MILANO. LA GALLERIA
VITTORIO EMANUELE
di Jacopo Gardella*
Quando si nomina la Galleria
Vittorio Emanuele, progettata nell’anno 1865 dall’architetto Giuseppe Mengoni,
tutti i milanesi la vedono come un percorso ricco di negozi, di ristoranti, di
librerie; le immaginano come un ambiente animato, pieno di gente in frenetico
movimento o ferma in tranquilla conversazione; la conoscono come un luogo
frequentato per tutta la durata del giorno fino a tarda notte e attraversato da
persone di tutte le età e da turisti di tutti i paesi.
Ciò tuttavia
è vero ma non basta: il volto commerciale e sociale della Galleria è
incontestabile ma non esaurisce l’intero suo valore. Vi è un altro aspetto meno
immediatamente percepito e meno apprezzato eppure altrettanto importante e
rimarchevole; ed è l’aspetto architettonico. La Galleria è un vero monumento di
ingegneria edilizia, un capolavoro di carpenteria metallica, un esempio
straordinario di struttura in ferro. La gente attraversa la Galleria ma
raramente alza gli occhi per vedere la copertura in vetro che sta in alto;
guarda le vetrine ma non osserva la elegante struttura trasparente che si eleva
al di sopra. Al centro della Galleria nel punto di incontro dei suoi quattro
bracci si innalza una ampia cupola vetrata la cui base è formata da un grande
anello orizzontale sostenuto dai quattro archi che immettono nei quattro bracci
disposti a croce. Tutta la struttura è semplice ed elegante, maestosa e leggera.
L’esempio
della carpenteria in ferro innalzata centocinquanta anni fa con grande maestria
e profonda sapienza costruttiva avrebbe dovuto servire da insegnamento a chi
recentemente ha progettato il caotico e confuso percorso metallico sovrapposto
ai padiglioni della nuova Fiera di Rho.
Avrebbe
anche dovuto servire da esempio a chi ha immaginato il modernissimo stadio
olimpico di Pechino simile – come è stato notato – ad un gigantesco ed
aggrovigliato nido di uccelli. Con questo edifico si è percorso a ritroso il
plurisecolare e faticoso processo di emancipazione compiuto dalla specie umana:
in un attimo si è retrocessi dalla intelligente creazione dell’uomo alla
spontanea costruzione dei volatili. La limpida e secolare architettura
concepita dalla nostra Ragione degenera, si avvilisce e si abbassa ad imitare
il provvisorio rifugio generato dall’istinto animale.
Gli accurati
dettagli costruttivi riscontrati nella Galleria non si limitano soltanto al suo
interno ma compaiono anche all’esterno. Pochi passanti si accorgono della
ingegnosa soluzione studiata dal progettista per risolvere il difficile innesto
diagonale tra due assi urbanistici basilari: l’asse della Galleria che
congiunge Piazza del Duomo con Piazza della Scala e l’asse di Piazza della
Scala che congiunge Piazza Marino con la facciata del Teatro Lirico. I due assi
non sono perpendicolari ma inclinati di 45°. Chi dal centro di Piazza della
Scala guarda di fronte a sé il grande arco trionfale da cui inizia la Galleria,
vede di scorcio sul fondo dell’arco due archi minori, simmetrici, arretrati e
convergenti tra loro ad angolo retto.
Di questi due archi uno
introduce direttamente nella Galleria l’altro rimane chiuso e privo di sbocco.
La chiusura tuttavia è risolta non con una piatta ed ottusa parete verticale ma
con la elegante forma architettonica di una
nicchia semicircolare: dettaglio di geniale abilità compositiva per
effetto del quale scompare la dissimmetria delle prospettive che si aprono
dietro ai due archi minori.
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Gli
accorgimenti progettuali riscontrati nella Galleria si estendono anche ai
dintorni e diventano schemi di studiate ed attente composizioni urbanistiche:
risultato di una pianificazione urbana ancora capace di imporsi precise regole
compositive e di dare ordine e chiarezza agli spazi della città.
L’arco
trionfale di uscita dalla Galleria verso il Duomo inquadra sul lato opposto
della Piazza i due volumi uguali e simmetrici dell’Arengario e più lontano
esattamente in mezzo a loro mette a fuoco il grattacielo di Piazza Diaz: una
composizione sicuramente accademica e poco originale ma pur sempre composizione
pensata e progettata con serietà.
L’arco
trionfale di uscita della Galleria verso Piazza della Scala inquadra il
monumento a Leonardo da Vinci; questo è pensato come punto di fuga e come meta
prospettica che conclude il percorso proveniente da Piazza del Duomo.
In entrambi
i casi si è pensato di collegare la Galleria con gli immediati dintorni cercando
una sua stretta relazione con la città circostante.
***
Dagli
accorgimento sopra descritti si ricava una lezione di impegno e di serietà che
gli ultimi complessi edilizi sorti a Milano hanno del tutto dimenticato. A City
Life sul terreno liberatosi della Vecchia Fiera ed in mezzo agli stravaganti
grattacieli costruiti di recente si riesce forse a leggere un comprensibile
disegno di città? A Porta Garibaldi, di fronte alla Stazione ferroviaria e
nella casuale e gratuita accozzaglia di giganteschi volumi vetrati, si indovina
forse un piano urbanistico razionale e meditato? In Piazza Gae Aulenti, simile
ad una gelida e asettica piattaforma spaziale, si percepisce forse la calda ed
accogliente atmosfera delle nostre piazze tradizionali?
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Il
centocinquantenario della monumentale e dignitosa Galleria dovrebbe indurci a
meditare sulla progressiva e preoccupante decadenza della nostra architettura e
della nostra urbanistica.
[*Architetto
e urbanista]