Pagine

sabato 1 aprile 2017

Teatro
LE BESTIE SOVRUMANE DI EMMA DANTE
di Leonardo Filaseta

Una foto dello spettacolo

Dal 28/2 al 19/3 allo Strehler di Milano si è visto “Bestie di scena” di E. Dante. Spettacolo vigoroso e spiazzante, lacerante i cardini dell’umano e del suo specchio visivo teatrale. Tende all’estremo la corda delle possibilità-potenzialità ginnico-coreutiche ed espressive degli attori. Una comunità di spaesati, o tanti Adamo ed Eva profughi dal paradiso, secondo la regista. E' un balzo fuori dal tempo o in quello del mito, con attori nudi e quindi fuori da ogni cultura: ubiqui e senza parola. E quindi senza narrazione, alle origini del teatro: anno zero. Appena entrati li troviamo già tutti – per romper del tutto i canoni teatrali – in un training dal ritmo cadenzato e uniforme, per poi esplodere in una libera espressione di gesti e umori. Non narrazione: solo apparente. Infatti il linguaggio del corpo incisivo, prepotente, evocativo che ne risulta – materiato di salutari passeggiate all’unisono, giochi con la palla, danze e lotte – ci memora nell’essenza la fiaba (o l’avventura) della nostra pia aspirazione ad umanizzarci. Una comunità che, dopo le timidi esitazioni, ed epifanie di vergogna, si scioglie e pesta i piedi – si fa per dire – con piglio ribaldo: ognuno teso ad inscrivere un sigillo del suo tema identitario. Nella terra alla nascita, aurorale, i bestiali o bruti (non brutali) ci sollevano nell’area del possibile – impossibile e dell’inverosimile: spinti da un’energia sovrumana, abbrancati dal vento del cielo. Lo scimmione deflagra nel suo indiavolato rimbalzo, l’acrobata capriola come una piuma al vento, ci incatenano la ballerina sulle punte quale stelo volatile e la donna che gioca con la gemella – manichino in un duo statuario (sì, alla Michelangelo). Si alternano momenti di cavernicoli giocosi, rivelati all’acme con l’unico inserto musicale sbarazzino e musical di Only you dei Platters, con coinvolgimento puerile dell’ilarità del pubblico e momenti di tensione drammatica come l’improvviso fulminare di petardi che sconcerta tutti con spasimo e fuggi fuggi.
In bilanciamento dei due poli, momenti di quotidianità come il pranzo con noccioline, il lavarsi con secchiate d’acqua e successiva pulizia dei pavimenti, l’inchiodare di listelli di legno, sempre uniti e compatti… Un altro motivo di giocondità e armonia sognante è la comparsa magica di un bambolotto di plastica che canta il girotondo. Non evocano una comunità ideale di indigeni molto vicini alla conquista della parola come fa il buffo scimmione con borborigmi e gracchiare?Una visone di fondo aleggia – da prima alba del mondo? – che ribalta il nostro mondo esaltando quello denudato e innocente e ancestrale da recuperare. Finito l’imbarazzo iniziale ci si sente parte, si consuona. Perché il gruppo, primitivo o decaduto dal paradiso che sia, ci trascina in una festa dirompente con accelerati ritmi e sorprendenti creazioni come nell’apoteosi finale che scatena le capacità individuali nel turbinio collettivo. Ci mettono una vibrazione come una orchestra impazzita. Anzi, vibranti e con gli occhi luminosi e perforanti, ci avvinghiano i solidarietà a loro eroico manifesto culturale: anche noi denudati e sollevati nell’aria del possibile e della poesia. Rinvigoriti dalla pienezza vivificante di un teatro inedito come concepito da un altro pianeta e riverberato da esuberanza e baldanza e grazia indemoniata: sigillo irradiante di Emma. E come sempre nelle sue opere c’è anche il sacro e l’enigmatico che ci penetra direttamente nell’anima, aprendoci le finestre del cuore a una beatitudine metafisica, in una comunione più intima con noi stessi. Con “Le sorelle Macaluso” costituisce un punto stellare della produzione matura, con svolta dirompente nel linguaggio teatrale dell’ultimo mezzo secolo. Alla lontana può evocare, almeno agli spiriti sintonizzati con i sismi spirituali del secolo, l’eco del brivido cosmico della sagra della primavera di Stravinskj: un brivido da coreuti senza musica, meno barbarico, emergente dal Dna di Emma radicato nell’arcaico Mediterraneo e insufflato della sua tenerezza femminile.