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lunedì 9 luglio 2018

IL DEMONE DEI REFUSI
di Angelo Gaccione

La copertina del libro

Confesso che il titolo Titivillus. Il demone dei refusi, mi aveva depistato. Ero convinto si trattasse della personificazione laica, tutta moderna, di quel dispettoso e malefico diavoletto che, inviso e temuto come la peste da tutti coloro i quali hanno a che fare con la scrittura e la stampa di ogni genere (libri e giornali soprattutto), si diverte a fare lo sgambetto, a seminare zizzania, creando imbarazzanti equivoci di ogni sorta nei testi, stravolgendo spesso il significato della frase e del discorso. Ho sempre nella memoria il gustoso episodio raccontatomi dal compianto e caro amico don Luigi Pozzoli, letterato e parroco in Santa Maria al Paradiso di corso di Porta Vigentina qui a Milano. Finito di battere al computer uno dei suoi testi per “Odissea” (a cui ha collaborato fino alla sua improvvisa e dolorosa scomparsa) che conteneva delle allusioni all’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, gli era venuto fuori questa definizione: un uomo con la testa sulle palle, al posto di sulle spalle. Lapsus scopertamente freudiano (vista la condotta pubblica del Nostro), ma era evidente  che malignamente il diavolo ci aveva messo la coda. I refusi a stampa sono sempre stati una dannazione, e le errate corrige che tuttora troviamo nei libri, ne sono la riprova. Già nel lontano 1563 essi obbligarono il tipografo veneziano Cavallo, ad inserire a prefazione di un’opera di Achille Fario Alessandro, questa deliziosa impotente e sconfortante presa d’atto dal titolo Alli benigni lettori: “In tutte le attioni humane quasi di necessità convien che succedano de gli errori: ma dove più facilmente, in più diversi modi, et più ne possono accadere che si avengano nello stampare i libri, non ne so immaginare alcuna. Et parmi la impresa della corretione di essi veramente poterla assomigliare al fatto di Hercole intorno all’Hydra de i cinquanta capi: percioché si come quando egli col suo ardire, et forze le tagliava una testa, ne rinascevano due, così parimenti mentre co’l sapere, et con la diligentia, si emenda un errore, le più volte s’imbatte che ne germogliano non pur due, ma ancho tre et quattro, spesse fiate di maggior importanza, che non era il primo...”.


Mi sono trovato invece fra le mani, un delizioso libretto per eruditi vergato da Julio Ignacio González Montañés (Pagg. 68 € 6,00) e pubblicato da una piccola raffinata editrice di Perugia, la Graphe.it che basa la sua politica editoriale sul concetto pubblicare meno per pubblicare meglio. Come dire: pochi libri e per pochi. Idee che non potevano non mandare in sollucchero un libridinoso come me. Rifiutarsi di trattare un libro come una merce qualunque, dedicargli la giusta attenzione, seguirlo nel tempo e non bruciarlo nello spazio sempre più contratto di un mercato divenuto nevrotico e drogato dalla quantità, è un’ottima pratica di resistenza, oltre che un salutare viatico per l’intelligenza.
Il demone di cui si tratta nel libro di Montañés, e di cui egli segue le tracce storiche, è noto nelle cronache degli amanuensi e degli scrivani medievali, con il nome di Titivillus. Ma appena si va a controllare la letteratura e la sua geografia, ci si rende subito conto di quante varianti ha subìto questo nome. Varianti che non hanno, tuttavia, alterato nel tempo e nei luoghi la natura della sua origine e lo scopo. L’origine si situa all’interno dell’orizzonte ecclesiastico cristiano, lo scopo è di tipo ammonitorio; uno spauracchio per porre un freno a quella che probabilmente era diventata una vera e propria degenerazione della celebrazione ritualistica. Pettegolezzi, ciarle, distrazioni, comportamenti poco consoni al luogo sacro da parte dei fedeli; omissioni di sillabe, di parole, a volte di brani interi, oltre che di storpiature fonetiche e di suoni incomprensibili da parte dei chierici, durante le messe, la recita delle Ore, la liturgia, e in modo particolare di tutta la funzione omiletica. Possiamo immaginare come alla svogliatezza si unisse anche la stanchezza dovuta alle ripetizioni e alle ore antelucane delle funzioni. Inventarsi un diavolo in grado di prendere nota su pergamene di tutte queste manchevolezze, di questi pessimi comportamenti e abitudini, per esibirli nel giorno del giudizio a cui si è chiamati, poteva essere un efficace deterrente. Come dire: 
attenti che Titivillus vi osserva, controlla e prende nota, e riferirà a chi di dovere. 


Un diavolo, Titivillus, che può vantare la conoscenza della scrittura e delle sue regole, e che armato di penna o di stilo, non si lascia sfuggire neppure i refusi e le distrazioni dei copisti al lavoro negli scriptoria. Ammonimento, questo, ancora più severo, perché si tratta di testi sacri e dunque non ci si può permettere errori. Occorre restare vigili, non farsi tentare dal maligno, perché nell’eterna lotta fra il bene e il male, le distrazioni e gli errori sono indotti dal demonio. In questo senso Titivillus svolge una doppia funzione: di controllore, perché sia garantita la corretta trascrizione; di distrattore, perché sia compromessa. In entrambi i casi l’errore come origine diabolica e non umana: In fondo una visione giustificatoria.
Nella veste di annotatore dei peccati di omissione lo troviamo raffigurato in alcune pitture murali, capitelli, stampe e incisioni, e se diversi trattati, exemplum e detti edificanti sentono il bisogno di sottolineare questa funzione, possiamo immaginare come certe omissioni e distrazioni fossero diffuse ed andassero stigmatizzate. Nessuna conferma documentaria, invece, della forzatura tutta otto-novecentesca di fare di Titivillus, il patrono della stampa.