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mercoledì 7 febbraio 2018

Taccuini
LA VERSATILITÀ DEL FLAUTO
di Angelo Gaccione

San Calimero

Vale la pena una gelida sera di febbraio vincere la pigrizia, sfidare il freddo tagliente,  e recarsi alla Basilica di San Calimero per un incontro musicale, se a convocarti è l’Ensamble Vocale Harmonia Cordis o l’Associazione Noema, che a San Calimero sono ormai di casa. Vale la pena perché la qualità ed il valore delle proposte non deludono mai: si tratti di musica sacra corale o strumentale, di melodie medievali, rinascimentali o barocche, il godimento spirituale è assicurato per noi ammorbati  di musica. Ma non è da trascurare il puro nutrimento intellettuale: perché te ne torni a casa avendo imparato sempre qualcosa. È accaduto così anche sabato scorso (3 febbraio) con il concerto A tre flauti senza basso, con cui Noema (Associazione per lo studio e la promozione della cultura musicale) ci ha regalati Capricci, Fantasie, Sonate, Suites, tutti eseguiti a tre, a due, a un flauto solo, mettendo insieme un trio di musicisti di provata esperienza: l’olandese Walter Van Hauwe, la giapponese Seiko Tanaka e il nostro Daniele Bragetti che in quanto milanese giocava in casa. Il programma, alquanto vario, ha compreso brani di autori super celebri come Bach, Telemann e Bodin De Boismortier, ma ha spaziato dentro linee temporali che hanno compreso i brevi Capricci cinquecenteschi di Vincenzo Ruffo, spunti dell’inglese William Cornysh - che temporalmente lo precede di circa cinquant’anni - e toccato il Novecento con Paul Hindemith e il cinese Isang Yun. Ma senza trascurare un Preludio, un Allegro e una Ciaccona di un altro autore sei-settecentesco, il tedesco Johann Mattheson.


San Calimero. La cripta


Il flauto ha origini antiche, come attestano cicli pittorici e incisioni su pareti o vasellame. Se ne conosce l’esistenza di ogni foggia e dimensione, e anche il trio che si è esibito a San Calimero, era munito di una discreta collezione. Ne ha proposto una variegata campionatura: un esemplare rinascimentale solo in Fa, sorta di “flautone” gigantesco e massiccio, accanto a un “flautino” minuscolo e squillante dalla voce gentile, e abbiamo potuto gustarne i vari toni e le diverse coloriture. Ma tutti a me paiono gentili questi flauti, dolci e “magici”; di una dolcezza che è loro connaturata e se il Rinascimento ne ha fatto uno dei suoi simboli più pregnanti (come dimenticare la stupefatta meraviglia che il suo suono conferisce alla musica di corte così indispensabile alla leggiadria delle danze e al sinuoso ondulare dei ricchi e colorati costumi?),  assieme alla nobile famiglia degli strumenti a corda, il Barocco ha saputo cavarne fuori tutta la gioiosa, ludica, virtuosa armonia, in un ricamo di note per me celestiale. Un flauto barocco, un liuto, un cembalo, assieme sono in grado ancora in questo nostro tempo freddo e disincantato, di toccare in anime sensibili i più profondi abissi. Mi sono spesso chiesto a quale parte del mio corpo è rapportabile il suono di questo strumento, dal momento che esso è in grado di riprodurne una gamma mutevole che va dallo straziato lamento al richiamo tribale, dall’imitazione di un ruscello al cinguettio di un volatile e così via.

La natività attribuita a Marco d'Oggiono


Strumento particolarmente versatile, ho avuto la fortuna di vederlo impiegato negli ensambles più eterogenei e fondervisi magnificamente. Persino nel jazz il flauto è un meraviglioso supporto oltre che un primo attore straordinario in grado di farsi strada, aprire il giro dell’improvvisazione, tracciare il percorso, aprire la strada agli altri strumenti più canonici come un clarinetto, un contrabasso o una tromba. Che possedesse i timbri giusti per fare la sua bella figura anche dentro gli azzardi e le provocazioni antimelodiche delle avanguardie, o dentro le sperimentazioni e le ricerche più ardite, si è potuto averne le prove con l’esecuzione solista di Van Hauwe sui brani “Der Besucher der Idylle” (“Il visitatore dell’idillio”) e “Die Hirtenflöte” (“Il flauto del pastore”) dai Quadri cinesi (Chinesische Bilder) che Yun scrisse nel 1993. L’abilità dell’interpretazione e la natura della partitura, hanno permesso a uno strumento dall’apparenza così dimessa, di sorprendere il pubblico per gli esiti a cui può essere portato. Sì, è valsa proprio la pena interrompere la lettura di Stendhal, sfidare il freddo di una sera di febbraio e il freddo della chiesa, in fondo questa Basilica consacrata a un arcivescovo orientale dal nome così ben augurante (Buongiorno è la traduzione italiana del suo nome greco), conserva la sua fattura bizantina negli affreschi e nei mosaici, e come contenitore è niente male. Intanto la si è voluta edificare lungo la direttiva più importante della città, quella che porta a Roma, sede della cristianità, la Porta Romana. Pare che il vescovo Ambrogio proprio per l’esistenza di San Calimero in questa parte di città, abbia voluto che a pochi metri e sempre sulla via romana, fosse edificata un’altra importantissima Basilica, quella di San Nazaro in Brolo (a lui la tradizione attribuisce il disegno a croce latina), nei cui sacelli riposano tuttora i resti della famiglia Trivulzio signori di Milano. In queste occasioni è anche possibile visitare la cripta, leggere le iscrizioni dell’altare e ammirare gli affreschi dei fratelli Della Rovere, Giovanni Battista e Giovanni Mauro, i Fiamminghini, come la storia dell’arte li ricorda. Ma c’è anche una splendida tavola di un’ Adorazione del Bambino attribuita a Marco d’Oggiono, e c’è pure una crocifissione attribuita al Cerano: autentiche o meno, sono meravigliose.