Nato e nukes non sono
temi elettorali
di Manlio Dinucci
"Contro armi e guerra" opera di Giuseppe Denti 2018 |
Il Governo, che nel periodo
elettorale resta in carica per il «disbrigo degli affari correnti», sta per
assumere altri vincolanti impegni nella Nato per conto dell’Italia. Saranno
ufficializzati nel Consiglio Nord Atlantico, che si svolge il 14-15 febbraio a
Bruxelles a livello di ministri della difesa (per l’Italia Roberta Pinotti). L’agenda
non è stata ancora comunicata. È però già scritta nella «National Defense
Strategy 2018», che il segretario Usa alla Difesa Jim Mattis ha rilasciato il
19 gennaio. A differenza dei precedenti, il rapporto del Pentagono è quest’anno
top secret. Ne è stato pubblicato solo un riassunto, sufficiente comunque a
farci capire che cosa si prepara in Europa. Accusando la Russia di «violare i
confini di nazioni limitrofe ed esercitare potere di veto sulle decisioni dei
suoi vicini», il rapporto dichiara: «Il modo più sicuro di prevenire la guerra
è essere preparati a vincerne una».
Chiede
quindi agli alleati europei di «mantenere l’impegno ad aumentare la spesa per
potenziare la Nato». L’Italia si è già impegnata nella Nato a portare la
propria spesa militare dagli attuali circa 70 milioni di euro al giorno a circa
100 milioni di euro al giorno. Praticamente nessuno, però, ne parla nel
dibattito elettorale.
Come non si
parla del contingente italiano schierato in Lettonia a ridosso del territorio
russo, né dei caccia italiani Eurofighter Typhoon schierati il 10 gennaio in
Estonia, a una decina di minuti di volo da San Pietroburgo, con la motivazione
di proteggere i paesi baltici dalla «aggressione russa».
Silenzio sul
fatto che l’Italia ha assunto il 10 gennaio il comando della componente
terrestre della Nato Response Force, proiettabile in qualsiasi parte del mondo
«alle dipendenze del Comandante supremo delle forze alleate in Europa», sempre
nominato dal presidente degli Stati uniti. Ignorata la notizia che la Marina
italiana ha ricevuto il 26 gennaio il primo caccia F-35B a decollo corto e
atterraggio verticale, il cui personale verrà addestrato nella base dei Marines
di Beaufort in Carolina del Sud. Questo e altro viene taciuto nel dibattito
elettorale. Esso si concentra sulle implicazioni economiche dell’appartenenza
dell’Italia all’Unione europea, ma ignora quelle politiche e militari, e di
conseguenza anche economiche, dell’appartenenza dell’Italia alla Nato sotto
comando Usa, di cui fanno parte (dopo la Brexit) 21 dei 27 stati della Ue. In
tale quadro non viene sollevata la questione delle nuove bombe nucleari B61-12,
che tra circa due anni il Pentagono comincerà a schierare in Italia al posto
delle attuali B-61, spingendo il nostro paese in prima fila nel sempre più
pericoloso confronto nucleare con la Russia. Per rompere la cappa di silenzio
su tali questioni fondamentali dovremmo porre ai candidati e alle candidate
alle elezioni politiche (come propone il Comitato No Guerra No Nato) due
precise domande in incontri pubblici, social e trasmissioni radio-televisive:
«Lei è favorevole o no all’uscita dell’Italia dalla Nato? Lei è favorevole o no
alla immediata rimozione dall’Italia delle armi nucleari Usa? Risponda Sì o No,
motivando eventualmente il perché della sua scelta».
Ai 243
parlamentari (tra cui spicca il candidato premier Luigi Di Maio), firmatari
dell’impegno Ican a far aderire l’Italia al Trattato Onu sulla proibizione
delle armi nucleari, dovremmo porre una terza domanda: «In base all’impegno
sottoscritto, Lei si impegnerà, nella prossima legislatura, per la immediata
rimozione dall’Italia delle bombe nucleari Usa B-61, che già violano il
Trattato di non-proliferazione, e per la non-installazione delle B61-12 e di
altre armi nucleari?».