qualcuno, come cantava la
canzone, ma non nella testa dei responsabili d’Europa. Dieci giorni prima dello scoppio delle
ostilità ero dal vescovo di Sarajevo mons. Pulic, al termine della grande
manifestazione dei pacifisti italiani guidati dalle Acli e dall’Arci di Tom
Benetollo. Il vescovo era molto inquieto e stizzito. Era di ritorno da un
santuario mariano della regione. Le ragioni del disappunto consistevano nel
fatto che alla cerimonia in onore della Madonna erano presenti gli islamici, ma
assenti gli ortodossi.
Giunse nel mezzo del
colloquio con il vescovo un inviato di Izetbegović che
ci invitò ad incontrare con urgenza il leader islamico, per la seconda volta
nella stessa giornata dal momento che già in mattinata gli avevamo fatto
visita.
Izetbegović
ci attendeva sulla scala del suo palazzo. Il suo messaggio fu sintetico e
drammatico: “Fate intervenire l’Onu. Qui salta tutto”! Ovviamente nessuno ci
dette retta e dieci giorni dopo quella che era stata per decenni con Tito una
convivenza riuscita si trasformò in un crudele mattatoio, facendo di Sarajevo
la città martire della Bosnia-Erzegovina.
Opulenti |
Prove di destabilizzazione
Un laboratorio di
successive prove di destabilizzazione e crudeltà, ivi inclusa la prima armata
internazionale islamica composta di reduci e transfughi afghani, libici e
caucasici.
Abbiamo rimosso la guerra
in Bosnia Erzegovina, con i suoi 250.000 morti, quasi fosse un problema
dell’impero turco. Continuiamo a scrivere sui nostri testi scolastici che le
guerre in Europa sono fortunatamente terminate nel 1945: l’ultimo fiume
insanguinato dal sangue fraterno europeo sarebbe il Reno conteso tra francesi e
tedeschi. Il Danubio e la Neretva non fanno parte della nostra geografia
politica. Abbiamo sprecato le primavere
arabe non essendoci impossessati in casa nostra dei rudimenti dell’alfabeto che
ci avrebbe consentito di leggerle. E adesso ci confrontiamo con Daesh. Le ipotesi di soluzione prevedono una nuova
geografia politica della regione. Dopo quattro anni e 250.000 morti (lo stesso
numero, per ora, della ex Jugoslavia) e milioni di feriti e di profughi, siamo
alle prese con migrazioni bibliche che ci trovano impreparati a gestirle.
Probabilmente la situazione più emblematica è ancora quella dell’Iraq, che non
esiste più in quanto Stato unitario.
L’ipotesi che si fa
strada infatti è quella di ridisegnare la geografia politica di tutta la
regione. Accanto al Kurdistan – che vede finalmente i curdi conquistare in
tanto caos uno scampolo di patria, con le truppe più combattive sul terreno
rappresentate dai peschmerga
– quelli che potremmo chiamare uno “Sciistan”
e un “Sunnistan”: insomma un trattato e una pace di Westfalia in salsa
islamica. Almeno gli studenti più diligenti ricorderanno i due trattati che a
partire dal 1644 per approdare al 1648 posero fine alla guerra dei trent’anni,
dopo una lunga e complessa serie di negoziati tra Impero, Svezia e Nazioni
Protestanti a Osnabrück (sede delle delegazioni protestanti) e tra Francia e
Impero a Münster (sede delle delegazioni cattoliche). Westfalia segnò la
decadenza della Spagna, accrebbe la potenza di Svezia e Francia e riconobbe
l’indipendenza delle Province Unite della Spagna e della Confederazione
Svizzera dall’Impero. Ratificò la fine delle guerre di religione in Europa
affermando l’ambito della libertà di coscienza (Google), a dimostrazione
storica che Religione e Stato sono in grado di incontrarsi, trattare e
addirittura commerciare tra di loro.
Disperati |
L’Islam
L’Islam c’entra? Sì,
l’Islam c’entra, e non solo perché terroristi e kamikaze urlano Allah Akbar, e non viva l’Iraq o la
Siria. Ma perché storicamente le religioni e gli Stati si occupano della
convivenza, sul piano privato come su quello pubblico, e in questi spazi
contendono tra loro. Le opportune forme di laicità, delle quali godono l’Europa
e gli Stati europei, sono un frutto storico, non piovuto dal cielo, ma
conquistato da cittadini, di differenti confessioni e diverse fazioni, che
hanno fatto progressivamente i conti con una religione e una coscienza civica
che sono venute chiarendosi e consolidandosi nel tempo, non senza costi gravi e
sanguinosi conflitti. Non c’entra il
Corano. Anche il Vangelo non c’entra: quello che usa e interpreta papa
Francesco, e che appare così stellarmente distante dalle crociate e
dall’Inquisizione.
Il cardinale Bellarmino
– il più autorevole teologo del suo secolo e il teorizzatore della Chiesa
cattolica in quanto societas perfecta
– era della medesima compagnia di Gesù dalla quale viene papa Francesco.
Bisogna dunque tornare
ad usare una scienza laicissima come l’ermeneutica: gli strumenti della
geopolitica e le analisi socioeconomiche della globalizzazione sono
indispensabili per intendere la complessità della fase, ma insufficienti.
Bisogna ritornare al
protestante Bonhoeffer – martire antinazista della Chiesa Confessante – che ci
ha insegnato a distinguere tra fede e religione. Perché la religione legittima
l’ethos e talvolta incorpora l’idolatria. E la fede ha il compito di
progressivamente purificare e purificarsi dalla religione. Perché l’idolo
uccide, come scrive la Bibbia. Qui si evidenzia l’assenza di un processo
culturale come quello compiuto dall’Europa illuministica. Qui anche il diritto
annaspa e mostra tutte le distanze che ci sono tra diverse concezioni della
donna, i diritti che le devono essere riconosciuti, con conseguenze che si
rivelano così spinose nella vita quotidiana. Si faceva sesso consenziente a
gogò anche a Trento-Sociologia o alla Statale di Capanna e Cafiero durante il
formidabile Sessantotto, ma non c’erano gli stupri di piazza Tahrir. E più
fatica a farsi strada l’idea dei diritti della donna (ma anche dei gay) nelle
masse cattoliche che in quelle laiche. A dimostrazione che un’etica di
cittadinanza, che implica un ulteriore processo di laicità, è costruzione
faticosa di tutte le parti, così come si è verificato nel nostro Paese.
Opulenti |
Panarabismo e panislamismo
Così pure va inteso il
passaggio che le politiche arabe hanno compiuto dal panarabismo al
panislamismo. Nasser, Saddam Hussein, ma anche Assad padre, si muovevano
nell’orbita del panarabismo e del partito Baath, che, come è risaputo, ha avuto
due fondatori: uno islamico ed uno cristiano.
Il panarabismo insieme
all’unità araba recuperava quella della nazione. Il panislamismo agita invece
la bandiera nera della Umma islamica. Il Baath aveva al suo interno un seme
patriottico e illuministico. Il panislamismo no. Così come ignora l’attitudine
negoziale.
La statistica qualche
volta sorregge il ragionamento. Per questo ricordo che nei decenni in cui le
Acli e l’Arci (con il silenzio favorevole della Farnesina di Andreotti)
invitavano in Italia il leader palestinese dell’OLP Arafat, tra i palestinesi i
cristiani raggiungevano il 12%; adesso sono l’1,2%, come informa padre Raed,
attivissimo responsabile della Caritas palestinese. I nodi tra religione e
politica chiedono di essere conosciuti e sciolti, proprio per la loro
complessità. E perché in qualche modo il
cammino verso la libertà e la democrazia delle popolazioni arabe non ci veda
dalla parte opposta della barricata.
Fanatici |
Le tappe difficili ma
necessarie verso “una comunità mondiale con un governo mondiale” (che era il
sogno esplicito di De Gasperi e Spinelli) chiedono questa consapevolezza
politica. All’Europa in particolare che, quando abbandona questo sogno
programmatico, finisce per regredire essa stessa. Se non conosci e non gestisci il limes europeo, se non lo rafforzi per
aprirlo all’accoglienza di rifugiati e profughi e migrantes (per ragioni
drammaticamente ambientali) finisci per regredire ai vecchi confini nazionali,
come infatti sta accadendo in molti Paesi Europei: i più egoisti perché meno
lucidi. Che vanno ripristinando e rafforzando e rilegittimando i vecchi confini
nazionali (che si stanno rivelando tutt’altro che superati) in nome della
paura, figlia della mancanza di progetto politico.
I confini dell’Europa
che amiamo non si abbattono, ma si allargano progressivamente, per ragioni
interne all’Europa medesima e per quelle che pone il disegno di un governo
mondiale. All’Onu nel dopoguerra e a Bretton Woods la pensavano così. Per
questo la nostra Costituzione è scritta in quel modo e continua a ricordarci
che l’Italia ripudia la guerra.
Per questo, se non
cammini avanti, non stai fermo, ma regredisci. (E il limes ti segue come un’ombra molesta nella marcia a ritroso.)
Vale per l’Europa e per
il mondo globalizzato.