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domenica 3 luglio 2016

CONVERSAZIONE CON BERNARDO NARDI
di Laura Margherita Volante



L.M.V.Bernardo Nardi, noto psichiatra, neurologo, dottore di ricerca, si è formato come psicoterapeuta con Vittorio F. Guidano. Docente di discipline psichiatriche e psicologiche dell'Università Politecnica delle Marche, direttore della Clinica di Psichiatria degli Ospedali Riuniti di Ancona, è responsabile del Centro Adolescenti per la Promozione dell'Agio Giovanile (DSM di Ancona) e presidente dell'Accademia dei Cognitivi della Marca”. Questa premessa sintetizza in breve lo studioso e il ricercatore, che non si è mai risparmiato per approfondire la struttura umana con tutte le sue sfaccettature: un poliedro complesso di specchi, come un labirinto dove ogni essere umano deve trovare la sua via di uscita, quella non sbagliata. La scelta di intraprendere tali studi e ricerche fin dalla giovane età a cosa è dovuta? Qual è stata la spinta verso questo campo di studi così ampio complesso imprevedibile?
B.N. Le vie della vita sono spesso imprevedibili e ti chiedono spesso di rivedere piani e progetti. Io ho comunque avvertito fin dal liceo la necessità di coniugare l’approccio umanistico alla persona con la curiosità scientifica per lo studio del cervello e della sua espressione più complessa e misteriosa, che è la mente.
L.M.V. Qual è il rapporto fra genetica e ambiente? Cosa incide maggiormente nello sviluppo di un bambino, il suo D.N.A. o l’ambiente in cui cresce?
B.N. Le neuroscienze hanno consentito di superare il vecchio dualismo ideologico tra ciò che è genetico e ciò che è appreso. I geni -nelle loro varianti polimorfiche- e l’ambiente interagiscono dialetticamente tutta la vita. L’epigenetica ci sta svelando sempre meglio come le esperienze emotivamente significative possono “accendere” o “spegnere” il funzionamento di singoli geni e, se questo accade in una donna incinta, questi cambiamenti funzionali avvengono anche nel feto. Insomma, i geni esprimono bene le loro risorse quando il soggetto può vivere in un ambiente affettivamente favorevole, e viceversa.
 L.M.V. Una delle malattie del nostro tempo è la depressione. Ci sono stati mutamenti sociali che hanno contribuito al dilagarsi di tale patologia oppure è l’ambiente stesso, le abitudini alimentari, le medicine che hanno in qualche modo prodotto anche un mutamento biologico?
B.N. Stiamo comprendendo sempre meglio (tolti i fattori organici, ormonali, farmacologici che possono modificare il tono dell’umore) che il modo in cui una persona, fin da piccola, impara a riferirsi le proprie esperienze significative è fondamentale nella costruzione del suo senso di sé e la spinge a cercare una continuità esperienziale anche nelle successive vicende cui va incontro. È importante condividere con un soggetto depresso che il senso negativo che ha di sé non è un destino (né tanto meno una colpa o una mancanza di impegno) ma è la conseguenza di una costruzione del senso di sé su un registro negativo, che può essere modificata lavorandoci insieme.
L.M.V. La depressione dell’adolescente è dovuta a ferite narcisistiche non risolte, a mancanza di figure competenti di riferimento o cosa?
B.N. Non esiste ovviamente un’unica spiegazione, ma l’origine della depressione va ricercata nel modo di assimilare l’esperienza della persona che abbiamo davanti. Cercare modelli “trasversali” esterni -rispetto all’unicità di ogni soggetto- per spiegarci una psicopatologia osservandola “da fuori” è un modo riduttivo e persino dannoso di procedere.


L.M.V. La costruzione dell’identità oggi con tutti i modelli bombardati dai mass-media hanno un effetto deleterio sugli adolescenti, con devianze di tipo comportamentale e relazionale. Come si dovrebbero approcciare i genitori, gli educatori, gli insegnanti per ristabilire una relazione costruttiva, educante senza aprire varchi al vuoto di autorità? L’esempio dei nostri nonni vale ancora?
B.N. Non esistono, come ho detto, formule facili o universali. Se mai possiamo sottolineare un aspetto: un genitore (o un educatore) che sa essere attento e sa accettare la propria unicità (senza confonderla e confrontarla con quella degli altri) parte col piede giusto per aiutare un nuovo individuo a scoprire e a valorizzare la sua unicità, insegnandogli ad integrarsi e a rispettare quella degli altri.
L.M.V. San Benedetto disse che dove non c’è dialogo non c’è amore; H. Maturana affermò l’amore come fondamento biologico in quanto esseri umani siamo neotenici, ma oggi gli esseri umano sono ancora in grado di amare?
B.N. Potremmo citare sant’Agostino che ha espresso un concetto sempre valido: conosciamo veramente solo ciò (e chi) siamo in grado di amare. E parlo di amore dialettico, rispettoso dell’unicità dell’altro, non di amore possessivo ed egocentrico.
L.M.V. Femminicidi. Cosa scatta nella mente di molti? La violenza ha assunto tinte fosche e inquietanti. La società odierna egotica narcisista individualista priva di coscienza morale ha generato un mondo di irrelati incapaci di qualsiasi abilità di risposa alle proprie coscienze?
B.N. È una tragedia che ci interpella tutti e che ci mette sotto gli occhi ciò che dicevo prima: cresciamo come persone e nella relazione con gli altri quando abbiamo la capacità di rispettare la nostra unicità e quella degli altri, senza confonderle. Troppo spesso non siamo in grado di distinguere il nostro “bene” da quello degli altri, ed è un problema di maturità affettiva, prima che di maturità cognitiva.
L.M.V. Il contributo delle neuroscienze quanto è importante per la conoscenza sui processi neurali alla base dell’ansia, che oggi fa parte di un fenomeno sociale trasversale? Quale la prevenzione e quali percorsi clinici oggi sono risolutivi in soggetti ansiogeni?
B.N. Le neuroscienze ci aiutano a far luce sui processi molecolari alla base dell’ansia, attraverso un meccanismo “dal basso verso l’alto”. Ma è indispensabile operare anche un percorso inverso, esplorando “dall’alto in basso” come il soggetto si riferisce e si spiega ciò che gli accade, producendo a volte ansia o depressione.
L.M.V. Normalità e disagio: qual è il confine? Oggi si può stabilire ciò che è normale oppure la normalità è una conquista, privilegio di pochi eletti o la fuga di molti come se fosse il non luogo del vivere? Lo squilibrio di certi soggetti è il loro equilibrio facendo macerie al loro passaggio. Come ci possiamo difendere e come aiutarli in un percorso pieno di insidie?
B.N. Potremmo uscire dal dilemma cercando di mettere a fuoco la capacità che un soggetto ha, sulla base delle sue risorse, di affrontare le sfide che gli propone l’ambiente in cui vive. E aiutare a crescere e a funzionare meglio è possibile se si guarda più alle risorse di cui dispone quel soggetto e sulle quali si può far leva, piuttosto che ai suoi difetti e alle sue disfunzioni.