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domenica 12 novembre 2017

CIBO PER L’ANIMA. Narrare in breve. 

IL MIO ARTUR
di Pozzo&Martini

Pozzo&Martini

Fra poco arriverà, mi porterà la solita pasta al sugo e una scatola di cibo per il cane. Mi dirà che il cane ha freddo e che devo mettergli un cappottino. Ieri voleva darmelo lei, un cappottino. Bianco e rosa.
Ho sospirato. – Si chiama Artur.
Lei ha sorriso. – Piacere – ha detto.
– È un maschio – ho precisato. – Non va bene il cappottino bianco e rosa-
Lei ha raddrizzato la schiena. E senza dire una parola se n'è andata. L'ho guardata allontanarsi su viale Abruzzi finché si è infilata in via Donatello. Il mio Artur non ha bisogno di cappottini. Viviamo qui, su questo marciapiede da tanto tempo ormai, è abituato. Sembra fragile perché è di taglia piccola. E trema perché è un tipo nervoso, mica per il freddo!
Dovreste vederlo, certi giorni, quando passa qualche cagnolina. Si pavoneggia come fosse il cane più importante della zona. E devo confessarvi che alcune cagnoline lo guardano e lo annusano. Si capisce che una storiella con il mio Artur se la farebbero eccome. Ma lui ha occhi solo per la cagnolina dell'orefice. È una volpina sempre ben spazzolata e porta un collare con pietre lucenti. Anche al mio Artur starebbe bene un collare così prezioso. Ma no, che dico! Un collare del genere non si addice a un cane bisognoso. La gente penserebbe che i soldi dentro questo piattino li spendo tutti per addobbare il cane.
Se fosse per me, rinuncerei pure a un pasto per comprarglielo un collare così bello. Che poi, non è questione di addobbo, mica è un albero di natale il mio Artur. È solo una questione di orgoglio. Mi piacerebbe, una volta tanto, dare una soddisfazione al mio Artur. Semmai dovesse indossare un collare così prezioso, non starebbe più nella pelle, questo è certo.
Poi penso che si darebbe troppe arie e si convincerebbe di essere un cane di razza. No, niente orpelli per il mio Artur. Siamo gente alla buona, noi.
Quando la volpina dell'orefice si avvicina, il mio Artur non fa in tempo ad annusarla, l'orefice la tira subito via. L'allontana come fosse un ricettacolo di pulci, il mio Artur. E la volpina sempre ben spazzolata si scompone appena mentre viene trascinata via, lungo il marciapiede. Siccome sono uno che di guai non ne vuole, acciuffo il mio Artur per la collottola e lo infilo nella borsa gialla accanto a me. Lasciala stare, gli dico, non fa per te. E lui capisce. È intelligente il mio Artur. E resta lì, in silenzio, dentro quella borsa gialla che ormai è diventata la sua cuccia, triste come un piccolo cane bisognoso. Quando arriva la signora con la pasta al sugo e il cibo per lui dovreste vederlo come cambia umore. Allunga il collo così tanto da sembrare davvero il cane più affamato di Milano. E così facciamo la figura dei pezzenti.
La verità è che il mio Artur è solo un gran viziato. La signora l'ha abituato troppo bene. Gli porta il suo cibo preferito e lui si è convinto di essere un cane importante. Un cane di razza, insomma. E non c'è verso di fargli credere il contrario. Ma quale razza, gli dico, che hai il pelo simile a un parrucchino messo storto, e la coda mozza. Lui non vuole sentirselo dire. Si gira dall'altra parte e finge di dormire.
È passata da un pezzo l'ora di pranzo. La signora non si è vista. E addio pasta al sugo! Temo che resterò a stomaco vuoto. Pure Artur dovrà fare senza il suo cibo preferito.
Lui muove le orecchie per captare il suono dei suoi tacchi in mezzo al traffico. Della signora nemmeno l'ombra. Apre e chiude le narici, forse con l'olfatto è più fortunato. Niente da fare. Vuoi vedere che si è offesa per la storia del cappottino? D'improvviso il mio Artur esce fuori dalla borsa gialla e senza che me ne accorga, scappa. Non faccio in tempo ad acciuffarlo. Lo seguo.
– Artur! Artur! – urlo a più non posso. – Artur! -
Lui corre lungo il viale e non mi sente. O finge di non sentire. Corre e s'infila in via Donatello.
Quando sono anch'io all'angolo con la strada, rallento. Ho il fiatone e ci manca poco che crolli a terra.
Giro l'angolo e non credo ai miei occhi. La signora è stesa a terra, la pasta al sugo sparsa sul marciapiede e il cappottino bianco e rosa stretto nel pugno. Una pozza di sangue sotto la testa. Mi avvicino, e mi accorgo che non c'è più niente da fare. In mezzo a quel sangue vedo brillare qualcosa, sembrano pietre preziose.
Non tocco niente e mi allontano. Ora il respiro è corto e il cuore corre più forte di prima. Meglio andare via se no rischio di finire pure io steso a terra, morto di paura.
Cerco di prendere Artur ma lui si mette a mangiare la pasta al sugo sparsa qua e là.
– Che fai – gli dico mentre lo afferro per la collottolla – andiamo via! –
 Ma lui si divincola, e rimpiango di non avergli mai messo un collare. Divora quella pasta come fosse a digiuno da mesi. Poi annusa tutto intorno. Infine agguanta il cappottino bianco e rosa, e tira. Tira forte finché non riesce a prenderlo poi corre via, di nuovo giù su viale Abruzzi.
Lo chiamo a gran voce. – Artur! Artur! - Lui finge ancora di non sentire. Mentre nelle vicinanze risuona la sirena della polizia decido di scappare pure io. Se mi trovano qui è finita. Prendo viale Abruzzi e vado dietro al mio Artur. Lo vedo che sta girando in via Vela. Accelero il passo, senza correre. Non voglio destare sospetti. Voltato l'angolo vedo il mio Artur che abbaia contro la vetrina dell'orefice. Il muso sporco di sugo e il cappottino bianco e rosa accanto a lui, sulla strada.
– Cosa fai? – dico senza alzare la voce.
Lui abbaia. E finge di non sentirmi. Ha l'espressione brutta del cane quando s'incazza davvero. Credo di non averlo mai visto così arrabbiato il mio Artur. La sirena della polizia ora è qui vicina.
– Andiamo via – stavolta alzo la voce.
Artur continua ad abbaiare.
La polizia è arrivata. È finita, penso, questa notte la passo al fresco. I poliziotti scendono dalla macchina e camminano svelti. Se non stanno attenti, mettono un piede sopra al mio Artur. Non rimarrebbe niente del cane sotto quegli stivali pesanti. State attenti, penso. E loro lo schivano per un pelo.
Entrano in negozio, e il mio Artur smette di abbaiare. E mentre aprono la porta la volpina esce di scatto e si precipita dal mio Artur.
– Andiamo – gli dico – andiamo via - .
Torniamo su viale Abruzzi. Artur con il muso ancora sporco di sugo e il cappottino fra i denti. La volpina con il suo collare di pietre luccicanti. E io con il cuore che fatica a calmarsi. Lungo la strada, le voci sul conto dell'orefice corrono più veloci di Artur.
"C'era da aspettarselo che prima o poi l'avrebbe combinata grossa. "Lei non ne voleva sapere di continuare quella storia".
Quando arriviamo al nostro posto controllo ogni cosa. Il mio borsone, il piattino con gli spiccioli, la borsa che funge da cuccia. Non c'è da fidarsi proprio di nessuno al giorno d'oggi, dico fra me e me.
La volpina con il suo collare prezioso si siede sul marciapiede. Artur molla il cappottino bianco e rosa accanto a me e spinge il muso sulle mie gambe. Lo so cosa vuole il mio Artur. È un tipo di classe, lui.
Così prendo il cappottino e lo metto indosso alla volpina. Lei mi lecca la mano. Poi si acciambella nella borsa gialla e si addormenta.
– Che bel regalo hai fatto alla volpina – dico al mio Artur. E lui agita la coda e mi guarda, gli brillano gli occhi. Si vede che è innamorato il mio Artur. Poi mi soffermo su quel muso ancora sporco di sugo.
– Artur – gli dico – lo sai che la classe non è acqua! -
Prendo la bottiglia riempita alla fontana e gliela verso tutta sul muso.
– Adesso lavati, però, che sembriamo proprio due barboni!