OMAGGIO ALLA CATALOGNA
di Franco Astengo
Questo testo contiene
semplicemente un piccolo frammento del primo capitolo del celebre Omaggio alla Catalogna scritto da George
Orwell nel 1938 di ritorno dall’aver militato nelle fila repubblicane nella
guerra civile di Spagna. S’intende con questa microscopica operazione di
semplice copiatura rendere nuovamente, in questi tempi difficili e drammatici,
un omaggio alla Catalogna: non si dispone delle conoscenze e delle capacità per
entrare nel merito della vicenda che, in queste ore, sta mettendo alla prova
l’intero tessuto democratico della Spagna. Un presunto tessuto democratico
quello spagnolo che si dimostra ancora in una fase di transizione dal mai
dimenticato franchismo, con il ritorno in prima linea da protagonista del
regime della Guardia Civil. Esiste però, in questo frangente, l’emergere di una
faglia che neppure Rokkan ha inserito nei suoi testi fondamentali riguardanti i
cleavages politici (vi si parla di centro/periferia): la linea di demarcazione
tra monarchia e repubblica.
La Catalogna
soffrì soprattutto durante la guerra civile e in seguito per essersi dimostrata
fieramente repubblicana (anche per altri fattori, beninteso, che non debbono
essere dimenticati come quello della forte presenza anarchica e di marxisti non
osservanti rispetto al regime stalinista dell’URSS: basti ricordare le vicende
del POUM).
La divisione
Monarchia/Repubblica attraversa ancora il tessuto politico e sociale e si
tratta di una divisione per la quale è naturale ancor oggi prendere posizione.
Si tratta della grande divisione storica per la sinistra che non può che essere
repubblicana, al di là dei momentanei tatticismi che pure fanno parte della
storia e che non possono essere negati, come l’insieme delle contraddizioni che
emergono sempre nei grandi passaggi epocali.
“L’esprit republicain” però: sempre e
comunque, al di sopra di tutto. Ecco poche righe da Orwell:
“[..] Le bandiere rosse di Barcellona, le sparute
tradotte cariche di soldati male in arnese che si trascinavano a fatica verso
il fronte, le cittadine grigie e più avanti sconvolte dalla guerra, le trincee
fangose e gelate sulle montagne. Era la fine di dicembre del 1936, neanche
sette mesi fa, eppure è un periodo che si è già allontanato a un’enorme distanza
dal passato. Gli eventi successivi l’hanno cancellato ancor più completamente
di quanto abbiamo cancellato il 1935 o addirittura il 1905. Ero arrivato in
Spagna con la vaga idea di scrivere articoli per la stampa, ma poi mi ero
arruolato quasi subito nella milizia, perché in quel momento e in
quell’atmosfera sembrava l’unica cosa concepibile da fare. Gli anarchici
mantenevano ancora il virtuale controllo della Catalogna e la rivoluzione era
ancora in pieno corso. Qualcuno che fosse stato lì sin dall’inizio forse
avrebbe avuto già a dicembre e a gennaio che il periodo rivoluzionario stesse
finendo, ma se si era appena arrivati dall’Inghilterra bastava guardarsi
attorno a Barcellona per essere sorpresi e soggiogati. Era la prima volta che
mi trovavo in una città dove la classe operaia era saldamente in sella.
Praticamente tutti gli edifici,
piccoli o grandi che fossero, erano stati occupati dagli operai ed erano
pavesati di bandiere rosse o di quelle rossonere degli anarchici; su ogni muro
c’erano disegnati falci e martelli e le sigle dei partiti rivoluzionari...”.
Questo
soltanto per semplice testimonianza di un altro “assalto al cielo” da non
dimenticare anche oggi in tempi apparentemente così diversi.