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venerdì 23 febbraio 2018

Il racconto
IL COMPLEANNO
Opera di Giuseppe Denti

Ricordo che anni addietro avevo trovato lavoro in una azienda di Lecco la cui produzione consisteva nell’imbustare lettere, depliants e quant’altro. La persona che mi aveva indicato questo posto era per alcuni versi un personaggio ambiguo. Avevo deciso di smettere di fumare e mi ero rivolto a lui. Non era nessuno e ben presto capii che era un bluff, figuratevi che teneva corsi anche per guarire l’omosessualità come se si trattasse di una malattia.
Partivo alla mattina alle cinque dalla mia abitazione che era ancora buio ed essendo febbraio faceva un freddo cane, attraversavo il largo viale Fulvio Testi con i semafori  ancora lampeggianti, controviale, viali centrali, controviale e alla fine in via Pulci raggiungevo la fermata del tram linea 7, di nuova costruzione, tram nuovissimo. Poche fermate lungo la via Rodi attraversando la neonata Università Bicocca e giungevo sul piazzale della Stazione di Greco-Pirelli. A quell’ora la sala d’aspetto era piena di clochards, extracomunitari ed anche no che dormivano per terra con addosso una coperta o dentro un sacco a pelo; io ero costretto ad aspettare il treno sulla pensilina al freddo. Il treno era carico di persone e si andava sempre più riempiendo soprattutto di studenti man mano che si avvicinava a Lecco. Di sedersi neanche a pensarci.
Fuori il paesaggio invernale, gli alberi spogli, i rami come mani ossute ghermenti il cielo plumbeo,  grigio come ferreo soffitto. I ruscelli e i torrenti si immaginavano inquinati, forse  erano  la causa che privava della vita la vegetazione laddove la fanghiglia melmosa  lambiva il corso d’acqua. Cloache, discariche che attraversavano lande desolate tra i villaggi.
I nomi dei paesi dove il treno fermava alla stazione,  Arcore, Carnate-Usmate, Osnago, Cernusco- Merate , Calolziocorte;  io scendevo a Lecco Maggianico fermata prima di Lecco centro sul lago di Garlate, da dove per arrivare alla fabbrica in riva al lago dovevo fare ancora strada a piedi. Arrivavo alle 8-8.30.  In azienda a conduzione familiare vi erano pochi operai e operaie addetti all’imbustaggio, macchine automatiche e poi macchine per l’operazione di confezionamento e lo stoccaggio con i muletti. A mezzogiorno andavo a pranzare in  un vecchio bar-osteria salendo dove vi erano un gruppo di case. Una pastasciutta, un panino con il salame e un bicchiere di vino, magari un grappino per poche lire. Poi tornavo in fabbrica . Mentre ero intento a imbustare, dietro di me sentii la presenza di una persona, era il titolare che con un rimprovero mi punzecchiava affinché io aumentassi il ritmo di lavoro. Più di cosi cosa vuoi fare, pensavo io.
Venne il giorno del compleanno del capo ed è li che io maturai la mia decisione di andarmene.
Tutti facevano gli auguri, ma in maniera affettata, troppo falso, mellifluo e quanti complimenti superflui al taglio della torta che il principale eseguì tutto compiaciuto come un pavone maschio dispiega la coda. Mandai tutti a quel paese.
[Tiziano Rovelli]