LEGGE ELETTORALE E
ARTICOLO 67 DELLA COSTITUZIONE
di Franco Astengo
Alfio Mastropaolo dalle colonne
del “Manifesto” del 21 Febbraio dopo aver definito “sgangherata” l’attuale
legge elettorale invoca una formula elettorale proporzionale “ragionevole,
senza dispersioni eccessive che lasciano ai partiti la responsabilità di unire
uno schieramento”.
Quel tipo di
formula elettorale (in un quadro legislativo compiuto sulla materia che al
riguardo dei vari aspetti che il processo elettorale contempla che mi permetto
di definire ancora adesso quasi perfetto) c’era già ed era il tipo di
proporzionale che senza fortuna difendemmo dal referendum del 18 aprile 1993,
quando la furia iconoclasta dei maggioritari (Segni con Occhetto e Pannella)
contribuì a distruggere buona parte degli avamposti democratici che, sulla base
del dettato costituzionale, erano stati costruiti nell’immediato dopoguerra,
attraverso il sistema dei partiti.
IL DPR del
1957, dopo la vicenda della legge truffa del 1953, conteneva, al riguardo
appunto della formula elettorale, sia un premio per i partiti maggiori
(attraverso l’aumento della cifra del divisore nei collegi: in quel modo, tanto
per esplicitare, DC e PCI pagavano ogni deputato circa 50.000 voti, PRI e PLI
circa 80.000), sia una soglia di sbarramento con la richiesta di 300.000 voti
su tutto il territorio nazionale e dell’ottenimento del quorum in almeno una
circoscrizione: quindi 60.000 voti circa da ottenere in una grande città,
difatti il PLI realizzava il quorum a Torino, il PR a Roma, il PdUP a Milano.
Soglia di sbarramento che dovrebbero ben ricordare quanti hanno avuto la
ventura di passare attraverso le storie di PSIUP e Manifesto (cfr. elezioni
1972).
Il risultato
di quella formula elettorale (in una situazione specifica protrattasi per anni,
con la DC partito “pivotale” e il PCI ridotto nella “conventio ad excludendum”)
fu ,per un lungo periodo, quello di consentire la presenza parlamentare delle
principali “sensibilità” e “culture” politiche presenti, in una misura
consistente, nel Paese e raccolte (fino all’esplosione delle “fratture post –
materialiste” e il conseguente calo nella partecipazione al voto che fino ad
allora, seconda metà degli anni’80, si era mantenuta superiore al 90%) in 7-8
formazioni politiche che diedero vita a 3-4 formule di governo (dopo la
solidarietà nazionale nell’immediato dopoguerra, il centrismo, il centro –
sinistra dopo qualche sussulto non trascurabile, il centrosinistra -quello
“vero”-, il ritorno effimero alla solidarietà nazionale chiusa con l’esito del
rapimento Moro, il pentapartito). Il tutto in applicazione del dettato togliattiano,
da ricordare per l’ennesima volta ,del “Parlamento specchio dei Paese”.
Quindi la
formula elettorale di riferimento volendo esiste e può essere ripresa e
aggiornata: un’opposizione di sinistra alternativa potrebbe sicuramente farne
un punto di battaglia e aggregazione politica.
Così come
deve essere espressa un’assoluta contrarietà all’abolizione dell’articolo 67
della Costituzione, inerente la libertà di mandato. Abolizione oggi annunciata
dalla destra e dal M5S. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Si tratta di un principio
che va assolutamente difeso. Certamente, come altri istituti quali l’immunità
parlamentare e le agevolazioni per deputati e senatori per esempio in materia
di gratuità dei viaggi, abbiamo verificato l’emergere di una progressiva
degenerazione che ha portato al record di trasformismo raggiunto nel corso
della legislatura appena conclusa. E’ necessario però ricordare come si tratti
comunque di punti di principio fondamentali per l’esercizio dell’attività
parlamentare da parte di tutti in piena libertà e inalienabili.
Quanto
all’articolo 67 è necessario ricordare, non tanto e non solo i deprecabili
episodi di trasformismo che ci accompagnano ormai da diverse legislature (da
quando cioè si è affermato il principio di “nomina” dei parlamentari e sono
state abolite le preferenze), ma i grandi avvenimenti che segnarono il
riallineamento nel sistema politico italiano dovuti a passaggi fondamentali
nello sviluppo del pensiero politico e delle scelte di fondo dei partiti (cito
tre episodi per i quali valse l’articolo 67 nel bene e nel male, intendiamoci:
la formazione del PSLI a Palazzo Barberini nel 1947, la formazione dello PSIUP
nel gennaio 1964, la formazione del gruppo del Manifesto nel 1969) furono
possibili anche per l’assenza del vincolo di mandato.
Legge
elettorale proporzionale e articolo 67: punti di principio che abbiamo difeso e
che dobbiamo continuare a difendere e a proporre perché fondamentali rispetto
alla logica di fondo che la nostra Costituzione esprime circa la centralità del
Parlamento. L’Italia deve rimanere una repubblica parlamentare, anzi è
necessario riaffermare con forza questo principio troppo spesso messo in
discussione: del resto un principio che l’elettorato ha dimostrato di approvare
respingendo con il 59% di NO nel referendum il goffo tentativo di modifica
costituzionale portato avanti dal PD il 4 dicembre 2016.