di Claudio Zanini
Piazza dell'Unità |
Trieste è una città nella
mia memoria. Vi sono nato e, a dieci anni, con i miei genitori, l’ho lasciata
per trasferirmi a Milano. Mi colpì subito l’accento dei compagni delle scuole
medie, dai preti, durante le preghiere collettive. A Trieste le vocali sono
aperte, la lingua meno dura, più musicale. Ho fatto ritorno a Trieste poco
frequentemente e per brevi periodi. Continua a essere, soprattutto, una città
della memoria. Chiudo gli occhi e, avevo forse tre anni, rivedo la luce immensa
che riempiva piazza dell’Unità e l’apparizione di due soldati a cavallo.
Ricordo le strade strette che salgono verso San Giusto e i vicoli del Ghetto;
la scogliera di Barcola; il mitico bagno La Lanterna, (noto anche come El
Pedocin) dove donne e uomini sono separati da un muro; la palma nel cortile di
casa, le finestre aperte sulla vastità azzurra del golfo e lo squarcio nella
parete prodotto da due granate sparate da una corvetta inglese verso la fine
della guerra. Poi l’impeto rapinoso della bora che morde le ossa.
Mi
sono portato dentro la sua storia drammatica di città di confine, colta e
multiculturale, straziata, tuttavia, dalla tragedia degli odi etnici e delle
molteplici occupazioni; storia che, in me, è venuta alla luce poco alla volta.
Storia che, insieme a un’atmosfera trasparente di cristalli levigati dal vento,
riappare dissimulata nei miei scritti. Ci sono tornato, un’ultima volta, una
decina d’anni fa, con la mia cara Novella. Lei s’è innamorata della città, io
ancora la riconoscevo tra i ricordi, amata e lontana, città come dice Saba di
“scontrosa grazia”. A Trieste non ho più nessuno, solo remote memorie.
La Risiera di San Saba |
Milano
mi ha accolto, negli anni ’50, con il suo cantiere di case in costruzione, in
una zona che allora era periferia, il Giambellino. I prati, dove sorgevano
ancora delle cascine, via via sparivano; la città cresceva ma espandendosi
veniva deturpata da un’urbanizzazione dissennata. Si respirava un’aria malsana
in equilibrio sul predellino dei tram affollati. Ricordo con nostalgia il
cortile sassoso dell’oratorio dove si giocavano interminabili partite di
calcio. Quindi, un percorso di studi tortuoso e accidentato, sfociato nel liceo
artistico di Brera, allora situato nell’affascinante palazzo teresiano della
Pinacoteca. Edificio dai misteriosi sotterranei proibiti ai discenti (e quindi
assai visitati), che mi ha introdotto alle prime frequentazioni femminili. Del
periodo sono le collaborazioni a giornali studenteschi. Non posso, anche,
dimenticare sia il Bar Giamaica, luogo mitico d’artisti non ancora invaso dalle
frotte turistiche e modaiole; sia la Cineteca di via San Marco (Bergman, i
registi russi, Nouvelle Vague, ecc.) Poi l’Accademia di Brera nell’arroventato
’68 (con il sogno ambizioso si trasformarla in un Bauhaus meneghino).
Una veduta dell'Accademia di Brera a Milano |
Infine,
per coronare degnamente la mia ardua carriera scolastica, la facoltà di
Filosofia alla Statale, dove conobbi Enzo Paci, Mario Dal Pra, Ludovico
Geymonat e altri formidabili maestri. Milano intanto si faceva bella, d’una
beltà discreta che scoprivo in tanti luoghi dove la storia ha lasciato segni
profondi, in certi segreti cortili, nelle vestigia romane e nei vicoli
medioevali, in magnifiche chiese e palazzi nascosti. A Milano ho conosciuto
persone vive, visitate da un entusiasmo contagioso, sempre disponibili nei
confronti dell’altro, fervidamente impegnate nella vita politica e civile. Veri
cittadini del mondo, in una metropoli dove si respira un’atmosfera aperta e
cosmopolita.
TRIESTE
Un testo poetico inedito di Claudio Zanini
dedicato alla sua città di nascita.
San Giusto |
La
mia città sorge dal mare,
luci
offuscate, riflesse
nel
respiro di lente maree
mentre
sale il declivio ventoso.
Le
sue case s’elevano
all’apice
d’erte scoscese,
lustre
nel lume dell’aria
dal
lavacro delle bore.
È
la mia città
di
schiva beltà adorna.
Altra,
eguale grazia non vanta
ma
ferita straziante l’affligge
travaglio
della memoria
amaro
le piega il sorriso.
Nei
vicoli, giù, si lamentano
le
sirene di navi nel porto.
Voce
d’esuli che non ritornano
rantolo
dei sommersi (1)
tonfo
dei corpi.
Risiera
di San Sabba
discarica
infernale sotto la luna.
Orbite
nel Carso violato
dalle
foibe infossate tra i rovi.
Mai
sopite braci
di
Narodni Dom (2), il rogo nefasto.
Luoghi
di straziante dolore,
nella
mia bella città, inobliati.
(Io,
tuttavia, esule fanciullo,
come
Ariele, genio dell’aria
ebbi
cinto il capo di bore
e
due piccole iridi brune
e
l’ansia di conoscere ogni mare,
il
seno delle terre e dei cieli.
Fanciullo
migrante, ebbi ventura
d’involarmi
altrove lontano
oltre
i cipressi curvi nel vento
con
bagaglio lieve di parole.
Io
sono lontano, ora il ricordo
è
cielo di riflesso fuggevole
vasta
palpebra
che
si schiude alla luce.
Io
sono lontano, ma la memoria
rinviene
come l’enigma dell’onda,
che
carezza e percuote
eguale
e diversa)
1) I sommersi sono quelli del libro di Pimo
Levi, I sommersi e i salvati
2) Narodni Dom è la Casa della comunità Slovena
incendiata per mano
fascista
il 23 luglio 1920
MILANO
Cortile di via Rossini n.3 |
Una
non subitanea bellezza
vanta
Milano, ma pudìca,
come
certe sue corti segrete
entro
vie discoste,
dove
antiche ringhiere
trattengono
nell’ombra
brume
in trame silenti
e
il traboccare folto
di
fogliami oltre i cancelli.
Magnifico
artefatto futurista,
Milano
è città che sale; fremente
non
volge alle spalle lo sguardo,
né
s’arresta, affannato il respiro.
Galoppa
inesausto il suo cuore:
nel
tempo s’avvolge
verso
altezze di cristallo.
La
sua bellezza, tuttavia,
è
sonora nei selciati,
quieta
nell’acqua dei Navigli
assorta
nei marmi delle chiese
laddove
l’imporporarsi sfuma
nei
crepuscoli lontani,
quando
il cielo di Lombardia
vasto
e bello già s’abbuia.