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martedì 14 novembre 2017

Racconti
Bookcrossing Padova
di Silvia Scognamiglio

Silvia Scognamiglio


Una strada tagliata in due dai binari, i Frecciarossa la guardano dal ponte sfilando lenti alla Centrale: via Padova corre dritta per chilometri, punteggiata dalle insegne di macellerie islamiche e ristoranti cinesi; e in mezzo l’attraversa la navetta arancione della 56 che dal “cancello” di Loreto porta alla Martesana. Gente ovunque a ogni ora, semi masticati e sputati sui marciapiedi, bottiglie, urla e silenzio, qualche rissa; odore di cipolle e stracci bagnati nei giorni di pioggia, anguria schiacciata e sudore d’estate: così brutta che finisci quasi per amarla, via Padova. Beh, a Elia ancora non era successo. Direttore della biblioteca di Brera in pensione ‐ aveva visto in vita sua più libri che esseri umani ‐ era approdato lì da due mesi e non aveva niente a che spartire, pensava, con quell’incrocio di lingue incomprensibili. Settantenne misantropo, vero uomo del Novecento, in periferia c’era andato solo per risparmiare e nel cambio una cosa era rimasta immutata, la monotonia maniacale della sua esistenza. Abitava al primo piano, con quella puzza insopportabile della friggitoria sotto (detestava mangiare!); per non parlare dei microscopici balconi intorno, con energumeni in canottiera che giocavano a carte fino alle due del mattino, neanche fossero al mare… Per carità! A lui al massimo piaceva camminare. Dopo sonni agitati, stravolto e al confine di un incubo, usciva molto presto; “podismo della disperazione”, così definiva le sue passeggiate. A guardarlo era proprio un tipo strano: di un’eleganza fuori moda, con un loden verde attraversava le stagioni, si riparava lunghi muri quasi temesse di essere bagnato da una pioggia inesistente. Se via Padova gli ispirava disgusto misto a curiosità, quello che gli faceva invece davvero paura era passare davanti al Trotter, dove ci sono le scuole. Si guardava intorno circospetto, perché lì c’era la banda in agguato. Un gruppo di giovanissimi italiani, africani, cinesi, peruviani che gli lanciavano contro il loro grido di guerra e lui si sentiva l’unico straniero del quartiere multietnico. Lo puntavano già da lontano e via con i dispetti, come fargli scoppiare piccoli petardi tra i piedi o tagliargli la strada in bici; tutti maschi, a parte un paio di ragazzine, una molto carina, forse turca o egiziana, con occhi verdi pieni di rabbia. Elia era atterrito di trovarseli lì, si sentiva così impotente che meditava a volte di non uscire più da casa.
Intanto, dopo due mesi di via Padova avanti indietro era arrivata l’estate, si dovette togliere il loden. Andava a sedersi in piazzetta Mosso, uno slargo alberato sotto casa diventato un campo di tappi e vetri rotti, cestini divelti, cartoni di pizza, tracce dell’umanità devastata che vi passava le notti. Elia inorridiva a guardarsi in giro. Eppure s’insinuava persino là un buon odore di giugno, il carnoso profumo dei tigli milanesi che prende alla gola.
Un giorno nel suo angolo di muretto in mattoni vide qualcosa di nuovo tra le bottiglie di birra
abbandonate: un volumetto dal dorso giallo! I libri non poteva mai fare a meno di prenderli in mano e sfogliarli, deformazione professionale. Ma che roba era quella? In copertina c’era un topo con gli occhiali. Da piccolo leggeva Topolino, ma questo era un altro topo, dal muso appuntito: Geronimo Stilton. Aprendolo, trovò un biglietto scritto a mano, “questo libro non è stato dimenticato, ma lasciato apposta. E’ un regalo per te, prendilo e lasciane un altro”; sotto un timbrino nero, “Bookcrossing Padova”.

Una veduta di via Padova

Bookcrossing… Elia ricordava di averne sentito parlare... Si lasciano i libri per strada, nei bar, sulle panchine; così chi vuole li prende. L’idea era così strana e per lui inusitata, eppure poetica. Ma tra milioni di volumi pubblicati nel mondo, possibile trovare proprio quello? Un topo giornalista a fumetti! Eppure lo raccolse, e la sera, senza volerlo, incominciò a spulciare nella sua immensa libreria, rimasta intatta e strapiena anche dopo il trasloco. Cercava qualcosa da lasciare in cambio, però sugli scaffali c’erano solo saggi, romanzi e testi di storia medioevale, niente di simile a un fumetto. Pensò di rinunciare, ma quando già era a letto gli venne l’idea di “liberare” un classico d’avventure. Di “Ventimila leghe sotto i mari” ne aveva due copie, quindi non soffrì troppo a lasciarne una sul muretto. Qualche ora e il libro era scomparso, al suo posto un nuovo Stilton e “Il Piccolo principe”: forse lo sconosciuto leggeva pure altro, meno male! A Elia comunque il piccolo principe non era mai piaciuto. Seguiva imperterrito il filone Verne, visto che i volumi sparivano in fretta: “I figli del capitano Grant”, “Il giro del mondo in 80 giorni”, “L’isola misteriosa”… Con il passare dei giorni fu preso dalla curiosità di sapere chi fosse, il lettore misterioso che da un po’ prendeva senza lasciare più niente. Dalla finestra di casa, piazzetta Mosso si vedeva solo di striscio; e se stava seduto là non compariva nessuno, il Verne di turno restava dov’era. Si appostò qualche volta dietro gli alberi, ma niente! Arrivò allora alla conclusione che l’ignoto destinatario passasse tardi, ma come poteva una persona normale mettere piede in quel posto al buio? Doveva sapere, però! Un filo sottile, dopo tanto tempo in solitudine, lo legava alla mano che sfogliava, chissà dove, quelle pagine. Fu così che una notte scese in via Mosso, nel silenzio non ancora rotto dalle urla ubriache e nel profumo irreale dei tigli. Depose il libro e si appiattì dietro la robinia: non dovette attendere molto per scorgere un’ombra, furtiva, al punto di scambio.


Silvia Scognamiglio

“Mi chiamo Salamat Momani, ho tredici anni, faccio la terza media al Trotter. I miei sono egiziani, io però sono milanese. Ieri verso le 23 ero nella piazzetta Mosso, cercavo il libro del bookcrossing (idea degli insegnanti, una roba per il quartiere). Quando ho visto quell’uomo nascosto ho subito capito che era lui, l’amico lettore che avevo tanto fantasticato di incontrare. Proprio quel vecchio che aspettavamo davanti a scuola... Però vi assicuro, erano solo scherzi… No, ieri non sapevo davvero che stavano arrivando i miei compagni, non avevo idea di cosa volessero fare. Non abbiamo mai rubato o rapinato nessuno. Sì, Eddy aveva un coltello ma finto. L’hanno circondato, il tipo, non sapeva dove scappare e più faceva l’aria impaurita più si stringevano. Mi ha guardata negli occhi, forse si è ricordato che c’ero sempre anch’io insieme a loro. Accidenti, dalla tasca mi usciva la copertina del libro, “Michele Strogoff”; così anche lui ha capito! Che vergogna, giuro, volevo morire... No, non lo so come si chiama: mi fissava come a chiedere aiuto, ma io avevo più paura di lui… Ho solo urlato, lasciatelo in pace! Poi sono corsa via, correvo e fermavo tutti quelli che incontravo, la gente con il cane e pure i trans: venite presto, salvatelo, è un mio amico! La polizia non l’ho chiamata io, non ho avuto il coraggio… Non mi arrestate vero? Io spero che non gli abbiano fatto male... Vi prego, ditegli che lo ringrazio per i libri, bellissimi! Gli Stilton di mio fratello e  Il Piccolo principe di certo non gli sono piaciuti, ne avessi avuto altri glieli regalavo tutti. Glielo dite, per favore?”