IL RAPPORTO CON
L’ASSOLUTO ATTRAVERSO L’ARTE
L’etica della bellezza
di Milli Martinelli
Tiziano. Flora |
Ho sempre avuto la percezione che
l’etica non fosse mai scissa dall’estetica e che, se non si ha fede, il senso alla
vita lo si trovasse solo nel “bello”: nella perfezione dell’arte o nello
splendore della natura. Parlo della bellezza che ti manda in estasi. E i
principi di valore, pensavo, vi sono connessi, e non possono essere che
assoluti. Una percezione maturata nel corso della vita quando, a volte, mi
incantavo di fronte a un’espressione di bellezza, e sfioravo l’ebbrezza della
felicità pura: un senso di perfezione spirituale, che certo svaniva presto. Ma
senza arrivare a questi rari incantamenti, ciò che mi circondava e mi appariva
bello mi ha sempre ravvivato lo spirito, perché vi percepivo il bene. Intendo
per bello non solo “ciò che piace” ma ciò che reca in sé il fascino
dell’armonia, come la grande musica, o le antiche strutture architettoniche, o
anche la grande poesia e la grande narrativa se ciò che leggo rimette in moto
gli ingranaggi della ragione e quelli dell’emozione, suscitando un’inebriante
eccitazione della mente.
Chiunque,
ateo o agnostico o religioso, ha provato, credo, momenti di perfezione spirituale,
la percezione del divino, di fronte a un’intensa emozione estetica che è anche
scoperta di “giustezza”. Di “bene”. Che dunque non può essere scissa
dall’etica.
Ma non
riuscivo a trovare robusti argomenti per sostenere il mio convincimento sul
valore assoluto dell’Etica e della Bellezza. Mi scontravo sempre con chi è
convinto che tutto è relativo.
«Ciò che è
bene per me, non è bene per te»; e a questa pseudo ovvietà non trovavo mai
parole convincenti per dimostrare il “vero” dei principi di valore. «La tua
verità non è la mia verità...». A me pare che la verità, se è tale, è una sola,
nota o ignota che sia, altrimenti si tratta di convinzioni personali.
Giorgione. Allegoria |
I principi
etici, almeno nei Paesi occidentali, dove la “Dichiarazione Universale dei
Diritti dell’Uomo”, fondamento della Rivoluzione francese e poi
dell’Illuminismo, comparsa sulle Carte costituzionali di tutti i Paesi europei
dopo la sconfitta del fascismo e del nazismo, dovrebbero essere assoluti e noti
a tutti, anche se sono ampiamente disattesi.
Tutte le
persone “cresciute” sanno cos’è bene e cos’è male. Il rispetto della persona
contiene in sé tutta la scala di valori. Il rispetto dell’altro è l’unico
limite imposto dall’etica (laica) alla libertà di coscienza di ciascuno e al
rispetto che ognuno deve a tutti.
È chiaro che
l’etica dei Paesi democratici non ha niente a che vedere con l’ethos dei Paesi
etnocratici, che si basa su tradizioni arcaiche e sui costumi che ne derivano,
anche se – quei costumi – è giusto rispettarli.
Dostoevskij |
Fino a un
certo punto della storia questa esigenza si rifletteva nell’esperienza
religiosa. Ma «con la “morte di dio” l’orientamento – sostiene Tsvetan Todorov
– è mutato, e l’esigenza di assoluto si riflette nella scoperta della
bellezza». Il suo ultimo libro s’intitola, nella versione italiana, La bellezza salverà il mondo: [1]
espressione usurata, ripetuta a proposito e a sproposito da essere diventata un
luogo comune. Qui però conserva esattamente il significato che hanno le parole
del principe Myskin quando ci trasmette il messaggio del suo autore. [2] Ecco
l’opera di uno studioso eclettico che affronta il tema della bellezza. Il
titolo originale è Les aventuriers de
l’absolue. Io, qui, ho trovato confortanti conferme e soprattutto “ragioni”
sul valore assoluto della bellezza e dell’etica. Curiosamente e confusamente,
proprio questo mi ha indotto a cercare analogie, sui “valori assoluti”, ne L’uomo in rivolta di Albert Camus. [3] E
ho iniziato con questi due scrittori, così lontani fra loro, un percorso
tortuoso ma bellissimo. Sorprendentemente, la tesi conclusiva di Camus sul
“rivoltoso” che è in noi coincide con la conclusione di Todorov sull’“esteta”
che è in noi, nonostante gli opposti percorsi, perché nell’etica trovi la
bellezza, e nella bellezza, il bene.
Todorov |
«Il rivoltoso
è l’uomo che dice no», sostiene Camus, l’uomo che pone una barriera
all’arbitrio del potere politico ed economico, che non accetta di rinunciare a
un principio di giustizia per il quale è disposto a sacrificarsi. Ciò che è
“buono” ha sempre in sé la sua particolare bellezza.
E nella
bellezza, quella di cui parla Todorov, che faceva dire al “sublime Idiota”: «La
bellezza salverà il mondo», è sempre presente il “buono”. L’autore stesso definisce
questa simbolica reincarnazione del Cristo che è il principe Myskin, un “uomo
bello”. Il grande scrittore russo, che è anche un profondissimo pensatore (del
suo pensiero si sono giovate la filosofia moderna, la psicologia, la
psicanalisi), comunica al lettore, malgrado l’impietoso realismo dei suoi
romanzi, un immenso amore per la vita e fede nella perfettibilità dell’Essere
Umano, il cui modello supremo è il Cristo, del quale non si pone mai il
problema della divinità. Del resto Lui non ha alcun bisogno di essere fi glio
di Dio, se non come lo è ogni uomo. Il principio divino è nell’uomo, nella sua
capacità d’amore e nella sua capacità di creare la “bellezza”.
Nella sua
indagine sulla bellezza, Todorov rintraccia i diversi generi e le svariate
concezioni e valutazioni a partire dal senso che le attribuivano i dandyes, i
“poeti maledetti”, i romantici, per soffermarsi in particolare su Oscar Wilde,
Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva, che alla bellezza e alla perfezione
avevano asservito l’arte: descrive l’infelicità dei loro destini, concludendo
che la tensione estetica, la ricerca del bello, in loro non era sostenuta da
una necessità etica. E giunge alla conclusione che solo la scoperta della
“Bellezza” assoluta – cioè del bello non disgiunto dall’etica – è ciò che
accende nell’uomo un’ebbrezza mistica.
Camus |
Oscar Wilde soltanto
nel bello trova degna la vita, e possibile l’arte poetica: si circonda di
oggetti raffinati, scrive commedie e racconti manierati, frequenta solo gente
illustre, vuole essere “apostolo del bello”. E però «l’estasi estetica
destituita di morale può anche essere l’incendio di Nerone», [4] e ricorda la
tragedia dello scrittore, già famoso, vittima delle suggestioni e della falsa
morale del suo tempo, che conclude la propria vita due anni dopo l’orrore del
carcere subìto per omosessualità, lontano dal suo amante, «incarnazione della
bellezza», e non è più in grado di rintracciare alcun valore estetico nei
luoghi dove si reca, scontata la pena, né, dunque, un motivo di vera
ispirazione. Il suo senso del “bello” era solo estetismo. «Meglio fare un’opera
della propria vita, piuttosto che scrivere un’opera e vivere senza bellezza»,
fa dire al suo personaggio più famoso, Dorian Gray. Anche Rilke, considerato il
più grande poeta tedesco (in realtà nato a Praga) del ’900, pensa che la
ricerca della bellezza dovrebbe diventare l’ideale della vita umana, ma, a
differenza di Wilde, non crede che sia la vita stessa a diventare bella. Sotto
l’influenza di Rodin [5], conosciuto nel 1902 all’età di 27 anni, delle cui
sculture ammirava la perfetta armonia, cerca la bellezza della vita nella
realizzazione dell’arte. Ma l’esaltazione della scrittura poetica dura poco, sebbene
perseguita fi no alla fine della sua esistenza, [6] il 29 dicembre 1926, perché
è sempre interrotta da acciacchi fisici, veri o frutto della sua ipocondria,
che ostacolano la coscienza e opprimono la mente. Salvo brevi momenti di
esaltazione, né i Quaderni di Malte Laurids Brigge, né i poemi d’inizio
secolo, né i sonetti e le elegie gli comunicano la gioia che si aspetta
dall’impegno di sacrificare l’intera esistenza alla creazione artistica, nella
indispensabile solitudine, secondo il precetto di Rodin. Infatti Clara, la
giovane scultrice che sposa, da cui ha una figlia, si allontana subito da lui,
perché capisce che, solo nell’assenza, egli la potrà amare; Rainer vive brevi
momenti di esaltazione amorosa, con molte donne, soprattutto se la relazione
diventa epistolare.
Wilde |
Ma la
bellezza tanto cercata per la sua poesia, lui non è mai in grado di scoprirla.
Trova anche altri motivi di fugace esaltazione: la Prima Guerra mondiale lo
eccita per un breve momento. [7] La Rivoluzione d’Ottobre anche. Perfino la
Marcia su Roma delle camicie nere lo entusiasma. L’Italia di Mussolini è
un’Italia «viva, forte, intensa». In realtà, non ha alcun interesse politico né
etico, «il suo è solo un modo di applicare i propri criteri estetici all’azione
politica. Per lui è più importante l’effetto esteriore del contenuto».
La creazione
esclude la vita. Forse la sua è impotenza ad amare mascherata di nobili
principi sulla bellezza della creazione poetica che esige la totale dedizione. Ma
la sua solitudine è sterile e senza gioia. E l’ebbrezza del bello non gli
appartiene. L’altro protagonista della sua ricerca sulla bellezza è la grande
poetessa russa Marina Cvetaeva. Per Marina, Rainer è “il poeta” anzi “la
poesia”. Due opposte concezioni del rapporto fra scrivere e vivere. Per lui,
impossibile creare senza separarsi dalla vita, per lei impossibile separare la
vita dalla creazione: la sua avidità di rapporti umani e di esperienze anche
dolorose è più importante della sua poesia. Anzi, è indispensabile alla
bellezza creativa. Dunque, non la bellezza della vita per creare l’arte, come
intendeva Wilde, o la bellezza dell’arte nel rifiuto della vita, come si
proponeva Rilke, ma, appunto, le esperienze della vita e l’intensità dei
rapporti umani come stimolo e nutrimento dell’arte. La vita di Wilde, come
sappiamo, finisce nella miseria, quella di Rilke è costantemente segnata dalla
depressione.
Rilke |
Ma la vita della Cvetaeva è davvero tragica: la Rivoluzione, la
perdita di tutti i beni familiari, il lungo esilio. Infine il fiducioso ritorno
in patria. Giusto in tempo per vivere la tragedia dell’occupazione nazista [8].
Sconvolta dalla miseria, dalla morte per fame della seconda figlia, dall’internamento
del marito e della fi glia prediletta, dalle repressioni staliniane, non ce la
fa a sopravvivere e finisce col togliersi la vita.
Passioni,
amori infelici, transitori, fantasticati... Sono solo estasi estetica. La
rivolta interiore l’aveva portata, per brevissimo tempo, ad aderire alla
Rivoluzione d’Ottobre, ma aveva subito avvertito che se la rivolta conduce alla
rivoluzione, in essa riemergono tutte le violenze contro le libertà
individuali. È esattamente il nucleo tematico dell’opera di Camus. Il
rovesciamento di uno Stato totalitario, se pure perseguito con nobili scopi,
ripropone sempre un’altra forma violenta di totalitarismo. A proposito di
Marina, Camus afferma che i russi sono l’«incarnazione della rivolta
solitaria»; che sembrerebbe un’affermazione curiosa visto che proprio i russi
hanno fatto la prima rivoluzione di massa del Novecento; ma è vero,
l’intellegent guida le masse ma è e resta un rivoltoso solitario: contro il
potere zarista e contro il potere sovietico.
Come
Hõlderlin e Kleist, afferma Camus, Rilke aveva una concezione romantica della
vita e un senso religioso dell’arte, tanto da voler sacrificare agli dèi la
vita per raggiungere l’assoluto; ma questo romanticismo che ha segnato la
cultura tedesca dell’epoca e quella dei decadenti francesi fieramente votati
alla morte nella rivolta contro Dio, è estraneo alla poetessa russa. «Il
rivoltoso romantico fa di se stesso un personaggio a scapito dell’individuo
(...) L’importante è splendere prima di morire». [9] E Todorov, a proposito
della vita tragica e avida di esperienze di Marina, scrive che per lei non la
morte, ma la vita stessa è arte, che lo scopo dell’arte è di essere perfetta,
se si pone all’ascolto del mondo, per scoprirlo. La “bellezza” della sua poesia
sta nella conoscenza dei sentimenti e nell’esperienza del mondo.
Cvetaeva |
E nella sua
“rivolta” solitaria, direbbe Camus. Per il quale, «l’universo della rivolta è
la ricerca dell’ordine nella libertà di coscienza. Cogito, dunque mi rivolto. E
sono». [10] La rivolta è una condizione interiore che riguarda l’uomo e la sua
etica, non le masse. Sembra che gli faccia eco Todorov per il quale l’universo
della “bellezza assoluta” è l’armonia che non può prescindere dall’ordine, cioè
dall’etica.
Ma non è
sorprendente che i due più limpidi pensatori del Novecento e sicuramente i più
tenaci rivoltosi il cui sdegno contro i violenti, i corrotti, gli indifferenti,
trasuda dalle loro opere, si siano incontrati da luoghi e tempi diversi sullo
stesso terreno dell’etica e della bellezza?
Note
1) Tsvetan Todorov, La
bellezza salverà il mondo, editions Robert Laffont, 2010.
2) Fedor M. Dostoevskij, L’idiota.
3) Albert Camus, L’homme revoltè, Gallimard, 1951
4) T. Todorov, La bellezza salverà il mondo, Garzanti 2010.
5) Conosciuto
nel 1902. Aveva 27 anni.
6) 1926.
7) Scrive
Cinque Canti. Agosto 1914.
8) Estate
1941.
9) Camus,
L’uomo in rivolta, Bompiani, 1957 –
nuova edizione 2013.
10) Ibidem.