Genocidio in Lituania
di Gabriele Scaramuzza
Vasilij Grossman e Il’ja Erenburg,
come noto, curarono Il libro nero. Il
genocidio nazista nei territori sovietici. 1941-1945. Le testimonianze che
Stalin cercò di cancellare per sempre (edito da Rowohlt ad Amburgo nel
1994; da noi pubblicato da Mondadori nel 1999, a cura di Arno Lustiger, trad.
di Luca Vanni; nell’Appendice si
trovano saggi di Il’ja Al’tman, Yitzhak Arad, Albert Einstein, Shmuel Krakowski
e Arno Lustiger). In esso grande rilievo, e non a caso, assume la Lituania
(Ponary non è lontano da Vilnius). In questo stesso ambito, accanto al Diario di Ponary che qui prenderemo in
considerazione, è da segnalare un’altra agghiacciante testimonianza del
genocidio lituano presente nella nostra lingua: si stratta del libro di Masha
Rolnikaite, Devo raccontare. Diario
1941-1945 (trad. di Anna Linda Callow, con una prefazione di Il’ja Erenburg
e un saggio introduttivo di Marianna Butenschön, Milano, Adelphi, 2005).
Sintomatico è che non trovò accoglienza alcuna in Unione Sovietica
la denuncia, contenuta nel Libro Nero
appunto, della Shoah (di cui fu vittima a Berdičev anche Ekaterina Savel’evna,
la madre di Grossman) quale si verificò in Ucraina, in Lituania e negli altri territori
sovietici invasi da Hitler (un aspetto della Shoah meno conosciuto di quello
comunemente noto). Il proposito di pubblicare Il libro nero fu sistematicamente vanificato dall’apparato di
potere sovietico, sotto Stalin e dopo. A questo libro si imputava di aver
“nazionalisticamente” dato troppo risalto agli ebrei a scapito degli altri
milioni di vittime del nazismo, e di aver accentuato troppo il
collaborazionismo di ucraini, lituani ecc. coi nazisti: come leggiamo a pag. 844, la commissione sovietica deputata a decidere della pubblicabilità o meno del libro, "al termine dei lavori aveva concordato l'inammissibilità dell'eccessivo rilievo dato all'attività dei collaborazionisti ucraini e bielorussi". E alla pagina successiva: “Il
libro presenta gli ebrei come una categoria speciale, contrapposta agli altri
popoli, e sopravvaluta il loro contributo alla civilizzazione del mondo; tra
tutte le vittime della seconda guerra mondiale si sofferma esclusivamente sugli
ebrei; inoltre suggerisce l’idea secondo cui il fascismo avrebbe costituito una
reale minaccia soltanto per gli ebrei e non per tutti i popoli e per l’intera
civiltà umana”. Affermazioni che restano sintomo di una colpevole cecità: in
Unione Sovietica (e non solo) è stato volutamente sottovalutato il fatto che un
caso ben particolare (e macroscopico) gli ebrei sono pur stati, e che molti
collaborazionisti non solo vi furono, ma non a caso, facendo leva anche sul
diffuso antisemitismo, colpirono soprattutto gli ebrei. Il Diario di Ponary dà una giusta evidenza a questo.
Qualcosa di analogo accadde al libro di Masha Rolnikaite: quando
“nel 1944-1945 tornarono i russi, all’annientamento fisico perpetrato dai
nazisti fece seguito il genocidio spirituale messo in opera dai sovietici: il
silenzio sulla Shoah, la messa al bando di tutto ciò che atteneva all’ebraismo,
la perdita della lingua e della religione, degli usi e dei costumi”. “Lo
sterminio degli ebrei divenne uno dei grandi tabù della storia sovietica del
dopoguerra”; l’accusa di “cosmopolitismo” divenne “una variante staliniana
della persecuzione antisemita”. Eppure, “secondo le statistiche, il
novantaquattro per cento della popolazione ebraica della Lituania fu
assassinato, una percentuale superiore a quella di tutti gli altri Paesi
occupati dai tedeschi”; la stessa Masha Rolnikaite “ha perso quarantanove
parenti” nella Shoah (sono tutte parole di Marianna Butenschön nel suo testo – “La forza dello spirito può vincere la forza
bruta” – posto a introduzione di Devo
raccontare, un testo da leggere in stretta connessione col Libro nero).
Un significativo spazio, e consistente, del Libro Nero (da p. 351 a p. 522) è dedicato, ripetiamo, alla Lituania. Ne fanno parte saggi firmati e non, in particolare Il ghetto di Vilnius, di A. Sutzkever; Il diario di Jerušalmi. Šiauliai; I forti della morte di Kaunas, di M. Jelin; I combattenti del ghetto di Kaunas, di J. Jossade; La dottoressa Elena Kutorgene-Buivydaite
(con il suo diario e la testimonianza di H. Ošerovič); La sorte degli ebrei della città di Teklšiai (testimonianza di
Galina Masjulis e Susanna Kogan).
I lituani furono inoltre tra i più zelanti fiancheggiatori dei
nazisti, il loro collaborazionismo è ben presente anche nel Diario di Ponary: i lituani, collaborazionisti dei tedeschi, "più di ogni altra nazione al mondo hanno così tanti omicidi sulla coscienza" (Diario di Ponary, pag. 57). È da aggiungere che gli eccidi lituani riguardarono
certo, e per lo più, ebrei; ma anche bolscevichi, polacchi, partigiani di ogni
genere: “Sono state giustiziate quarantasette persone, non ebrei, ma polacchi e
uomini dell’Armata Rossa” (Diario di
Ponary, p. 47). Questo non toglie comunque la rilevanza assoluta, per
numero e per qualità, degli ebrei coinvolti.
In questo contesto anto più è da sottolineare che gli ebrei non
agirono passivamente da “pecore al macello”, come si disse; già all’inizio del
’42 (come rivela Marianna Butenschön) apparvero volantini che incitavano alla
lotta armata, e comparve il manifesto di Abba Kovner, Non lasciatevi condurre come pecore al macello, che esortava alla
resistenza armata. Coraggiosamente gli ebrei si ribellarono, tentarono vie di
fuga, si opposero; anche se con scarso successo, data l’incoercibile violenza
cui erano sottoposti. Anche gli ebrei in fuga, catturati e costretti a tornare
nel ghetto, “sono la testimonianza vivente che anche chi è senza speranza non
dovrebbe sottomettersi passivamente ai boia” (Diario di Ponary, p. 104).
È noto che incentivi economici non mancarono nella Shoah: la
spoliazione degli ebrei portò ragguardevoli entrate nell’economia tedesca
(anche se la quantità è ampiamente discussa), più ancora che non in quella dei
collaborazionisti. Nel Diario
leggiamo: “Per i tedeschi 300 ebrei sono 300 nemici dell’umanità; per i lituani
essi sono 300 paia di scarpe, di pantaloni, e simili” (p. 28). La messa in
vendita da parte dei lituani di indumenti e oggetti appartenuti agli ebrei fu
letta come sintomo inequivocabile di stragi appena compiute: “Buoni affari con
gli abiti da donna”, di donne appena trucidate. Bisogna aggiungere tuttavia che
anche i tedeschi erano sì animati da un feroce antisemitismo razziale, incapace
di vedere negli ebrei delle persone; ma vennero loro proventi notevoli, giustamente
denunciati, dall’appropriazione indebita dei beni degli ebrei.
Il problema dell’ostracismo in Unione Sovietica del Libro Nero è ben presente nell’Appendice ad esso, nel saggio di Il’ja Alt’man, “Il destino del Libro Nero”, e anche in quello di Shmuel
Krakowski, “Il materiale inedito del Libro
Nero”. È stato poi esaurientemente affrontato da John e Carol Garrard
nell’ultima parte di Le ossa di Berdičev.
La vita e il destino di Vasilij Grossman (trad. di R. Franzini Tibaldeo e M. Cai, supervisione e curatela
di G. Maddalena e P. Tosco, Marietti,
Genova-Milano, 2009).
La Premessa a Il Libro nero è di Grossman e Erenburg
insieme. Grossman di suo firma, oltre alla corposa Prefazione, le pagine su L’assassinio
degli ebrei di Berdičev e su Treblinka.
Nel 1944 quest’ultimo scritto viene pubblicato sulla rivista “Znamja”
(Bandiera), persino in Unione Sovietica (prima dunque del divieto staliniano e
poststaliniano di parlare dello sterminio degli ebrei). Si legga, di V.
Grossman, L’inferno di Treblinka,
trad. di C. Zonghetti, Milano, Adelphi, 2010; pagine su Treblinka sono presenti
(di poco variate) in V. Grossman, Uno
scrittore in guerra, cit., pp. 323-349; e anche nel Libro Nero, alle pp. 638-664. L’inferno
di Treblinka, fu tenuto presente come noto anche al processo di Norimberga.
Grossman ha inoltre preparato per la pubblicazione le testimonianze raccolte su
Il ghetto di Minsk, Le ragazze di Minsk, Racconto di un vecchio, Racconto della dottoressa Olga Goldfein,
I Brenner di Białystok, Gli appunti
dello scultore Rivoš, La colcosiana
Julia Kuchta ha salvato bambini ebrei, Nel
campo di Horol. Testimonianza di A. Resničenko. Significativa la
partecipazione al Libro Nero anche di
Viktor Šklovskij. Questo libro si articola poi in varie sezioni, a seconda dei
contesti che affronta: Ucraina, Bielorussia, Russia, Lituania, Lettonia, La
solidale unità del popolo sovietico, Campi di sterminio, Carnefici. Di estremo
interesse sono poi gli scritti raccolti nell’Appendice: Albert Einstein, Sul
libro nero; il lungo saggio di Yitzhak Arad, L’olocausto degli ebrei sovietici nei territori dell’Urss occupati; Il’ja Al’tman, Il destino del Libro Nero; Shmuel Krakowski, Il Materiale inedito del Libro Nero; Arno Lustiger, La storia del Comitato Antifascista Ebraico
dell’Unione Sovietica. V’è infine una Postfazione
di Irina Erenburg, figlia di Il’ja Erenburg.
Il Diario di Ponary va
inteso in questo quadro, ne allarga anzi una sezione e dei motivi importanti.
Nella sua Prefazione Yitzhak Arad ne
parla come di “un documento unico, senza paralleli negli annali della Shoah”.
In effetti, miracolosa è la sua modalità di sopravvivenza, ben descritta fin
dall’Introduzione da Rachel Margolis:
“scritto su fogli sciolti collocati in bottiglie di limonata vuote, chiuse e
sepolte nel terreno”; poi dissotterrate da vicini di casa e per anni tenute
segrete dalle autorità sovietiche. “Il diario, che descrive il massacro di
circa 50-60.000 uomini, donne e bambini ebrei da parte dei nazisti e dei
collaborazionisti lituani, è uno dei più scioccanti documenti del suo tempo”. Il
suo autore, Kazimierz Sakowicz appunto, polacco, lo scrisse tra il 1941 e il 5
luglio del 1944, giorno in cui “fu trovato mortalmente ferito nel bosco, vicino
alla sua bicicletta”.
Colpisce, oltre ai raccapriccianti eventi narrati, il modo della
scrittura del Diario: conciso,
fatalmente frammentario, netto, espressivo. Alla tragicità dei terrificanti eventi descritti
fanno da contrappunto, dando loro maggior risalto, le frequenti notazioni climatiche:
il tempo è spesso solare, anche se non sempre; non mancano suggestivi scorci
paesaggistici, a volte si annota la struggente bellezza di ragazze ebree che
stanno per essere trucidate. Un’atmosfera poetica fa da sconcertante pendant non
di rado all’orrido: “Bel tempo, caldo, nuvole bianche, un po’ di vento, alcuni
spari dal bosco”; “Il tempo era bellissimo; tramonto. Allo stesso tempo sono
risuonate nella foresta le prime raffiche”; “Tempo bellissimo, soleggiato”;
“Vento, forte pioggia, freddo, nuvole”; “Fa freddo, piuttosto intenso per
ottobre, gelo”. “Quasi puntualmente, alle 9.25 del mattino – era caldo e c’era
il sole – è arrivata con dei lituani l’automobile n. 51620”. “La neve è così alta …”. “L’esecuzione si è
protratta alla luce della luna, fino alle sette. Tempo bellissimo, sereno e
caldo”.
Il Diario di Ponary non
è solo una utile ed accurata cronaca di un momento significativo del genocidio
degli ebrei; Sakowicz annota scrupolosamente tutto: i condannati che passano,
gli spari, le modalità di uccisione di cui ha testimonianza, tutto insomma,
persino il numero delle targhe delle auto dei carnefici e dei camion che
trasportano le vittime. Ma il diario è anche una encomiabile testimonianza
della levatura etica di chi non restò indifferente, e non tacque.
Contravvenendo a uno dei più agghiaccianti e intollerabili diktat dei
carnefici: non solo trucidare uomini, ma anche assassinare la memoria del
genocidio era la consegna dei nazisti. Nel suo diario “Sakowicz ha documentato
questi crimini; per questo la storia e l’umanità lo ricorderanno” (Diario di Ponary, p. 114). Himmler aveva
ordinato il silenzio, aveva imposto di nascondere i crimini della Germania
nazista; aveva parlato di quella “pagina gloriosa della nostra storia” che “non
è mai stata né mai sarà scritta”. Questa pagina terrificante l’abbiamo invece
ora sotto gli occhi nelle migliaia testimonianze che ci restano della Shoah,
tra cui questa di Sakowicz (pubblicata con la mediazione di Stefano Raimondi)
resta esemplare ed encomiabile.
Kazimiers Sakowicz
Diario di Ponary.
Testimonianza diretta del
genocidio ebraico in Lituania, 1941-1943,
a cura di
Gigliola Bettelle,
Milano-Udine,
Mimesis, 2018,
pp. 123, € 12.