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martedì 14 novembre 2017

Racconti
BRICIOLE. BRANDELLI
di Rosa Oliveto

Rosa Oliveto

Briciole. Brandelli. Ecco cosa avrei potuto ricevere da quest’uomo. Discorso razionale, certo. Ma quando t’innamori rifletti forse? Ti fai domande? Analizzi? Neanche per sogno! Quando ti innamori la cosa più ragionevole che fai è metterti prima la camicetta e poi la giacca, non il contrario. Quando perdi la testa per qualcuno sei una mongolfiera. Diventi improvvisamente Alice nel paese delle meraviglie.
Non vuoi, non puoi, non ti interessa guardare la realtà, vivi in un sogno che ritieni non possa finire mai…
Certo che, se ti arriva un secondo di lucidità, ti chiedi: “Che cosa sto facendo? Che futuro ho? Non potevo essere la protagonista di una storia semplice, lineare, senza problemi?”.
Ma la lucidità arriva solo per un secondo, non di più. Quindi tutto come prima. Batticuore, in testa un solo pensiero: il suo volto, la sua figura, il modo di muoversi, di guardare, di parlare, di sorridere, di fermarsi o di incedere… Insomma lui, poi?
Briciole. Brandelli. Ecco cosa potevo ricevere da quest’uomo che aveva vent’anni più di me, una donna alla quale aveva giurato amore per tutta la vita e che non avrebbe mai lasciato, e due figli adolescenti che adorava. Ma allora perché sei voluto entrare nella mia vita? In quel preciso momento, ne’ prima, né dopo? Il caso? Un caso? Forse sì… Fino a quel giorno, a parte per gli studi, non frequentavo le librerie, ma quel giorno ero lì, in piazza Piemonte a farmi forza, a cercare una distrazione, a tentare di iniziare a vivere e vedere gli altri… Era una bella famiglia la nostra: papà, mamma e io. Mi amavano infinitamente e io ricambiavo il loro amore con gioia. Non avevo bisogno di fidanzati o amici. A me bastavano loro e avevo difficoltà a seguire i racconti dei compagni di classe, al liceo prima, e poi all’università, fatti di incomprensioni, litigi con i loro genitori. Noi tre eravamo una sola cosa. Poi, dieci anni fa, il destino si è accanito. Nel giro di sei mesi se ne sono andati tutti e due: stessa malattia, identica cura, uguale sofferenza.
Io sono rimasta sola e disperata. Ci ho impiegato un bel po’ per trovare una ragione per vivere: mi sono detta che loro non sarebbero stati fieri di me a vedermi spenta e senza futuro. E allora ho reagito. Ho ripreso a lavorare. I miei genitori mi avevano lasciato un patrimonio cospicuo. Avrei potuto vivere di rendita, ma l’educazione che avevo ricevuto mi obbligava a essere utile alla società. Lavoro on-line a progetto. Io non conosco i miei datori di lavoro e loro non sanno chi sono io. Quel giorno, vi dicevo, ero in libreria in piazza Piemonte… ricordate il film Innamorarsi con De Niro e Meryl Streep? È successo qualcosa di simile! Io avevo preso un dolcino e il caffè al bar che è all’interno del negozio e mi ero accomodata a un tavolo su cui avevo appoggiato il libro appena acquistato. Qualche attimo dopo il volume è caduto a terra perché sfiorato da un uomo maldestro che è passato accanto velocemente. È tornato indietro, l’ha raccolto e si è scusato. Io l’ho ringraziato. Lui mi ha sorriso salutandomi e io ho risposto a quel sorriso con una mezza smorfia della bocca. Quando sono tornata a casa e ho cominciato a leggere il libro e a sfogliarne le pagine ho trovato il suo biglietto da visita. L’ho tenuto sul comodino per molti giorni, senza decidermi: buttarlo o telefonare? L’ho chiamato.
Abbiamo iniziato a frequentarci con molta discrezione. Nessuno si è accorto della nostra relazione. I nostri incontri avvenivano lontano dalle nostre abitazioni. Sempre posti diversi. Ognuno con la propria auto raggiungeva la meta. Poi il nido d’amore nostro è diventato la sua casa fuori Milano. È una villetta isolata, ma lui ha voluto che prendessimo delle precauzioni assurde. Nel portabagagli della mia auto ci sono uno zaino e una bicicletta pieghevole. Quando dobbiamo incontrarci parto da casa con l’auto e quando manca un chilometro alla destinazione parcheggio la macchina, estraggo dallo zaino cappellino, parrucca castano scura, occhiali e li indosso. Faccio l’ultimo tratto in bici per raggiungere il mio amore.


E lì in quella casa, tra gli oggetti che appartengono all’altra passiamo momenti meravigliosi, impagabili. Sono felice e anche lui mi sembra che stia bene con me. Vado sempre via prima io. Lo lascio di solito in soggiorno, sprofondato nel divano a fiori gialli a fumare non so se una o più sigarette. Lui mi racconta che si ferma almeno una mezz’oretta per rilassarsi e poi esce. Io sono sempre disponibile. Lui è un uomo importante. Io sono il suo lavoro straordinario, la conferenza improvvisa, la riunione di lavoro decisa all’ultimo momento: queste sono le scuse che dice di raccontare a sua moglie che non si è accorta di niente.
Giura di amarmi e che per sua moglie nutre un altro genere d’amore, che il mio è più forte. Mi copre di complimenti. Mi sussurra che ho l’oro nei capelli quando me li accarezza e che i miei occhi ragionano ancor più della parola. Una volta, portandomi una rosa, mi disse: “Senti il suo profumo anche per me!”.
Io gli chiesi: “Anche per te? Che significa?”.
Allora lui mi spiegò che una sinusite non curata o forse l’uso esagerato di sigarette avevano peggiorato notevolmente la capacità del naso di percepire gli odori, e anche il sapore del cibo era alterato.
“Anosmia, si chiama anosmia questa malattia”, mi precisò.
“Non si può fare niente?”, domandai preoccupata.
Lui mi sorrise e poi aggiunse: “Si convive. Mi dispiace solo di non sentire l’odore della tua pelle, il profumo del tuo corpo”.
Briciole. Brandelli. Ecco cosa avrei avuto da quest’uomo che non avrebbe mai fatto una scelta. A me sarebbe bastato raccogliere solo le briciole del suo tempo, del suo amore…, ma, accidenti alla mia curiosità! Mi aveva detto che non ci saremmo visti perché sarebbe andato con moglie e figli a rilassarsi nella “nostra” casa, nel fine settimana. Sono arrivata alla villetta in bici, come da copione, di sera, sempre seguendo l’iter. Mi sono nascosta, acquattata dietro un albero, dopo aver sistemato la bicicletta sul retro, con l’intento di avvicinarmi alle finestre e guardare dentro. Invece…, qualche minuto dopo, si sono spente le luci in tutta la casa e dalla porta della villetta è uscito il mio amore in compagnia di una donna che teneva stretta in vita e sbaciucchiava ridendo e che, nonostante l’oscurità, non era di certo sua moglie…
Sono rimasta impietrita per qualche minuto. Poi ho ripreso la bici e quindi l’auto. Mentre guidavo cercavo di trattenere le lacrime. Pensavo che mi trovavo nella stessa situazione del nostro primo incontro: non sapevo cosa fare. Avrei potuto gridargli che era un essere spregevole perché aveva tradito anche me oppure stare zitta, non dire niente, continuare a vederci. Ho deciso per la seconda soluzione. L’avrei visto ancora una volta. Sarebbe bastato solo un’altra volta. Avrei raggiunto la villetta sempre prendendo quelle “assurde” precauzioni che questa volta sarebbero servite, però. Dunque, questo è il mio piano, un piano perfetto, occorrerà solo sangue freddo e io lo avrò… Arriveremo nella villetta, faremo l’amore, poi al momento di salutarlo e lasciarlo sul divano con la sua amata sigaretta tra le dita gli dirò: “Tesoro, bevo un goccio d’acqua dal frigo e scappo”.
Andrò in cucina e aprirò tutte le chiavette del gas. Lui non sente gli odori. Un sorriso, un bacio e via…, velocemente. Bum! In briciole. In brandelli.