Energia per l'Italia
Appello al Governo
Conferenza Nazionale sul
Cambiamento Climatico
“Agisci
come se quello che fai facesse la differenza. Lo fa.”
William James
Siamo un gruppo di docenti e
ricercatori dell’Università e dei Centri di ricerca di Bologna che sentono il
dovere di dare un contributo, attraverso la condivisione di conoscenze e
informazioni scientificamente corrette, per superare le difficoltà poste dal
cambiamento climatico nel nostro Paese. Per questo motivo abbiamo deciso di
inviare una lettera aperta al Presidente del Consiglio ed ai Ministri
competenti e di lanciare un appello al Governo affinché i problemi dovuti al
cambiamento climatico vengano urgentemente discussi in una Conferenza Nazionale
al fine di mettere in atto appropriati interventi di mitigazione e di
adattamento. Dopo mesi di siccità, temperature ben più alte della media
stagionale, ghiacciai che si sciolgono, foreste che vanno in fumo, chi può
dubitare che il cambiamento climatico sia già oggi un problema che colpisce
duramente l’Italia? Il nostro Paese, collocato in mezzo al Mediterraneo, è uno
dei punti più critici del pianeta in termini di cambiamento climatico, fenomeno
globale dovuto principalmente alle emissioni di gas serra causate dalle
attività umane.
L’ultimo rapporto dell’IPCC (Intergovernamental Panel on
Climate Change) prevede un aumento in
frequenza ed intensità degli
eventi estremi e incrementi della temperatura media per fine secolo ben
superiori al valore di 2°C, obiettivo degli accordi di Parigi. Non è certo da
oggi che si parla di cambiamento climatico in atto nel nostro Paese, ma solo un
governo, nell’ormai lontano 2007, ha pensato di dedicare a questo tema
strategico una Conferenza Nazionale. Da allora la situazione è molto peggiorata
ma, paradossalmente, si fa sempre meno per porvi rimedio. Eppure non c’è
settore economico e sociale che non sia colpito (se non addirittura sconvolto)
dal cambiamento climatico: l’agricoltura, fortemente danneggiata dalla siccità;
la sanità, che deve far fronte agli effetti diretti (canicola, inquinamento
atmosferico) e indiretti (nuovi vettori di malattie) che mettono in pericolo la
salute della popolazione; il turismo invernale, che non può più contare sulla
neve naturale, e quello estivo, danneggiato dalla erosione delle spiagge; il
territorio, degradato da disastri idrogeologici (frane, alluvioni) che hanno
forti conseguenze sulla abitabilità e sulla viabilità; gli ecosistemi,
devastati dal cambiamento climatico; le città che, come Roma, hanno gravi
difficoltà di approvvigionamento idrico.
In altri
paesi c’è una forte presa di coscienza sul problema del cambiamento climatico.
Ad esempio in Germania un recente sondaggio pre-elettorale ha mostrato che
circa il 71% degli interpellati è preoccupato dal cambiamento climatico più che
dalla possibilità che si verifichino nuovi attacchi terroristici (63%). In
Francia, la notizia che le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno sono
già state tutte consumate prima del 2 agosto (Earth overshoot day) è stata
riportata in prima pagina da Le Monde e commentata in un lungo video dal
ministro della Transition écologique et solidaire, Nicolas Hulot.
Come da
molto tempo affermano gli scienziati e come è stato unanimemente riconosciuto
nella Conferenza di Parigi del 2015, il cambiamento climatico è principalmente
causato dall’uso dei combustibili fossili che producono anidride carbonica e altri
gas serra. In Italia, in media ogni persona ogni anno provoca l’emissione di
gas serra per una quantità equivalente a sette tonnellate di anidride
carbonica. Gran parte di queste emissioni non possono essere addebitate
direttamente ai singoli cittadini poiché sono l’inevitabile conseguenza di
decisioni politico-amministrative errate, a vari livelli. Ad esempio: le scelte
urbanistiche (uso del territorio e localizzazione dei servizi) da parte dei
comuni e delle regioni; le decisioni prese in tema di mobilità locale,
regionale e nazionale che, direttamente o indirettamente, favoriscono l’uso
dell’auto; gli incentivi, diretti ed indiretti, alla ricerca, estrazione,
trasporto (spesso da regioni molto
remote) e commercio dei combustibili fossili; la costruzione di infrastrutture
superflue o addirittura inutili (autostrade, gasdotti, supermercati); la
mancanza di una politica che imponga o almeno privilegi il trasporto merci su
rotaia; le limitazioni e gli ostacoli burocratici che frenano lo sviluppo delle
energie rinnovabili; gli incentivi alla produzione e consumo di carne; la
mancanza di una politica culturale che incoraggi la riduzione dei consumi e
l’eliminazione degli sprechi.
Nel nostro
Paese sembra che molti settori della politica, dell’economia e dell’informazione
abbiano gli occhi rivolti al passato e siano quindi incapaci di capire che oggi
siamo di fronte a problemi ineludibili con cui è necessario e urgente
confrontarsi: le risorse del pianeta sono limitate e limitato è anche lo spazio
in cui collocare i rifiuti, l’uso dei combustibili fossili va rapidamente
abbandonato e altrettanto rapidamente è necessario sviluppare le energie
rinnovabili. Se non si tengono ferme queste realtà, si finisce per procedere
con decisioni scollegate e perfino contrastanti che non portano ad alcun
risultato. Ad esempio, si afferma di voler diminuire l’inquinamento e le
emissioni di anidride carbonica e poi ci si rallegra perché aumenta il PIL
grazie alle vendita di un numero di automobili maggiore del previsto. Si fanno convegni
sull’economia circolare e sulla sostenibilità ecologica e sociale, ma si
continuano a progettare discariche e inceneritori, si chiudono le fabbriche di
autobus e si incoraggia la produzione di SUV lussuosi e potenti, vere icone del
consumismo e delle disuguaglianze cha a parole tutti dicono di voler
combattere. Ci si ostina ad estrarre dal nostro suolo e dai nostri mari
quantità marginali di combustibili fossili con l’impiego di un numero sempre
minore di persone e si frena lo sviluppo delle energie rinnovabili capaci di
portare molta occupazione nel settore manifatturiero. Se puntassimo seriamente
sulla messa in atto di una politica di mitigazione e adattamento climatico
avremmo grandi benefici: aumento dell’occupazione, minori costi per emergenze e
calamità naturali, minori spese sanitarie e un miglioramento nella bilancia
commerciale (minori importazioni di combustibili fossili).
Nella Strategia
Energetica Nazionale e nei piani di sviluppo dell’ENI si parla della necessità di passare dall’uso dei combustibili
fossili a quello delle energie rinnovabili, ma questa transizione è collocata
in un futuro non ben definito e comunque lontano, che sarà possibile
raggiungere, si dice, solo aumentando il consumo di metano. Si parla anche
della necessità di sviluppare la produzione di biocombustibili, ignorando che
nel settore dei trasporti si va verso un mondo “elettrico” perché l’efficienza
di conversione dei fotoni del sole tramite la filiera che dal fotovoltaico
porta alle auto elettriche è almeno 50 volte maggiore dell’efficienza della
filiera basata sulla produzione e uso di biocombustibili. Nel frattempo, mentre
Volkswagen adotta lo slogan “Think New” e lancia auto e miniautobus elettrici,
osserviamo increduli che quella che era la “nostra” grande industria
automobilistica (FCA) si ostina a produrre automobili tradizionali che fra non
molti anni saranno fuori mercato.
Bisogna
anche rendersi conto che la transizione dall’uso dei combustibili fossili a
quello delle energie rinnovabili, pur essendo una condizione necessaria, non è
di per sé sufficiente per mitigare il cambiamento climatico e tanto meno per
costruire un futuro sostenibile. E’ indispensabile anche ridurre il consumo di
energia e di ogni altra risorsa, particolarmente nei paesi sviluppati come il nostro
dove regna lo spreco. Attualmente, un cittadino europeo usa in media 6.000 watt
di potenza, mentre negli anni ’60 la potenza pro capite usata in Europa era di
2000 watt per persona, corrispondenti ad una quantità di energia sufficiente
per soddisfare tutte le necessità. La Svizzera nel maggio scorso ha approvato
con un referendum un piano energetico per ridurre i consumi pro capite da 6000
watt attuali a 2000 watt entro il 2050. Ci piaccia o no, anche noi saremo
chiamati a mettere in atto misure di questo tipo. È anche importante capire che
la riduzione dei consumi non può essere basata solo su un aumento di efficienza
delle “cose” che usiamo (automobili, condizionatori, lampade ecc.), perché in
tal caso può verificarsi l’effetto rebound
(rimbalzo): una persona quando risparmia denaro per l’aumento di efficienza
delle cose che usa è portata a spendere quel risparmio in altri modi, causando
ulteriori consumi.
Prima di puntare su aumenti di efficienza delle “cose” che
usiamo, è necessario diffondere una cultura della sufficienza per far sì che le
persone diventino consapevoli dei vantaggi di vivere in un modo sobrio,
riducendo l’uso delle “cose” stesse. La sobrietà è uno degli elementi
fondamentali per il successo di adeguate politiche di mitigazione e adattamento
climatico. Chiediamo ai colleghi delle Università e Centri di ricerca italiani
e a tutti i cittadini che condividono quanto sopra riportato di firmare questo
appello sul sito energiaperlitalia
per stimolare il Governo ad organizzare una Conferenza Nazionale sul cambiamento
climatico e a mettere in atto i provvedimenti necessari.
Il Comitato Promotore
Firmate l'Appello
http://www.energiaperlitalia.it/91-2/
http://www.energiaperlitalia.it/91-2/