Pagine

giovedì 22 febbraio 2018

Giuseppe Martucci ci ha lasciato
di Cataldo Russo

La rivista Artecultura

È morto il direttore di “Artecultura” da sempre impegnato
in favore della pace e dell’arte. 

Sono certo che Edgar Lee Master, il grande e fortunato autore de L’Antologia di Spoon River, il libro di poesie più letto del XX secolo, avrebbe ben volentieri scritto un epitaffio o un componimento per Giuseppe Martucci, il direttore di Artecultura scomparso alcuni giorni fa, in punta di piedi, ignorato dai media e dai poteri forti, verso i quali il poeta e critico d’arte non è stano mai tenero e accondiscendente.
Lo avrebbe scritto perché il poeta americano amava le storie delle persone umili, che preferiscono l’agire al parlare.
Fa rabbia, in questo mondo di apparenze, farcito di falsi intellettuali, VIP di cartapesta, veline e giornalisti giullari, che una persona come Giuseppe Martucci non abbia avuto nemmeno due righe su un giornale e due parole alla radio o alla televisione. Martucci è stata una persona straordinaria e vera. Un uomo sanguigno che non si è mai piegato alla logica del potere, che per tutta la vita ha portato avanti con l’ostinazione tipica dei lucani, le sue battaglie a favore del disarmo, della pace, della poesia, dei valori della laicità.
Martucci era un uomo generosissimo, sempre pronto ad aiutare e incoraggiare un artista che si rivolgeva a lui per un consiglio, un parere, una critica. Così generoso da destinare, a dispetto delle ristrettezze economiche che caratterizzava la sua esistenza, borse di studio per gli studenti che partecipavano alle sue iniziative a favore della poesia, della pace, dell’integrazione e del disarmo.    
La vita di Martucci è stata tutta in salita, ma lui non si è mai arreso. Bracciante, operaio, sindacalista, il direttore di Artecultura è l’esempio più nobile di auto- emancipazione attraverso la cultura.
Martucci era un uomo di cultura, ma mai si è atteggiato ad accademico. Anzi, a volte guardava coloro cui viene appiccicata l’etichetta di intellettuali con sospetto per la loro attitudine ad ammiccare al potere o di vivere all’ombra dei padrini, cosa che lui non ha mai fatto.
Martucci era un critico d’arte preparato e serio, avulso dalle sviolinate, era un poeta autentico, che attribuiva alla poesia il nobile ruolo di riscattare l’uomo dalle brutture della guerra, dal degrado ambientale, dalla violenza e dalla corruzione.  Martucci era anche uno scrittore raffinato, pronto a intraprendere o aderire a un’iniziativa per rinvigorire la cultura e innovare e svecchiare la politica.
Alcuni anni fa, lo scrittore Angelo Gaccione, io e pochi altri amici lo candidammo al Premio Nobile per la pace. Non si trattava solo di un’iniziativa provocatoria verso un’istituzione che negli ultimi tempi ha attribuito il prestigioso premio per la pace a leader che poi si sono dimostrati dei veri e propri guerrafondai, ma di una proposta che riconosceva il valore morale e la coerenza di un uomo che si è sempre battuto per la pace, l’emancipazione degli ultimi, l’uguaglianza e l’integrazione, senza distinzione di pelle.