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lunedì 9 luglio 2018


EDUCAZIONE E INQUIETUDINE
di Fuvio Papi
La copertina del libro

Elena Madrussan ha scritto un libro Educazione e inquietudine. La manouvre formativa (Ibis, 2017) che assomiglia molto a una ricca enciclopedia teorica che deriva dai tratti essenziali del sapere contemporaneo, una rassegna delle difficoltà, forse inseparabili, per chi si collochi in una dimensione educativa. Ma, al margine estremo, Elena mostra, in questo orizzonte allieva di Antonio Erbetta (che tutti ricordiamo per il suo lavoro), come possa riprodursi il rapporto tra esistenza e senso come “radura” di un fare educativo. La riproposizione di questo rapporto educativo deve sopportare le difficoltà che il sapere contemporaneo ci mostra in una pluralità di saperi, psicologici, sociali, culturali, organizzativi. Ciascuno dei quali l’autrice analizza con una conoscenza ricca e analitica dei problemi. Ne deriva una esperienza vissuta della cultura contemporanea, selettiva nel modo più appropriato, tale da comporre un disegno coerente dal quale non si può sfuggire con “trovate” banali, ma nemmeno guardare con il tipico incanto dell’impossibile. Il discorso, nel suo complesso, è “platonicamente” filosofico, nulla è ridotto a tecnica pertinente a un oggetto specifico. L’educazione interroga se stessa, e l’insieme culturale dei saggi mostra come si può discorrere filosoficamente di educazione: un’impresa che, considerata, da qualsiasi lato ci attende nella problematicità e non nella sicurezza.
Una breve nota come questa non può rendere conto degli itinerari di Elena. Tuttavia si può almeno commentare quello che dice il titolo del libro: educazione come inquietudine. È tutto il contrario di un titolo che dica “Teoria dell’educazione”. In questo caso l’autore della tradizione fa due mosse: 1) parla di sé come signore della verità; 2) in realtà è già in relazione con una forte tradizione intellettuale di cui l’educazione è oggetto.
Madrussan, invece, unisce “educazione” a inquietudine: non c’è processo educativo che non sia inquieto. Poiché Elena cita Pessoa e il suo  Il libro dell’inquietudine, mi fermerò un momento su questo tema. Pessoa, ed è cosa notissima, inventa eteronimi come personaggi viventi, autori del suo lavoro poetico, quasi a mostrare la pluralità di relazioni possibili tra biografia e scrittura. Ma per Il libro dell’inquietudine, (anch’esso con il suo eteronomo) Pessoa dice che il “diario-romanzo” (20 anni di vita) lo riguarda direttamente. L’inquietudine è una forma della vita, sotterranea ed essenziale. Nel libro di cui ora parlo l’inquietudine appartiene tutta a una figura culturale che nel mondo si pone il problema educativo. Tutto il contrario del pedagogista dogmatico del celebre romanzo di Musil.
Un personaggio, quello che deriva dalle pagine di Elena, che culturalmente si dissolve nella pluralità di prospettive che attraversano oggi il proposito educativo, simili alle occasioni in cui si costruisce nel tempo l’inquietudine che appartiene alla vita. Trovata l’analogia, troverò ora la radicale differenza. La vita accade, la scrittura disegna; l’educazione, se si mantiene la parola, è una fase che ha bisogno di un tempo e di un fine. E qui l’educatore rischia: deve trovare il suo spazio, deve formare, inventare lo scopo e il fine: è tutto l’orizzonte dell’inquietudine. Non c’è niente “più in là”. Ad Elena potrei suggerire di soffermarsi sulla figura “educanda” che non si esaurisce nell’inquietudine filosofica, ma impegna l’inquietudine nel fare qualcosa nel suo mondo, anzi in un mondo che, forse, guarda a noi stessi con un’altra inquietudine.