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venerdì 3 febbraio 2017

LO SCRITTORE E LA VITA
di Angelo Gaccione

Angelo Gaccione (foto: AgiPress, 2017)

Dico subito che non sono un teorico, dunque non aspettatevi da me analisi sottili e tanto meno raffinate. Sono più modestamente uno scrittore, uno che osserva gli uomini nella loro concretezza, gli uomini come sono, non gli uomini come dovrebbero essere. L’uomo con la sua umanità e la sua perversione; la sua tenerezza e la sua ferocia; la sua compassione e la sua spietatezza; la sua solidarietà ed il suo egoismo; il suo bisogno di libertà e la sua pulsione ad opprimere; il suo atteggiamento di vittima ed il suo ruolo di carnefice; la sua generosità e la sua vigliaccheria; la sua moralità e la sua corruzione; il suo cuore puro e il suo cuore corrotto. L’uomo con i suoi enigmi, il suo sottosuolo “oscuro”, la sua natura molteplice e spesso insondabile di angelo e dèmone; di creatura pacifica ma dominata altresì, da un primordiale istinto criminale. Uno scrittore che maneggia sentimenti, che indaga l’agire degli uomini, i rapporti che li relazionano o li separano, in una parola: la vita.

Milano. Gaccione al Corteo del 1° Maggio 2015

Uno scrittore che mette al centro della sua riflessione la vita e ne celebra la difesa, non può non essere un libertario. Perché si oppone, o dovrebbe opporsi, a quanti l’esistenza, la vita, mortificano, annientano, umiliano, violentano. E quando dico vita, intendo vita in ogni sua forma.
Io sono dunque uno scrittore e sono un libertario. Ho detto libertario e non anarchico: possiedo una quantità considerevole di testi di autori anarchici; conosco il pensiero e le imprese del movimento in vari paesi del mondo; soprattutto conosco la loro condotta esemplare, il loro sacrificio, la vita spesa senza risarcimenti. So, inoltre, che non sono mai stati degli opportunisti, ed io non posso non amare questi uomini e queste donne, ed ecco perché davanti alla loro grandezza di giganti io mi sento un nano, e non mi ritengo alla loro altezza. Lasciate perciò che mi dichiari semplicemente un libertario, con le sue contraddizioni e le sue difficoltà. Per un libertario è ovvio, la libertà è fondamentale; e la storia ci dice che la libertà è sempre costata sangue, in ogni epoca e sotto ogni regime: sotto gli imperi e sotto le dittature, durante il feudalesimo mercantile e sotto ogni variante assunta dal capitalismo. In ogni epoca sono state le rivolte, le disubbidienze e le insurrezioni che hanno fatto avanzare la libertà; che le hanno aperto il varco. La libertà ha avuto quasi sempre un battesimo di sangue, tanto che possiamo affermare senza alcuna smentita, che non c’è stata finora libertà senza rivoluzione. Senza rivolte, disubbidienze e insurrezioni, non ci sarebbe oggi, nel mondo, alcuna libertà; la libertà semplicemente non esisterebbe. Possiamo disquisire sui metodi che le rivoluzioni possono assumere nelle società complesse e articolate come quelle contemporanee, ma per molti secoli non c’è stata via d’uscita, e ogni progresso sociale ha richiesto il suo battesimo di sangue. Se ne rammaricava Bakunin, che tuttavia era costretto a riconoscere che non era stato ancora inventato un mezzo di progresso più pacifico. I cannoneggiamenti, le fucilazioni, le forche, erano i metodi degli oppressori; i popoli non avevano che le mani nude. Obbedire allo staffile o morire: non c’era alternativa. 

Milano, Piazza della Scala 5 giugno 2014
Gaccione protesta contro il massacro degli alberi
assieme a vari Comitati.
Nella foto col cartello Luigi Caroli

Vogliamo ricordare a chi ci legge, che sono venuti prima le ingiustizie, l’oppressione, il servaggio, le disuguaglianze, le persecuzioni, lo schiavismo, il saccheggio, l’assoluta mancanza di diritti e di libertà; dopo, ma solo molto dopo, è venuta la rivoluzione come risposta necessaria, obbligata, contro chi calpestava la vita e umiliava gli uomini. La rivoluzione ha dovuto a lungo subire prima di dispiegarsi. Ha dovuto sopportare molto sangue prima di farsi a sua volta sanguinaria. Il terrore lo hanno cominciato i governi e gli Stati, non i sudditi o i cittadini. Le guerre le hanno cominciate i governi, gli Stati e le classi dominanti, non i sudditi o i cittadini. Non è possibile trovare alcuna bilancia su cui soppesare i genocidi, le distruzioni, le ecatombe prodotti dagli Stati (fascisti, comunisti, capitalisti o teocratici) nel corso della storia. Non ve ne sono. I delitti commessi dagli Stati non potranno essere giammai eguagliati dai delitti commessi dagli individui. Gli Stati hanno assassinato e assassinano in modo indiscriminato: sono verità incontrovertibili. Quando i popoli e gli individui si sono rivoltati è stato perché nessun’altra via era più possibile.


A chi è spogliato di tutto restano le armi”; non è stato né Marx né Bakunin a scrivere questa frase, ma il poeta satirico latino Giovenale, più di diciassette secoli prima.
Dal punto di vista di quella che io chiamo difesa della vita nelle sue molteplici forme e delle risorse, gli Stati (fascisti, comunisti, capitalisti e teocratici) si equivalgono; dal punto di vista dei morti il capitalismo ne ha fatti di più, se non altro perché la sua parabola storica è molto più lunga, dura da più tempo. Dunque l’anarchismo non ha nulla da imparare da essi. Dal punto di vista morale l’anarchismo è enormemente superiore: fonda i suoi principi sulla solidarietà e la libertà, e non scinde queste due istanze dal bene prezioso dell’uguaglianza. Senza uguaglianza le democrazie sono monche; senza uguaglianza le élites al potere si impossessano dei beni pubblici; fanno valere il loro peso economico nei confronti dei cittadini privi di risorse; schiacciano chiunque li voglia portare in giudizio, anzi, chi non ne possiede i mezzi economici non può neppure adire alle vie legali; tutelano i loro privilegi e condizionano le scelte dell’esecutivo con una pletora di giuristi, tecnici, lobbies fra le più varie. Le società liberali e capitaliste hanno portato i loro paesi alla guerra contro la schiacciante volontà dei loro popoli e in spregio ad ogni legalità, e la democrazia viene messa sotto i piedi con tracotanza, ogni qual volta “la volontà” dei governi e degli Stati, confligge con gli interessi dei cittadini.  
Da tempo oramai, nelle società liberali, il diritto di voto è diventato un voto senza diritti, e le cricche al governo sono divenute delle oscene consorterie che si destreggiano fra scandali e ruberie.

Milano, 27 giugno 2014 Gaccione con Morandini
(foto: Fabiano Braccini)

L’anarchismo è moralmente superiore perché pone al primo posto la vita degli esseri umani senza distinzioni di razze, di religioni, di tendenze sessuali; non esiste pensiero più tollerante di quello libertario. Perché non comprende l’idea di guerra, di eserciti, di corpi speciali, di servizi segreti, di segreti di stato. Una società libertaria abolirebbe immediatamente tutta questa criminosa zavorra e userebbe le risorse per eliminare la povertà, per favorire l’educazione, per tutelare le tre risorse fondamentali dell’esistenza (aria, acqua e suolo) oggi minacciate da un uso mercificatorio e rapinoso da parte del capitalismo liberale e dai regimi imperanti in ogni dove.
L’anarchismo è superiore perché non è, per sua fortuna, né una scienza né un sistema; è molto di più: è un metodo e un’esperienza pratica di vita e di lotta, fra i più umani fra quelli finora conosciuti. Un metodo che risiede nelle mani di coloro che agiscono e lo mettono in pratica, non sta al di fuori di essi, non è delegato a corpi separati ed estranei. Un metodo denso di contenuti, di proposte concrete, di istanze fattibili qui e ora.  


Il capitalismo ha vinto? Io non ne sono del tutto sicuro. Ad ogni sua crisi sono le finanze pubbliche, cioè il sangue dei cittadini, a rianimarlo dal coma. Questo sangue tiene in vita banche e aziende, perché la logica del mercato selvaggio che pone il capitalismo in una guerra perenne e sleale, ne fa il teatro di quello che si svolge nel fondo del mare: il pesce grande divora il più piccolo. E senza sensi di colpa e di pietà per i suoi stessi membri: per chi fallisce, fa bancarotta, si toglie la vita. Non mi pare proprio che questa logica sia moralmente superiore a quella anarchica. Al contrario, mai come in questo tempo di fallimenti dei sistemi sul piano planetario, c’è bisogno di un’etica libertaria, di innervare le sue istanze migliori in queste società, per impedire che tutto venga ridotto a merce ed a consumo. Ho scritto una volta che la società consumista è per sua natura una società cannibalica, dopo aver divorato la natura mangerà se stessa. È questo che vogliamo? O vogliamo invece riconciliarci con la natura e le sue risorse, preservando per le generazioni che ci succederanno un ambiente in cui è possibile continuare a vivere? La logica dei capitalismi è quella derivata dalla concezione disumana della nobiltà francese riassunta nella celebre frase: “Dopo di noi il diluvio”. 

Milano. Gaccione alla libreria "La Tramite" di Porta Romana
col libraio Giancarlo Benzoni

No, un libertario questo non può accettarlo né permetterlo. La nostra visione della vita non è uguale alla loro, ecco perché dobbiamo fare in modo che le rivoluzioni (ce ne saranno in ogni tempo perché dove c’è oppressione ci sarà rivolta) siano quanto più umane possibili, clementi e compassionevoli soprattutto con i nemici. Certo non si potrà impedire che i più odiosi e criminali cadano sotto la furia dei primi momenti, ma dobbiamo sempre ricordare che non sono i corpi che devono sparire nelle costruzioni di società più giuste, ma le funzioni che rendono gli uomini oppressori e malvagi. Le liquidazioni a freddo non appartengono alle idee libertarie, è questa la nostra diversità. Ho più volte scritto, in età più giovane, che la complessità delle società moderne si regge sul consenso volontario di massa; ne sono vieppiù convinto. La disubbidienza generalizzata e di massa e la non collaborazione attiva, sono metodi molto più efficaci ed umani per piegare qualsiasi regime. I dominatori potranno produrre del sangue con la repressione, ma non potranno prevalere sullo sdegno popolare, sul senso di umanità, sulla determinazione e la volontà di uomini e donne disposte a cambiare le cose.  

Milano, Centro Culturale Candide" Gaccione col filosofo Escobar
(Foto: Giovanni Bonomo)

Dunque anarchismo o barbarie, questo possiamo affermarlo con decisione. Il paradosso delle democrazie liberali, soprattutto in tempo di crisi, è che si trovano davanti ad un bivio piuttosto serio per sopravvivere come tali: accogliere alcuni contenuti del pensiero libertario, o piegarsi ad orrende e disumane conversioni. In passato è prevalsa questa seconda via. L’abbraccio mortale con il nazifascismo e le dittature militari, sono lì a dimostrarlo.