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sabato 1 dicembre 2018

Due città, Trieste e Milano
di Claudio Zanini

Piazza dell'Unità

Trieste è una città nella mia memoria. Vi sono nato e, a dieci anni, con i miei genitori, l’ho lasciata per trasferirmi a Milano. Mi colpì subito l’accento dei compagni delle scuole medie, dai preti, durante le preghiere collettive. A Trieste le vocali sono aperte, la lingua meno dura, più musicale. Ho fatto ritorno a Trieste poco frequentemente e per brevi periodi. Continua a essere, soprattutto, una città della memoria. Chiudo gli occhi e, avevo forse tre anni, rivedo la luce immensa che riempiva piazza dell’Unità e l’apparizione di due soldati a cavallo. Ricordo le strade strette che salgono verso San Giusto e i vicoli del Ghetto; la scogliera di Barcola; il mitico bagno La Lanterna, (noto anche come El Pedocin) dove donne e uomini sono separati da un muro; la palma nel cortile di casa, le finestre aperte sulla vastità azzurra del golfo e lo squarcio nella parete prodotto da due granate sparate da una corvetta inglese verso la fine della guerra. Poi l’impeto rapinoso della bora che morde le ossa.
Mi sono portato dentro la sua storia drammatica di città di confine, colta e multiculturale, straziata, tuttavia, dalla tragedia degli odi etnici e delle molteplici occupazioni; storia che, in me, è venuta alla luce poco alla volta. Storia che, insieme a un’atmosfera trasparente di cristalli levigati dal vento, riappare dissimulata nei miei scritti. Ci sono tornato, un’ultima volta, una decina d’anni fa, con la mia cara Novella. Lei s’è innamorata della città, io ancora la riconoscevo tra i ricordi, amata e lontana, città come dice Saba di “scontrosa grazia”. A Trieste non ho più nessuno, solo remote memorie.

La Risiera di San Saba

Milano mi ha accolto, negli anni ’50, con il suo cantiere di case in costruzione, in una zona che allora era periferia, il Giambellino. I prati, dove sorgevano ancora delle cascine, via via sparivano; la città cresceva ma espandendosi veniva deturpata da un’urbanizzazione dissennata. Si respirava un’aria malsana in equilibrio sul predellino dei tram affollati. Ricordo con nostalgia il cortile sassoso dell’oratorio dove si giocavano interminabili partite di calcio. Quindi, un percorso di studi tortuoso e accidentato, sfociato nel liceo artistico di Brera, allora situato nell’affascinante palazzo teresiano della Pinacoteca. Edificio dai misteriosi sotterranei proibiti ai discenti (e quindi assai visitati), che mi ha introdotto alle prime frequentazioni femminili. Del periodo sono le collaborazioni a giornali studenteschi. Non posso, anche, dimenticare sia il Bar Giamaica, luogo mitico d’artisti non ancora invaso dalle frotte turistiche e modaiole; sia la Cineteca di via San Marco (Bergman, i registi russi, Nouvelle Vague, ecc.) Poi l’Accademia di Brera nell’arroventato ’68 (con il sogno ambizioso si trasformarla in un Bauhaus meneghino).

Una veduta dell'Accademia di Brera a Milano

Infine, per coronare degnamente la mia ardua carriera scolastica, la facoltà di Filosofia alla Statale, dove conobbi Enzo Paci, Mario Dal Pra, Ludovico Geymonat e altri formidabili maestri. Milano intanto si faceva bella, d’una beltà discreta che scoprivo in tanti luoghi dove la storia ha lasciato segni profondi, in certi segreti cortili, nelle vestigia romane e nei vicoli medioevali, in magnifiche chiese e palazzi nascosti. A Milano ho conosciuto persone vive, visitate da un entusiasmo contagioso, sempre disponibili nei confronti dell’altro, fervidamente impegnate nella vita politica e civile. Veri cittadini del mondo, in una metropoli dove si respira un’atmosfera aperta e cosmopolita.

        
TRIESTE
Un testo poetico inedito di Claudio Zanini
dedicato alla sua città di nascita.

San Giusto


La mia città sorge dal mare,
luci offuscate, riflesse
nel respiro di lente maree
mentre sale il declivio ventoso.
Le sue case s’elevano
all’apice d’erte scoscese,
lustre nel lume dell’aria
dal lavacro delle bore.

È la mia città
di schiva beltà adorna.
Altra, eguale grazia non vanta
ma ferita straziante l’affligge
travaglio della memoria
amaro le piega il sorriso.

Nei vicoli, giù, si lamentano
le sirene di navi nel porto.
Voce d’esuli che non ritornano
rantolo dei sommersi (1)
tonfo dei corpi.
Risiera di San Sabba
discarica infernale sotto la luna.
Orbite nel Carso violato
dalle foibe infossate tra i rovi.
Mai sopite braci
di Narodni Dom (2), il rogo nefasto.
Luoghi di straziante dolore,
nella mia bella città, inobliati.

(Io, tuttavia, esule fanciullo,
come Ariele, genio dell’aria
ebbi cinto il capo di bore
e due piccole iridi brune
e l’ansia di conoscere ogni mare,
il seno delle terre e dei cieli.
Fanciullo migrante, ebbi ventura
d’involarmi altrove lontano
oltre i cipressi curvi nel vento 
con bagaglio lieve di parole.

Io sono lontano, ora il ricordo
è cielo di riflesso fuggevole
vasta palpebra
che si schiude alla luce.
Io sono lontano, ma la memoria
rinviene come l’enigma dell’onda,
che carezza e percuote
eguale e diversa)   

Note 
1)  I sommersi sono quelli del libro di Pimo Levi, I sommersi e i salvati
2)  Narodni Dom è la Casa della comunità Slovena incendiata per mano 
fascista il 23 luglio 1920



MILANO

Cortile di via Rossini n.3


Una non subitanea bellezza
vanta Milano, ma pudìca,
come certe sue corti segrete
entro vie discoste,
dove antiche ringhiere
trattengono nell’ombra
brume in trame silenti
e il traboccare folto
di fogliami oltre i cancelli.

Magnifico artefatto futurista,
Milano è città che sale; fremente
non volge alle spalle lo sguardo,
né s’arresta, affannato il respiro.
Galoppa inesausto il suo cuore:
nel tempo s’avvolge
verso altezze di cristallo.

La sua bellezza, tuttavia,
è sonora nei selciati,
quieta nell’acqua dei Navigli
assorta nei marmi delle chiese
laddove l’imporporarsi sfuma
nei crepuscoli lontani,
quando il cielo di Lombardia
vasto e bello già s’abbuia.