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giovedì 19 luglio 2018

Complessità, indeterminatezza, imprevedibilità
di Laura Margherita Volante


“La complessità si presenta come difficoltà e incertezza, non come chiarezza e come risposta… quelli che sembrano essere i residui non scientifici delle scienze umane, l’incertezza, il disordine, la contraddizione, la pluralità, la complicazione, fanno oggi parte della problematica di fondo della conoscenza scientifica”. (Edgar Morin)
La psichiatria più evoluta dialoga con le neuroscienze che prendono in esame:
1) la coscienza, 
2)gli aspetti cognitivi, 3)
gli aspetti inconsci che rivelano la sfera emotiva.

Il rapporto fra questi tre elementi, dove l’aspetto emotivo e motivazionale determinano/condizionano il cognitivo,è la via possibile per recuperare, riscoprire, accogliere, reinventando rapporti capaci di ricondurre all’interazione ciò che ora appare diviso. Perché una riflessione sulla conoscenza? Nel momento storico attuale la conoscenza gioca un ruolo centrale. Cos’è questo “conoscere”? Si lotta per la conoscenza. Diciamo che la conoscenza dà potere, facciamo guerre per le discrepanze nella conoscenza. Cos’è tutto questo? Si passano anni ad acquisire conoscenze. Cos’è che c’è in gioco? Che succede?  L’ impostazione scientifica della conoscenza è un fatto di portata incommensurabile, perché riporta l’attenzione non tanto su un “sapere esterno” agli individui, che ci viene dato come appartenente ad un corpo esterno ad ogni individuo, ma come corpo di sapere fornito ad un individuo non può che far parte di un contesto condiviso dagli stessi individui. Quindi gli individui modificano, in un certo modo, sia l’apparato di conoscenza che il corpo di conoscenza su cui intervengono. È una dimensione interattiva riscoperta dagli epistemologi della complessità ed in particolare dagli studi di Maturana. La mente sospettosa “Suspicion mind”, in fondo vuol indicarci che gli errori quando vengono commessi, piuttosto che da cancellare, sono fonti di conoscenza, fonti di nuove conoscenze.
Un futuro sempre più appartenente al presente
Per questo motivo diventa più che mai necessario dedicare tempo a esplorare e comprendere ciò che avviene, per governare, non controllare, l’incertezza. Lavorare in tale prospettiva significa, da una parte, disporsi in un’ottica di sistema che opera all’interno di e in relazione nella dinamica di sistemi più ampi, dall’altra mantenendo la centralità della persona nella sua imprevedibilità e unicità senza operare come un onnipotente architetto sociale.
Da questa premessa mi sembra che il non convenzionale ben si presti all'ampliamento dell'esperienza individuale e collettiva per l’evoluzione di un sapere, che si ponga in una realtà multidimensionale, per l’avvio di una cultura multidisciplinare riducendone i rischi legati alla specializzazione e burocratizzazione. Questa impostazione cerca di superare la frammentazione delle Scienze, creando legami tra forme di conoscenza filosofica, economica, fisica, matematica e medica, complementari per una visione d’insieme e interattiva della conoscenza umana. La multidimensionalità dei problemi scientifici può così fornire elementi utili alla conoscenza della complessità di cui facciamo parte. Nell'ambito terapeutico-medico diventa fondamentale valorizzare il globale: le relazioni tra il tutto e le parti (dall'olismo al riduzionismo e viceversa). Solo oggi, ad esempio, la società occidentale sta recuperando una visione “olistica” del malato; uno sforzo, quindi, per riavvicinarsi al concetto non più della malattia dell’uomo, ma piuttosto dell’uomo malato, visione presente nelle culture orientali e in molte società dell’antichità. Il pensiero del mondo occidentale è stato per secoli centrato sulla convinzione che la salute rappresentasse lo stato di normalità e che la malattia fosse una devianza di tale stato. Il passaggio da uno stato all’altro era imputato a motivi legati ora al fato, ora alla religione, ora all’occulto, ecc. Le epidemie del medioevo trovavano la loro spiegazione nei peccati dell’umanità, la cui sconfitta era possibile nella fede, nella preghiera, nella penitenza. Così le malattie erano considerate, in alcune realtà culturali, come l’effetto di maledizioni e di fatture. Nella nostra società sono ancora evidenti i residui di tali concezioni. Un momento storico che ha rappresentato una svolta è quello in cui si è affermato il pensiero illuministico. Esso ha riscoperto l’uomo nella sua interezza con un approccio scientifico. Nascerà quindi la grande medicina: la medicina dell’osservazione, dello studio, della biochimica e della microbiologia, delle provette e del microscopio; ed è proprio il microscopio che studia e scandaglia l’infinitamente piccolo, alla ricerca del germe, del batterio portatore di malattia. Proprio in questa dimensione si perde di vista l’uomo e i bisogni che ruotano attorno ad esso. Solo alla fine del secolo scorso l’attenzione si rivolge verso una medicina a indirizzo sociale e preventivo; ma ancora oggi manca l’anello di congiunzione fra la medicina e la sua dimensione umana. Una delle prime esperienze che il malato deve affrontare è quella di provare, socialmente e psicologicamente, la propria inutilità. E la scoperta della propria inutilità modifica profondamente rapporti e relazioni a diversi livelli. La malattia può portare alla morte, provocando nel malato un vissuto di morte. La malattia oltre alla perdita della salute, è la perdita della convinzione che sia un fatto degli altri: sono gli altri che soffrono, che si ammalano, che muoiono accantonando l’idea che tutto ciò possa accadere a noi. Ecco che la malattia apre squarci di dimensioni inaspettate e improvvise in cui l’individuo malato si trova impreparato a fronteggiare e, non solo, a dover riorganizzare criteri di valutazione del proprio sé e del rapporto sé-gli altri in spazi di relazione i cui confini si fanno sempre più netti. La multidimensionalità mette in luce, quindi, la considerazione delle componenti biologiche, psichiche, sociali, affettive, razionali dell'uomo. Considerare il complesso: soffermarsi sui legami fra unità e molteplicità (complexus). È in questo momento che lo studioso si pone la domanda: “esiste una “scienza delle scienze?”. Ma, cosa significa questa espressione? Essa si riferisce ad una disciplina in evoluzione che dovrebbe legare la storia della scienza, la filosofia della scienza, la sociologia della scienza e l'epistemologia con risvolti pratici sulla metodologia della scienza. Questa dinamica, però, non può non considerare il contesto scientifico in cui una teoria nasce, cresce e muore. La caratteristica più interessante dei grandi scienziati sembra essere la duttilità, tendenza ad abbandonare gli assunti quando vi siano prove in favore del contrario. Tale peculiarità prenderebbe corpo dalla vastità del campo d'interessi che loro consentirebbe l'impiego di concetti, fatti ed idee appartenenti a settori contigui del sapere. Essi fanno buon uso di analogie e comparazioni, ma sopratutto, si pongono domande significative per uscire dalle ombre del convenzionale stereotipato.