CONVERSAZIONE CON BERNARDO NARDI
di Laura
Margherita Volante
L.M.V.“Bernardo Nardi, noto psichiatra, neurologo,
dottore di ricerca, si è formato come psicoterapeuta con Vittorio F. Guidano.
Docente di discipline psichiatriche e psicologiche dell'Università Politecnica
delle Marche, direttore della Clinica di Psichiatria degli Ospedali Riuniti di
Ancona, è responsabile del Centro Adolescenti per la Promozione dell'Agio
Giovanile (DSM di Ancona) e presidente dell'Accademia dei Cognitivi della Marca”. Questa premessa sintetizza in breve lo
studioso e il ricercatore, che non si è mai risparmiato per approfondire la
struttura umana con tutte le sue sfaccettature: un poliedro complesso di
specchi, come un labirinto dove ogni essere umano deve trovare la sua via di
uscita, quella non sbagliata. La scelta di intraprendere tali studi e ricerche
fin dalla giovane età a cosa è dovuta? Qual è stata la spinta verso questo
campo di studi così ampio complesso imprevedibile?
B.N.
Le
vie della vita sono spesso imprevedibili e ti chiedono spesso di rivedere piani
e progetti. Io ho comunque avvertito fin dal liceo la necessità di coniugare
l’approccio umanistico alla persona con la curiosità scientifica per lo studio
del cervello e della sua espressione più complessa e misteriosa, che è la
mente.
L.M.V.
Qual
è il rapporto fra genetica e ambiente? Cosa incide maggiormente nello sviluppo
di un bambino, il suo D.N.A. o l’ambiente in cui cresce?
B.N.
Le
neuroscienze hanno consentito di superare il vecchio dualismo ideologico tra ciò
che è genetico e ciò che è appreso. I geni -nelle loro varianti polimorfiche- e
l’ambiente interagiscono dialetticamente tutta la vita. L’epigenetica ci sta
svelando sempre meglio come le esperienze emotivamente significative possono
“accendere” o “spegnere” il funzionamento di singoli geni e, se questo accade
in una donna incinta, questi cambiamenti funzionali avvengono anche nel feto.
Insomma, i geni esprimono bene le loro risorse quando il soggetto può vivere in
un ambiente affettivamente favorevole, e viceversa.
L.M.V. Una delle malattie del
nostro tempo è la depressione. Ci sono stati mutamenti sociali che hanno
contribuito al dilagarsi di tale patologia oppure è l’ambiente stesso, le
abitudini alimentari, le medicine che hanno in qualche modo prodotto anche un
mutamento biologico?
B.N.
Stiamo
comprendendo sempre meglio (tolti i fattori organici, ormonali, farmacologici
che possono modificare il tono dell’umore) che il modo in cui una persona, fin
da piccola, impara a riferirsi le proprie esperienze significative è
fondamentale nella costruzione del suo senso di sé e la spinge a cercare una
continuità esperienziale anche nelle successive vicende cui va incontro. È importante
condividere con un soggetto depresso che il senso negativo che ha di sé non è un
destino (né tanto meno una colpa o una mancanza di impegno) ma è la conseguenza
di una costruzione del senso di sé su un registro negativo, che può essere modificata
lavorandoci insieme.
L.M.V.
La depressione dell’adolescente è dovuta a ferite narcisistiche non risolte, a
mancanza di figure competenti di riferimento o cosa?
B.N.
Non
esiste ovviamente un’unica spiegazione, ma l’origine della depressione va
ricercata nel modo di assimilare l’esperienza della persona che abbiamo
davanti. Cercare modelli “trasversali” esterni -rispetto all’unicità di ogni
soggetto- per spiegarci una psicopatologia osservandola “da fuori” è un modo
riduttivo e persino dannoso di procedere.
L.M.V.
La
costruzione dell’identità oggi con tutti i modelli bombardati dai mass-media
hanno un effetto deleterio sugli adolescenti, con devianze di tipo
comportamentale e relazionale. Come si dovrebbero approcciare i genitori, gli
educatori, gli insegnanti per ristabilire una relazione costruttiva, educante
senza aprire varchi al vuoto di autorità? L’esempio dei nostri nonni vale
ancora?
B.N.
Non
esistono, come ho detto, formule facili o universali. Se mai possiamo
sottolineare un aspetto: un genitore (o un educatore) che sa essere attento e
sa accettare la propria unicità (senza confonderla e confrontarla con quella
degli altri) parte col piede giusto per aiutare un nuovo individuo a scoprire e
a valorizzare la sua unicità, insegnandogli ad integrarsi e a rispettare quella
degli altri.
L.M.V.
San Benedetto disse che dove non c’è dialogo non c’è amore; H. Maturana affermò
l’amore come fondamento biologico in quanto esseri umani siamo neotenici, ma
oggi gli esseri umano sono ancora in grado di amare?
B.N.
Potremmo
citare sant’Agostino che ha espresso un concetto sempre valido: conosciamo
veramente solo ciò (e chi) siamo in grado di amare. E parlo di amore
dialettico, rispettoso dell’unicità dell’altro, non di amore possessivo ed
egocentrico.
L.M.V.
Femminicidi.
Cosa scatta nella mente di molti? La violenza ha assunto tinte fosche e
inquietanti. La società odierna egotica narcisista individualista priva di
coscienza morale ha generato un mondo di irrelati
incapaci di qualsiasi abilità di risposa alle proprie coscienze?
B.N.
È
una tragedia che ci interpella tutti e che ci mette sotto gli occhi ciò che
dicevo prima: cresciamo come persone e nella relazione con gli altri quando
abbiamo la capacità di rispettare la nostra unicità e quella degli altri, senza
confonderle. Troppo spesso non siamo in grado di distinguere il nostro “bene”
da quello degli altri, ed è un problema di maturità affettiva, prima che di
maturità cognitiva.
L.M.V.
Il
contributo delle neuroscienze quanto è importante per la conoscenza sui
processi neurali alla base dell’ansia, che oggi fa parte di un fenomeno sociale
trasversale? Quale la prevenzione e quali percorsi clinici oggi sono risolutivi
in soggetti ansiogeni?
B.N.
Le
neuroscienze ci aiutano a far luce sui processi molecolari alla base
dell’ansia, attraverso un meccanismo “dal basso verso l’alto”. Ma è
indispensabile operare anche un percorso inverso, esplorando “dall’alto in
basso” come il soggetto si riferisce e si spiega ciò che gli accade, producendo
a volte ansia o depressione.
L.M.V.
Normalità
e disagio: qual è il confine? Oggi si può stabilire ciò che è normale oppure la
normalità è una conquista, privilegio di pochi eletti o la fuga di molti come
se fosse il non luogo del vivere? Lo squilibrio di certi soggetti è il loro
equilibrio facendo macerie al loro passaggio. Come ci possiamo difendere e come
aiutarli in un percorso pieno di insidie?
B.N.
Potremmo
uscire dal dilemma cercando di mettere a fuoco la capacità che un soggetto ha,
sulla base delle sue risorse, di affrontare le sfide che gli propone l’ambiente
in cui vive. E aiutare a crescere e a funzionare meglio è possibile se si guarda
più alle risorse di cui dispone quel soggetto e sulle quali si può far leva,
piuttosto che ai suoi difetti e alle sue disfunzioni.