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giovedì 10 novembre 2016

TINA ANSELMI: TRA POLITICA E MORALITÀ
di Fulvio Papi

Tina Anselmi

Tina Anselmi da tempo era stata sottratta alla vita politica da una malattia che nei giorni scorsi ha avuto il suo epilogo. Un commentatore ha osservato che forse per Tina Anselmi è stato meglio così: non ha dovuto assistere ad un degrado addirittura incredibile, se non fosse vero,  delle istituzioni politiche in cui lei ha lavorato con l’impegno generoso e totale di chi dà tutte le proprie risorse per il bene pubblico. Ministro del lavoro, della sanità, e d’altro, presidente di commissione di indagine sul fenomeno mafioso, ha sempre lavorato in modo che gli effetti delle sue risoluzioni aumentassero la qualità della vita dei cittadini e riducessero le sacche di illegalità e di indigenza. Gli esperti ricordano che il suo modello di riforma della sanità costituiva un valore sociale fondamentale, superiore ad altri di paesi anche più sviluppati del nostro. Aveva interpretato le “pari opportunità” tra donne e uomini nell’unico modo in cui questa preposizione ha un senso positivo: alle donne deve essere garantito ogni accesso sociale che gli uomini svolgono con competenza e dignità, oltre all’ovvia salvaguardia della condizione femminile. Mi pare che, fatte salve le solite eccezioni, sia accaduto qualcosa che, se non è simmetricamente contrario, è tuttavia molto prossimo a questo esito. La scio ai lettori la determinazione delle diverse classificazioni che, mi limito ad aggiungere , le comparse televisive non fanno che peggiorare. Per vivere la politica, oltre che con lo studio e la competenza per i singoli problemi, è necessario, soprattutto, l’impegno morale che sollecita, come responsabilità morale, queste scelte. 

Tina Anselmi

Tina Anselmi era cattolica e forse (come notava Marco Revelli) avrebbe potuto chiamare la forma della sua esistenza una “chiamata”. Dal punto di vista dell’effetto sociale, della positività, del merito non cambia nulla. In questi giorni abbiamo, noi di “Odissea”, con memoria devota padre Turoldo. La terra d’origine era la stessa. Anche Tina Anselmi, nel Veneto, partecipò attivamente alla Resistenza. Ragazza di 16 o 17 anni si assunse il compito di “staffetta”. Allora non c’erano altre forme di collegamento tra una formazione e l’altra, spesso distanti e forse ignare dei piani e delle disposizioni l’una dell’altra. Tina portava come poteva, in bicicletta, a piedi, i messaggi ai vari gruppi partigiani. Alla mattina andava a scuola, al pomeriggio staffetta, alla sera compiti e lezioni, e la famiglia ignara di questa sua risoluzione che la metteva in pericolo totale. Il suo comandante partigiano, conosciuta la sua insistente disponibilità, le disse: “Se ti prendono prega che ti fucilino subito…”. Tina superò i posti di blocco ed eluse le pattuglie nazi-fasciste. Lavorò poi al sindacato, vicino ai problemi del lavoro e della gente che vive di salario. Poi divenne quella che oggi con ammirata considerazione noi (almeno un certo “noi”) sappiamo bene. E, visto che gran che non siamo più in grado di fare per riprendere il suo filo di esistenza e di moralità, possiamo consigliare la Televisione di dedicarle una trasmissione di storia. È il poco che la memoria può fare.   

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