Pagine

martedì 4 aprile 2017

Perché la comunicazione di Donald Trump funziona
di Gian Paolo Rossi

Tutte le semplificazioni mirano direttamente alla pancia, alle parti basse, e colgono sempre nel segno. I demagoghi di ogni risma lo sanno bene e fanno la loro fortuna. Essere vigili significa non cadere nella trappola; usare il pensiero ed il ragionamento profondo è un antidoto ma non basta, può valere per le menti raffinate e avvezze alla speculazione intellettuale. Ma bisogna sapere che le crisi azzerano qualunque raffinatezza intellettuale: è sempre la lotta che chiarisce le cose, e soprattutto mostra da che parte stanno i dominatori.
Questo scritto ci dà una traccia della mentalità americana e di come la semplificazione può essere pericolosa se non se ne prende coscienza. 




La comunicazione di Donald Trump è spesso criticata e si presta continuamente all’ironia e alla satira. Eppure ha funzionato, perché proprio grazie al suo modo di comunicare, contro tutto e tutti, è stato eletto Presidente degli Stati Uniti. Infatti le elezioni negli Stati Uniti, come anche in Italia, si vincono ancora attraverso la televisione. Trump incarna l’apologia del vincente che è fortemente radicata nel DNA degli americani. Basti pensare al discorso del Generale Patton il giorno prima del D-Day “Gli americani amano i vincitori. Gli americani non sopportano i perdenti. Gli americani giocano sempre per vincere. Ecco perché gli americani non hanno mai perso e mai perderanno una guerra; perché l’idea stessa di perdere è insopportabile per un americano”. Il Generale non parla di Libertà, Democrazia, Pace, Lotta alle dittature. Parla di Vittoria.
E pensiamo poi alla filmografia americana, a partire da John Wayne che davanti al Chinese Theatre dove tutte le star lasciarono le impronte delle mani e dei piedi nel cemento fresco lasciò l’impronta degli stivali e del pugno, per poi arrivare a Rocky, Rambo e i Die Hard di Bruce Willis. Donald Trump è un imprenditore vincente che comunica come i personaggi dei film, con una sbruffonaggine sincera che fa simpatia, perché lo rende vicino alle persone comuni. Non è l’eroe algido e lontano ma una persona che ha incarnato l’American dream e che parla con semplicità, senza paura di essere giudicato in quanto consapevole di essere un grande. Così come i personaggi interpretati da John Wayne nei dialoghi non erano politicamente corretti, così anche Trump nel politicamente scorretto guadagna quella spontaneità, che è associata da chi ascolta alla verità, che lo rende ulteriormente vicino all’elettore. Tutto sommato sono discorsi da bar e proprio perché “bassi”, arrivano. E dato che tutto il mondo, compresa l’Italia, ha importato con la cinematografia americana anche i modelli e i valori americani, qui da noi Silvio Berlusconi ha vinto le elezioni utilizzando inconsapevolmente gli stessi driver, diventando così il precursore di Donald Trump.
Al contrario, Renzi ha pagato l’atteggiamento arrogante del vincente parvenu che ha acquistato nei suoi ultimi mesi di presidenza del Consiglio, che lo hanno allontanato dagli elettori trasformandolo da visionario ad antipatico. Ed è proprio perché le leve su cui fa perno la comunicazione di Donald Trump riecheggiano dal passato che lo slogan “Make America Great Again” diventa efficace, proprio grazie alla parola “again”.