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giovedì 19 luglio 2018


LEGGE MORALE E AZIONE POLITICA
di Franco Astengo
 
Kant
In questi giorni “Il Corriere della Sera” ha ripresentato l’ultimo lavoro di Zygmunt Bauman Gli stranieri alle Porte (prefazione di Donatella Di Cesare). Nel suo capitolo conclusivo dal titolo “Le radici dell’odio: antropologiche o legate al nostro tempo” il testo contiene citazioni e riflessioni che possono benissimo essere adattate a un quadro più generale ben oltre il tema dei migranti che costituisce l’oggetto del libro.
Una rilettura di alcune parti di questo testo potrebbe essere rivolta a ciò che rimane della sinistra italiana per porre a essa la questione del recupero di una legge morale e di un collegamento di coerenza tra questa e l’azione politica. Un tema, quello del rapporto tra Pensiero e Azione, che mi permetto di considerare assolutamente decisivo in questa fase che ben può essere considerata come di vero e proprio smarrimento.
Una fase nella quale emerge nel concreto del quotidiano quell’ “arretramento storico” di cui tante volte si è scritto in passato. L’evidenza di ciò che si vede e si legge in questi giorni ci dice che la “politica”, completamente slegata ormai da una “cultura della morale”, sta fornendo legittimità pubblica ai peggiori luoghi comuni del razzismo e della xenofobia: quindi dello sfruttamento. È la rilegittimazione dello sfruttamento il punto vero di “ritorno” all’indietro, oltre le condizioni nella relazione di classe stabilite, almeno in Occidente, con le lotte condotte durante la rivoluzione industriale.
Emergono dal profondo della società espressioni di rancore inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Non dimentichiamo che le parole contano, le parole sono pietre: spacciare paura è diventato un gioco facile, per fare audience e raccogliere voti: un voto di scambio da “straccioni morali”.
Bauman avvia il testo del capitolo sopra citato ricordando la convinzione di Kant circa la conoscenza morale, che è data a tutti gli uomini (e donne) in quanto dotati (dotate) di facoltà razionali. Kant però non era certo che da quella conoscenza derivassero necessariamente azioni morali.
Bauman allora cita Hannah Arendt: “ la condotta morale non è cosa che vada da sé”.
Il testo prosegue riprendendo ancora Kant e il suo giudizio sulla “facoltà di mentire” e sulla consapevolezza umana della propria falsità. Il punto che ci riguarda più direttamente è però quello legato alla valutazione circa l’impossibilità della soppressione della presenza della “legge morale in me” e del fatto che così si eleva infinitamente il valore della presenza umana. Su questa base la Arendt sostiene che “la qualità personale di un individuo è precisamente la sua qualità morale”.
Seguendo il filo di questo ragionamento Bauman pone allora il quesito decisivo, quello che, a giudizio di chi ha redatto questa nota, dovrebbe interrogare per intero ciò che è rimasto vivo nella sinistra italiana: “Come persuadere la volontà a seguire i dettami della ragione?”.
Nel corso di questi ultimi anni, infatti, è accaduto proprio questo: mentre la ragione avrebbe imposto di esaminare determinati percorsi politici seguendo un’analisi coerente dei fatti e l’ispirazione della propria storia,  la volontà si è rifiutata, invece,  di seguirli  perché espressa in modo da obliare la verità.
 Ne è seguito l’abbandono a una visione del potere esercitato attraverso una impropria affermazione dell’autonomia del politico considerata quale unico strumento dell’azione.
Il potere considerato quale esaustiva finalità dell’azione politica.
Alla sinistra italiana, compressa nel turbinoso vertice dell’astrattezza del potere esercitato come fine a se stesso (quasi come un bene in sé) è così mancata la capacità di valutare i dettami concreti della ragione e del legame fra la ragione stessa e la morale. Quella ragione che, se ascoltata, avrebbe consentito di vedere in quale direzione si stavano ponendo i fattori di trasformazione degli equilibri sociali e politici (ne abbiamo scritto tante volte e non è il caso di ripeterci anche in quest’occasione: guerra, disuguaglianza, sfruttamento) ma la volontà di potenza imponeva invece di ignorarli in favore di una lettura del tutto contraria alla realtà (e alla storia).
Allora si può concludere aggiungendo un’altra citazione da Hannah Arendt:
La distinzione principale, da un punto di vista politico, tra il Pensiero e l’Azione risiede nel fatto che io sono solo con me stesso o con l’io di qualcun altro quando penso, laddove sono in compagnia di molti quando inizio ad agire”.
Il ritorno alla forma collettiva della riunificazione tra Pensiero e Azione recuperando la nozione di “Legge Morale”: è  questo il nodo da affrontare per ricostruire la soggettività del cambiamento posta in diretta relazione all’espressione, come questa si verifica in quest’epoca, dei bisogni di massa e all’insopprimibile esigenza di ribellione al dominio.