IL
SIMBOLISMO MAGNETICO DI FABIO STRINATI
di Laura
Margherita Volante
Fabio Strinati |
“Cercare di definire la musica è un po’ come
cercare di definire la poesia: si tratta cioè di un’operazione felicemente
impossibile. La musica è tutto quello che si ascolta con l’intenzione di
ascoltare musica: la ricerca di un confine che viene continuamente rimosso.”(1)
“Spesso si trova più poesia nella prosa che
nella poesia stessa e più musica nel linguaggio parlato e nel rumore che nei
suoni musicali convenzionali”. (2)
(Luciano Berio)
Come il grande compositore Luciano Berio,
nella sua ricerca artistica, è riuscito a connettere vari linguaggi espressivi
realizzando la sua opera multipolare, frutto di idee ed esperienze, cosi Fabio
Strinati ha intrapreso un percorso artistico musicale e poetico ove l’uno si
introietta nell’altro. Se per Luciano Berio lo spartito musicale carpiva il
linguaggio della letteratura, per Fabio Strinati la situazione si capovolge,
ovvero la poesia viaggia sui righi dello spartito musicale. Infatti, il Nostro ha
iniziato fin da adolescente a seguire la sua grande passione, la musica. I suoi
studi febbrili sono stati indirizzati al genere classico su una pianola Roland.
Guidato dal maestro Fabrizio Ottaviucci ha partecipato a vari concorsi come
compositore e pianista. Ma la sua anima curiosa e sensibile lo ha condotto
verso il genere letterario, soprattutto per la poesia. La parola si fa poesia
narrata musicalmente e come tale vola sulle corde impalpabili dell’anima. La
vita è mistero e il mistero si fa vita e vitale con i suoni della Natura e i
suoi silenzi, un diesis o un bemolle. La passione arde passando dalle note
incalzanti di Bolero di Ravel alla dolce malinconia romantica di Chopin. “Quel vento stava componendo una musica
meravigliosa, / uno di quei brani, dove il pianoforte nel cielo/avrebbe suonato
una musica struggente, mercuriale…” In un susseguirsi di ansie di assoluto,
di ricerca di pace, di ferite narcisistiche, fra Eros e Thanatos, la sua opera poetica è tutta un fluire di
voci, sulle corde vocali dell’anima, strumento musicale che non tradisce
emozioni sentimenti verità. Nasce una poesia elevata in un linguaggio
espressivo che si staglia in un viaggio umano di voli arresti paure sogni
angosce. “L’urlo rappresenta l’orrore di una gioventù che vuole morire giovane…/di una
fanciullezza che si esprime attraverso/il suo stato d’animo confuso,/in un
altrettanto futuro confuso.” Ecco che nel suo poemetto “Dal proprio nido alla vita”, sua seconda
opera dopo “Pensieri nello scrigno”,
riaffiorano attraverso una forte simbologia classica il mito di Peter Pan, di
Icaro, di Narciso fino a fondersi nel giovane di oggi, in un’eco ossessiva, eh
sì, è Eco che chiama, ma Narciso non ascolta, deve morire per rinascere Ninfea,
e il morire è dolore, è uno strappo dell’animo in quello struggente desiderio
di essere una rondine; infatti, il poema ha il suo incipit in “Ho sempre desiderato essere una rondine”, quella
rondine che vuole emigrare, per tornare poi al suo rassicurante nido dopo
l’esperienza dell’ignoto, un salto nel buio che divide e unisce. E
l’ispirazione avviene per il nostro poeta dalla lettura di “Miracolo a
Piombino”, scrittura coinvolgente di Gordiano Lupi, per un giovane che
invaghito, non solo esplora la storia di Marco e il piccione, ma anche le pieghe
della propria anima per affrontare il più complesso compito di sviluppo, il passaggio
da ragazzo a uomo, in una speranza disperata di crescita e di maturazione
interiore. Nel poemetto di Strinati avanzano i ricordi, in questa delicata operazione
di crescita e di evoluzione. E proprio la rondine diventa la rosa dei venti a
scandire non solo la direzione dei ricordi, ma anche le stagioni del tempo. Un
tempo antico che si fa presenza nel ricordo di quando bambino non era in
ascolto anche se la rondine gli parlava suonando stanche melodie.
La copertina del libro |
“La maturità è quel succoso frutto appeso
all’albero…” “…Tutto si muove e si ferma, attraverso un’esperienza maturata nel
tempo!”.Tra le caratteristiche del comportamento della rondine che hanno
colpito l’immaginario degli antichi spiccano sia il tipo di canto, stridulo e
assillante, sia il fatto che la rondine si spinga a costruire il nido a ridosso
delle case. Il canto è interpretato come lamento di dolore, e in tal senso la
rondine è caricata di un significato negativo, malinconico, quasi lugubre. Nell’ottica
principale del mito, il pianto della rondine si configura come il lamento di
una supplice che invoca scampo e protezione. In effetti la rondine è un essere
a un tempo vicino e lontano, presente e inafferrabile e già gli antichi avevano
notato alcuni particolari che rendono quest'uccello diverso dagli altri.
Plinio, nella "Naturalis Historia" era colpito dal fatto che questo
animale si nutre in volo senza posarsi, che è l'unico uccello carnivoro
sprovvisto di artigli. "A San
Benedetto la prima rondine sul
tetto". Questo proverbio, di contro, offre un'immagine portatrice di
gioia e di belle sorprese: descrive un nostos (ritorno), quello della rondine
e, quindi, della primavera e, come ogni nostos, propone la fiducia nella ciclicità
degli eventi, evidenzia una natura benigna che mantiene gli appuntamenti con
gli uomini per riscattarli dai disagi patiti. Ecco che Fabio Strinati fra simbolismo,
contraddizioni, in una forte tensione di tesi/antitesi è alla ricerca di una
sintesi che vada oltre la dimensione terrena.“Dal proprio nido alla vita”, dunque, già nel titolo c’è la
combinazione segreta per tornare a vivere tra i ricordi ciclici e mutevoli dove
l’uomo è solo dalla fanciullezza alla maturità. Ognuno cammina solo per volare
disperato a cercare altri lidi, per osare altre avventure, disavventure se pure
quello fosse il prezzo per tornare vivo senza quel dolore acuto, narcisistico.
Dopo ogni inverno una primavera, dopo ogni morte una resurrezione.“Quanto è profondo il cielo?…Il cielo
esiste per non dimenticare quanto è grande il mare”. Così i ricordi
l’oblio la solitudine l’incanto l’ignoto lo smarrimento il sogno il risveglio
sono l’alchimia per la trasformazione dal buio alla luce, dalla cecità alla
visione. “E’ impossibile non ricordare,
quando si è soli, nel bel mezzo di un cielo siderale che ti sputa in faccia
tutta la verità”. “Dal proprio nido alla vita” è un poemetto ricco di fotografie in bianco e
nero, che riproducono immagini della natura fra cielo, alberi e boschi di alto
fusto, i fili della luce con rondini pronte a partire e, per concludere, una
grossa tela di ragno, dove, in un lungo poetico surreale racconto, l’anima
s’invola. “Il treno ha fischiato”, il
cui richiamo pirandelliano e la partenza per altri lidi provocano un dolore
acuto, il dolore della solitudine, perché ognuno cammina solo e questo è il
prezzo da pagare per crescere attraverso un viaggio interiore, fra malinconia e
nostalgia di un’infanzia perduta, per ritrovare la strada di casa. Il centro vitale
è forse e ovunque nella saggezza acquisita, che conduce al viale dei cipressi
verso l’ultima spiaggia di silenzi per volare nel vento oltre quella siepe
oltre quella linea che divide il mare dal cielo. L’invisibile ignoto fa
scendere da quel treno di ferro anche l’ultimo fantasma. La giovane età del
musicista e poeta Fabio Strinati, poco più che trentenne, non gli impediscono
una forma d’arte elevata, agli inizi di un percorso artistico promettente di
successi e di affermazione.
1) Intervista sulla musica
libro uscito nel 1981, nato da una conversazione tra il compositore e la
musicologa Rossana Dalmonte (e che vede la sua seconda edizione nel 2011 per i
tipi di Laterza)
2) Da Thema (omaggio a
Joyce), 1958