Teatro
LE
BESTIE SOVRUMANE DI EMMA DANTE
di Leonardo
Filaseta
Una foto dello spettacolo |
Dal 28/2 al 19/3
allo Strehler di Milano si è visto “Bestie
di scena” di E. Dante. Spettacolo vigoroso e spiazzante, lacerante i
cardini dell’umano e del suo specchio visivo teatrale. Tende all’estremo la
corda delle possibilità-potenzialità ginnico-coreutiche ed espressive degli
attori. Una comunità di spaesati, o tanti Adamo ed Eva profughi dal paradiso, secondo la regista. E' un balzo fuori dal tempo o in quello
del mito, con attori nudi e quindi fuori da ogni cultura: ubiqui e senza
parola. E quindi senza narrazione, alle origini del teatro: anno zero. Appena
entrati li troviamo già tutti – per romper del tutto i canoni teatrali – in un
training dal ritmo cadenzato e uniforme, per poi esplodere in una libera
espressione di gesti e umori. Non narrazione: solo apparente. Infatti il
linguaggio del corpo
incisivo, prepotente, evocativo che ne risulta – materiato di salutari passeggiate
all’unisono, giochi con la palla, danze e lotte – ci memora nell’essenza la
fiaba (o l’avventura) della nostra pia aspirazione
ad umanizzarci. Una comunità che, dopo le timidi esitazioni, ed epifanie di
vergogna, si scioglie e pesta i piedi – si fa per dire – con piglio ribaldo:
ognuno teso ad inscrivere un sigillo del suo tema identitario. Nella terra alla
nascita, aurorale, i bestiali o bruti (non brutali) ci sollevano nell’area del
possibile – impossibile e dell’inverosimile: spinti da un’energia sovrumana,
abbrancati dal vento del cielo. Lo scimmione deflagra nel suo indiavolato
rimbalzo, l’acrobata capriola come una piuma al vento, ci incatenano la
ballerina sulle punte quale stelo volatile e la donna che gioca con la gemella
– manichino in un duo statuario (sì, alla Michelangelo). Si alternano momenti
di cavernicoli giocosi, rivelati all’acme con l’unico inserto musicale sbarazzino
e musical di Only you dei Platters, con coinvolgimento puerile dell’ilarità del
pubblico e momenti di tensione drammatica come l’improvviso fulminare di petardi
che sconcerta tutti con spasimo e fuggi fuggi.
In
bilanciamento dei due poli, momenti di quotidianità come il pranzo con noccioline,
il lavarsi con secchiate d’acqua e successiva pulizia dei pavimenti, l’inchiodare
di listelli di legno, sempre uniti e compatti… Un altro motivo di giocondità e
armonia sognante è la comparsa magica di un bambolotto di plastica che canta il
girotondo. Non evocano una comunità ideale di indigeni molto vicini alla
conquista della parola come fa il buffo scimmione con borborigmi e gracchiare?Una
visone di fondo aleggia – da prima alba del mondo? – che ribalta il nostro
mondo esaltando quello denudato e innocente e ancestrale da recuperare. Finito
l’imbarazzo iniziale ci si sente parte, si consuona. Perché il gruppo,
primitivo o decaduto dal paradiso che sia, ci trascina in una festa dirompente
con accelerati ritmi e sorprendenti creazioni come nell’apoteosi finale che
scatena le capacità individuali nel turbinio collettivo. Ci mettono una
vibrazione come una orchestra impazzita. Anzi, vibranti e con gli occhi
luminosi e perforanti, ci avvinghiano i solidarietà a loro eroico manifesto
culturale: anche noi denudati e sollevati nell’aria del possibile e della
poesia. Rinvigoriti dalla pienezza vivificante di un teatro inedito come
concepito da un altro pianeta e riverberato da esuberanza e baldanza e grazia
indemoniata: sigillo irradiante di Emma. E come sempre nelle sue opere c’è
anche il sacro e l’enigmatico che ci penetra direttamente nell’anima, aprendoci
le finestre del cuore a una beatitudine metafisica, in una comunione più intima
con noi stessi. Con “Le sorelle Macaluso”
costituisce un punto stellare della produzione matura, con svolta dirompente
nel linguaggio teatrale dell’ultimo mezzo secolo. Alla lontana può evocare, almeno
agli spiriti sintonizzati con i sismi spirituali del secolo, l’eco del brivido
cosmico della sagra della primavera di Stravinskj: un brivido da coreuti senza
musica, meno barbarico, emergente dal Dna di Emma radicato nell’arcaico
Mediterraneo e insufflato della sua tenerezza femminile.