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giovedì 19 luglio 2018


L’Afrique libre ou la mort


Kemi Seba è un attivista panafricanista, un intellettuale che lotta per la sovranità dell’Africa. Il suo nome è balzato alle cronache le scorse settimane. L’attivista, infatti, è stato rinchiuso in un carcere su ordine di Parigi, prima di essere liberato dalla magistratura del Senegal dopo 24 ore. Essendo nato a Strasburgo da una famiglia senegalese, del resto, è anche un cittadino francese, quindi è soggetto alle leggi d’oltralpe. Il motivo per cui è stato arrestato è aver bruciato un franco Cfa durante una manifestazione.

Il franco Cfa è una moneta con un tasso di cambio gestito a Francoforte, un tasso fisso sull’euro che attenua, per usare un eufemismo, i rischi per le società europee che investono e operano nella Françafrique, le ex colonie francesi in cui la moneta ha ancora corso legale. L’attivista è un aperto sostenitore della necessità che questa tipologia di moneta venga abolita, così da restituire ai Paesi africani piena indipendenza e sovranità economica e sta costruendo un movimento politico in tutta l’Africa nera in funzione di questa battaglia. Con un seguito popolare che comincia a fare notizia.
La Francia e i proconsoli francesi presenti nella nazione senegalese, evidentemente, non la pensano alla stessa maniera e, come conseguenza del gesto provocatorio operato dall’intellettuale, hanno proceduto con l’arrestarlo. Lo strumento del franco Cfa è sotto accusa da parte di chi ritiene che rappresenti una sorta di continuazione del colonialismo francese sull’Africa occidentale. Un mezzo del neocolonialismo finanziario, per l’esattezza.
Ma la storia di Kemi Seba è anche quella di un africano che lotta affinché i suoi connazionali e i cittadini degli altri Stati dell’Africa arrivino a possedere gli strumenti per non lasciare il proprio continente emigrando. Affascinato dalla personalità di Malcolm X, Kemi Seba si ritaglia subito un ruolo da attivista nonostante la giovane età. “Adolescente, leggevo Nietzsche, vivevo al ritmo delle punchlines del rapper 2Pac, ero affascinato dalla collera politica nera del dottor Khallid Muhammad, la poesia del fratello guineano Léon Gontran Damas, il lato iconoclasta del nazionalista olandese Pim Fortuyn, il coraggio del primo ministro congolese Patrice Lumumba, l’eleganza dell’indomabile Winnie Mandela”, si legge in questo pezzo di Sebastiano Caputo .
Kemi Seba, insomma, è l’espressione più attuale del panafricanismo, l’ideologia nata agli inizi del 900 per dare vita ad una Unione Africana in grado di superare gli steccati posti dalle singole differenze identitarie e rilanciare l’idea di un “ritorno all’Africa”, così come augurato dallo scrittore e sindacalista giamaicano Marcus Garvey. All’interno della lotta per la restituzione di una sovranità monetaria assoluta al continente nero, quindi, c’è spazio anche per teorizzare da capo l’idea che gli africani emigrati in continenti diversi da quello originario siano, anzitutto, cittadini dell’Africa. E la storia di Kemi Seba finisce per intrecciarsi, così, con quel “diritto a non emigrare” postulato da Benedetto XVI, cioè la possibilità di trovarsi nelle condizioni di poter restare nella propria terra di appartenenza.
La ribalta del sovranismo, in definitiva, non riguardo soltanto il continente europeo, ma si estende anche in altre zone del mondo. La storia di Kemi Seba rappresenterebbe l’esemplificazione pratica più attuale di questo assunto. Per altri, invece, sarebbe proprio il Franco Cfa a garantire la stabilità negli scambi commerciali con queste nazioni. La Nigeria, ad esempio, che usa la naira, con un tasso di cambio sul dollaro, non avrebbe fondamentali economici migliori... [B.B.]