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domenica 29 luglio 2018


MISSIONE MILITARE IN NIGER
E L’EMIGRAZIONE FORZATA
di Patrizia Sterpetti


La WILPF-Italia è contraria all’invio di militari in Niger perché dissente sia dall’analisi dei fenomeni che ne è alla base, sia dall’impostazione dell’intervento che è vecchia, non risolutiva e dannosa. Ribadiamo sempre la nostra convinzione, che non è un puro slogan, della necessità di spostare le risorse destinate al settore militare al settore civile. Ecco cosa sarebbe sensato nella nostra ottica pacifista.
Il Paese Italia, lo Stato italiano e i suoi governi avrebbero dovuto divenire, attraverso l’esperienza pluriennale dell’accoglienza dei migranti forzati, un’avanguardia a livello europeo e mondiale sui push factors che spingono le persone ad abbandonare i loro territori. Il protagonismo dell’Italia si sarebbe dovuto contraddistinguere, quindi, per una forte e documentata proposta all’Unione Europea di un’azione diplomatica coesa e coerente nei confronti dei dittatori e degli oligarchi che non garantiscono la vivibilità  alle popolazioni africane che si trovano costrette ad espatriare. Non possono esserci contraddizioni: un Paese europeo non può accogliere le vittime di un leader che è sostenuto da un altro Paese europeo. La pressioni diplomatiche, che hanno la loro efficacia (non si dimentichi il caso del Marocco, per decenni esportatore di migranti, che si trovò costretto grazie alle pressioni internazionali, ad indire le elezioni dell’alternanza nel 1997, a creare un Ministero per i diritti umani e l’Istanza Equità e Riconciliazione), avrebbero dovuto essere accompagnate da un piano strutturale di Cooperazione internazionale mirato precisamente sulle aree di partenza dei migranti forzati, creando dei partenariati tra regioni europee ed africane.
Per evitare le tragedie nel deserto e nel mare, effetto evidente della carenza di una rete strutturata tra Paesi esportatori e Paesi importatori di migranti forzati, si sarebbero dovuti pianificare in modo più generoso i flussi migratori per studio e per lavoro, con rilascio regolare dei visti nelle rappresentanze diplomatiche. In concerto con l’OIM e l’ACNUR, la valutazione delle richieste di asilo avrebbe dovuto essere garantita, insieme ai visti di ingresso, in ogni ambasciata e consolato, dotate di uffici e personale apposito. I Paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra dovrebbero essere incalzati dalla Comunità internazionale.

L’Italia, al centro del Mediterraneo, partner europeo, avrebbe potuto distinguersi per un approccio virtuoso di relazione con i Paesi africani, fin troppo stanchi di relazionarsi con gli ex Paesi colonizzatori. Come è stato osservato da tanti esperti di migrazioni inascoltati, le persone ben formate in Italia potranno tornare ai loro Paesi di origine e determinarne un avanzamento. L’Italia resterebbe nella memoria un’esperienza affettiva e formativa indelebile. Nella pianificazione del modello di accoglienza si dovrebbe fare un salto di qualità e attivare più risorse e programmi ad hoc per favorire la consapevolezza culturale e politica sul fenomeno da parte degli autoctoni, senza limitarlo a procedure organizzative ma vivendolo come un passaggio fondativo della Storia delle relazioni internazionali; senza viverlo con asetticità ignorante o obiettivi limitati ma padroneggiando i retroterra culturali degli accolti, aprendo loro la strada di una conoscenza articolata del mondo nel quale sono approdati, Italia ed Unione Europea.
Un Paese democratico dovrebbe interagire diversamente con le vittime di repressione, potenziando la loro capacità di denuncia e di organizzazione, facendone delle diaspore illuminate, protagoniste un domani della democratizzazione  dei propri Paesi di origine. Se questo non succede ma, anzi, gli accolti vengono vissuti come una presenza ingombrante e problematica ciò accade perché il sistema dell’accoglienza non valorizza le risorse umane giuste: i ricercatori delle Scienze umane, antropologi culturali, sociologi, esperti di religioni, storici, scienziati politici, linguisti, la ricerca-azione e l’insegnamento dei diritti umani. Ciò crea problemi di stress da adattamento sia agli accolti che agli autoctoni. L’esclusione di cervelli - e la loro fuga all’estero - provoca un vuoto di inculturazione rispetto ad un fenomeno sociale che pur essendo rilevante non ha abbastanza analisti che possano tradurlo, rappresentarlo, organizzarlo. È la morte della ricerca e infatti i ricercatori diventano martiri isolati e invece di avere tanti Giulio Regeni abbondano tra i giovani gli xenofobi, si diffonde il bullismo e la violenza, il voyeurismo sessuale in rete. Invece di stimolare l’interesse per la ricerca e il monitoraggio, per proporre delle riforme e delle soluzioni, l’esercizio della diplomazia popolare, invece di avvicinare alla politica e alla costruzione comune, alla partecipazione alle decisioni… la società civile si spegne, l’Italia diventa sui rifugiati uno Stato di Polizia, i servizi segreti subentrano ai ricercatori, l’esercito prende il sopravvento e la Fortezza Europa ripiomba in Africa chirurgicamente. L’Italia anziché distinguersi e fare da capofila con un approccio nuovo si incista in mezzo agli altri  (francesi, tedeschi, statunitensi, forse anche belgi e spagnoli) già presenti militarmente, spendendo soldi pubblici che sarebbero quanto mai utili alla ricerca, all’accoglienza e alla Cooperazione internazionale. Se non saranno vittime dell’uranio impoverito e dell’amianto sicuramente i militari in Niger conosceranno altre piaghe.


Invece di sperimentare l’unione diplomatica europea si fa esercizio della difesa comune, si parla di difesa dei propri alleati invece di cercarne dei nuovi. I rifugiati stessi vedono il G5 Sahel, (a cui aderiscono Mali, Niger, Burkina faso, Ciad e Mauritania) come un segno di sudditanza dei leader africani a quelli europei e ribadiscono che se nei loro Paesi arrivassero più aiuti e ci fosse lavoro resterebbero lì o tornerebbero. Non aiuti in cambio del controllo delle frontiere ma una Cooperazione svincolata, vera.
Dovranno spiegarci come potranno contrastare il traffico e contemporaneamente aiutare gli esseri umani trafficati e come si permettono di parlare a priori di clandestini se fra questi ci sono richiedenti asilo con diritto a depositare le loro richieste e a seguire l’iter necessario.
La WILPF-Italia apprezza le forze politiche che in Parlamento si sono opposte alla missione militare in Niger (il Movimento Cinque Stelle ha votato contro ma si è schierato prima contro le ONG che salvavano i migranti in mare, Liberi e Uguali ha probabilmente una visione lucida dell’erroneità dell’approccio, La Lega si è astenuta ma è d’accordo con la missione). Gravissimo da parte di Forza Italia il programma che propone come soluzione sicuritaria l’aumento delle Forze dell’ordine, ignorando il problema aperto del bisogno di formazione sui diritti umani di questi lavoratori. L’unica forma effettiva di difesa e l’unico radar che può orientarci nell’incontro e nell’accoglienza è la conoscenza unita alla correttezza, a percorsi di formazione, di inclusione - compreso il diritto alla cittadinanza - e il rispetto dei diritti umani. Solo questo può preservarci dall’esposizione a pericoli e ritorsioni latenti da parte degli accolti.