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venerdì 15 dicembre 2017

MILANO. LA GALLERIA VITTORIO EMANUELE
di Jacopo Gardella*


Quando si nomina la Galleria Vittorio Emanuele, progettata nell’anno 1865 dall’architetto Giuseppe Mengoni, tutti i milanesi la vedono come un percorso ricco di negozi, di ristoranti, di librerie; le immaginano come un ambiente animato, pieno di gente in frenetico movimento o ferma in tranquilla conversazione; la conoscono come un luogo frequentato per tutta la durata del giorno fino a tarda notte e attraversato da persone di tutte le età e da turisti di tutti i paesi.
Ciò tuttavia è vero ma non basta: il volto commerciale e sociale della Galleria è incontestabile ma non esaurisce l’intero suo valore. Vi è un altro aspetto meno immediatamente percepito e meno apprezzato eppure altrettanto importante e rimarchevole; ed è l’aspetto architettonico. La Galleria è un vero monumento di ingegneria edilizia, un capolavoro di carpenteria metallica, un esempio straordinario di struttura in ferro. La gente attraversa la Galleria ma raramente alza gli occhi per vedere la copertura in vetro che sta in alto; guarda le vetrine ma non osserva la elegante struttura trasparente che si eleva al di sopra. Al centro della Galleria nel punto di incontro dei suoi quattro bracci si innalza una ampia cupola vetrata la cui base è formata da un grande anello orizzontale sostenuto dai quattro archi che immettono nei quattro bracci disposti a croce. Tutta la struttura è semplice ed elegante, maestosa e leggera. 



L’esempio della carpenteria in ferro innalzata centocinquanta anni fa con grande maestria e profonda sapienza costruttiva avrebbe dovuto servire da insegnamento a chi recentemente ha progettato il caotico e confuso percorso metallico sovrapposto ai padiglioni della nuova Fiera di Rho.


Avrebbe anche dovuto servire da esempio a chi ha immaginato il modernissimo stadio olimpico di Pechino simile – come è stato notato – ad un gigantesco ed aggrovigliato nido di uccelli. Con questo edifico si è percorso a ritroso il plurisecolare e faticoso processo di emancipazione compiuto dalla specie umana: in un attimo si è retrocessi dalla intelligente creazione dell’uomo alla spontanea costruzione dei volatili. La limpida e secolare architettura concepita dalla nostra Ragione degenera, si avvilisce e si abbassa ad imitare il provvisorio rifugio generato dall’istinto animale.


Gli accurati dettagli costruttivi riscontrati nella Galleria non si limitano soltanto al suo interno ma compaiono anche all’esterno. Pochi passanti si accorgono della ingegnosa soluzione studiata dal progettista per risolvere il difficile innesto diagonale tra due assi urbanistici basilari: l’asse della Galleria che congiunge Piazza del Duomo con Piazza della Scala e l’asse di Piazza della Scala che congiunge Piazza Marino con la facciata del Teatro Lirico. I due assi non sono perpendicolari ma inclinati di 45°. Chi dal centro di Piazza della Scala guarda di fronte a sé il grande arco trionfale da cui inizia la Galleria, vede di scorcio sul fondo dell’arco due archi minori, simmetrici, arretrati e convergenti tra loro ad angolo retto. 


Di questi due archi uno introduce direttamente nella Galleria l’altro rimane chiuso e privo di sbocco. La chiusura tuttavia è risolta non con una piatta ed ottusa parete verticale ma con la elegante forma architettonica di una  nicchia semicircolare: dettaglio di geniale abilità compositiva per effetto del quale scompare la dissimmetria delle prospettive che si aprono dietro ai due archi minori.
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Gli accorgimenti progettuali riscontrati nella Galleria si estendono anche ai dintorni e diventano schemi di studiate ed attente composizioni urbanistiche: risultato di una pianificazione urbana ancora capace di imporsi precise regole compositive e di dare ordine e chiarezza agli spazi della città.
L’arco trionfale di uscita dalla Galleria verso il Duomo inquadra sul lato opposto della Piazza i due volumi uguali e simmetrici dell’Arengario e più lontano esattamente in mezzo a loro mette a fuoco il grattacielo di Piazza Diaz: una composizione sicuramente accademica e poco originale ma pur sempre composizione pensata e progettata con serietà.
L’arco trionfale di uscita della Galleria verso Piazza della Scala inquadra il monumento a Leonardo da Vinci; questo è pensato come punto di fuga e come meta prospettica che conclude il percorso proveniente da Piazza del Duomo.
In entrambi i casi si è pensato di collegare la Galleria con gli immediati dintorni cercando una sua stretta relazione con la città circostante.
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Dagli accorgimento sopra descritti si ricava una lezione di impegno e di serietà che gli ultimi complessi edilizi sorti a Milano hanno del tutto dimenticato. A City Life sul terreno liberatosi della Vecchia Fiera ed in mezzo agli stravaganti grattacieli costruiti di recente si riesce forse a leggere un comprensibile disegno di città? A Porta Garibaldi, di fronte alla Stazione ferroviaria e nella casuale e gratuita accozzaglia di giganteschi volumi vetrati, si indovina forse un piano urbanistico razionale e meditato? In Piazza Gae Aulenti, simile ad una gelida e asettica piattaforma spaziale, si percepisce forse la calda ed accogliente atmosfera delle nostre piazze tradizionali?
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Il centocinquantenario della monumentale e dignitosa Galleria dovrebbe indurci a meditare sulla progressiva e preoccupante decadenza della nostra architettura e della nostra urbanistica.
[*Architetto e urbanista]