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domenica 23 dicembre 2018

TEATRO
Sei assi per un poker vincente
di Chiara Pasetti
Genova Teatro Duse. Dal 28 dicembre al 5 gennaio 2019


Una scena dello spettacolo

Patrick Marber, già autore di Notes on a Scandal (candidato all’Oscar nel 2006) e del pluripremiato Closer, nel 1995 firma Poker (titolo originale Dealer’s Choice), che la Compagnia Gank porta in scena al Duse di Genova dal 28 dicembre al 5 gennaio. Recensito da Cordelli sul Corriere della Sera come «lo spettacolo più coinvolgente visto da molto tempo a questa parte», la dark commedy si svolge in una notte domenicale dal crepuscolo all’alba, all’interno di un ristorante. Sul tavolo, o meglio sui tavoli, si cucina, si cena, si beve (molto), si ride, si fanno i conti, in senso non solo letterale, e naturalmente si gioca a poker (grande passione dell’autore). Nel primo atto i tavoli reali e metaforici scelti dalla raffinata ed efficace regia di Zavatteri sono due. In uno il cuoco (uno strepitoso Alberto Giusta) prepara il menù del ristorante, intrecciando dialoghi tra il surreale e lo spietato con il cameriere Pollo, ingenuo e sognatore (l’ottimo Enzo Paci) e il cameriere cinico, scafato e donnaiolo (perfettamente interpretato da Fabio Fiori); nell’altro tavolo, che fa da contraltare e da eco al primo rimbalzandone umori, battute e tensioni, un padre (il padrone del ristorante, Federico Vanni, che conferma ancora una volta la sua bravura e l’importante presenza scenica) e suo figlio (il giovane e talentuoso Daniele Madeddu) riversano le reciproche frustrazioni e conflitti, principalmente basati sulla preoccupazione paterna nei confronti di un ragazzo promettente e tuttavia senza progetti concreti per il futuro. E si scopre che il padre perpetua l’appuntamento settimanale in fondo soltanto per avere il pretesto di poter vedere suo figlio. Sullo stesso tavolo dove avviene lo scontro generazionale a un certo punto comparirà comodamente e sfacciatamente seduto per cenare un sesto, sordido personaggio (brillante e incisiva prova attoriale di Massimo Brizi) alla ricerca di riscatto non solo, forse, da un debito di gioco… Per dirla con Flaubert, ci sembra che «tutta l’amarezza dell’esistenza [ci] venga scodellata davanti, sul piatto, insieme al vapore del bollito» (in questo caso di un carpaccio). A unire con un fil rouge (quasi sempre noir) i due tavoli il tema del denaro, in cui confluiscono i sogni e le ambizioni di ciascun personaggio, e quello della passione-ossessione che tutti lega pur nelle differenze caratteriali (molto ben delineate nel testo e in scena): il gioco del poker. Che è sogno e vittoria, ma molto più spesso scacco e sconfitta. Non a caso, nel secondo atto, i due tavoli diventano uno solo, quello dove a notte fonda si disputa la partita a carte. Lo spettatore non si trova più nel ristorante bensì nel suo scantinato, metafora della discesa nelle profondità dell’anima di questi sei uomini e della loro insana eppur umanissima compulsione nei confronti del panno verde. Insieme alle carte si svelano qui le paure più inconfessabili, i segreti, le banalità, la solitudine e la sofferenza di ognuno dei protagonisti, impegnati da sempre in una partita più con se stessi e con i propri demoni che con gli avversari. Una partita in cui alla fine non ci sono vincitori né vinti, e nemmeno un riscatto, e che ciclicamente pare destinata, in una sorta di beffardo «eterno ritorno», a ripetersi all’infinito. Un comico e al contempo doloroso voyage au bout de la nuit in cui si ride e si riflette, ci si emoziona e ci si ritrova tutti, un po’, in ognuno di loro. Sei assi del teatro, per un Poker decisamente straordinario.