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sabato 26 gennaio 2019

IL GRANDE TEATRO DI SERVILLO
Con Elvira un grande omaggio a Jouvet .
di Leonardo Filaseta

Toni Servillo

Servillo oggi è il protagonista regale del gran teatro italiano, come lo furono dagli anni ’30 alla fine del secolo scorso Eduardo e Strehler. Il teatro di prosa che ebbe origine da Goldoni - di cui oggi è l’unico grande interprete -  è il linguaggio totale fatto di parole, corpo, gesti e danza. Totale e universale in quanto più diffusivo e potentemente incisivo nella comunicazione di altri linguaggi, analfabeti.  
Nato ad Afragola, a 5 anni accasato a Caserta capoluogo, giovane a Napoli dove fonda i Teatri Uniti e che diventa il suo centro del mondo, s’imbeve del teatro di Viviani e di Eduardo e del dialetto napoletano. Di questo dirà, in un’intervista a Marcovaldi su “La Repubblica” del settembre 2008: “la lingua-dialetto con cui sono cresciuto è legata alla concretezza dell’esperienza, a cui faccio continuamente riferimento per riscaldarmi e arricchire da un punto di vista espressivo l’Italia”. Infatti anche nell’ultima rappresentazione di Elvira di Jouvet conserva un alone mimico meridionale - tipica la camminata penzoloni con le mani in tasca, immerso in una visione drammaturgica italiana ed europea. Dalla particolare koinè napoletana alla visione universale del contenuto, compreso dal popolo tutto, italiano o straniero. Com’è il teatro “No” giapponese, inteso anche in Occidente. In opposizione alla standardizzazione internazionale il suo teatro è capace di empatia ipnotica, si individua in un italiano intimo e profondo raggiungendo la radice antropologica mediterranea con l’assoluta immedesimazione : teso a risvegliare il fascino estetico ed erotico della parola (basti ricordare la prorompente e altisonante lettura antologica della poesia napoletana di anni fa). Sì, “perché la relazione spettacolare funziona soltanto se c’è qualcuno che dona e qualcuno che riceve. Appunto : donare, ricevere. Non è la base di qualunque rapporto erotico?”
Comune a tutti i grandi è creare comunità con condivisione. Eduardo accomunava tutti i meridionali e quando veniva a Milano chiamava a raccolta tutti i napoletani: non c’era spazio per gli altri. Strehler ci unì e ci aperse al teatro come bisogno incoercibile di pane spirituale quotidiano e pungolò a cambiare il mondo. Ci educò al linguaggio simbolico (di cui oggi c’è bisogno per i giovani).
Tra i viventi rimangono due testardi, due sacerdoti dell’eterno rito dell’uomo che si narra per diventare uomo: Eugenio Barba e Toni Servillo. Il primo, fuggito dalla sua Puglia, il più ribelle e rivoluzionario sperimentatore, ha sempre usato il teatro per cambiare se stessi -“vissuto su una corda tesa sull’orlo del baratro” -, ha girato il mondo pungolando poveri e diseredati col teatro “baratto”: sì “mi paghi, recitando la tua esperienza d’uomo”. Tormentato e mistico ci ha educati all’ascesi scabra della vita - “il mio motto è sempre stato:” sette volte a terra, otto volte in piedi” -, accasatosi in Danimarca , lo si vede sempre meno in Italia. Venerato vegliardo!
Incontrastato in Italia resta Servillo, che ci unisce tutti nelle gioie e nei dolori: al natio umorismo scanzonato e ammaliante (aderente a Eduardo e Goldoni ) abbina, vorace lettore, la cultura riflessiva toscana e lombarda (Dante e Manzoni). Nel momento di smarrimento e di difficile ancoraggio all’Europa in cui siamo immersi, ci tende la mano: un faro, una bandiera. Come Strelher teso ad immolarsi nella funzione di coltivazione educativa del teatro: “può far maturare, crescere e sviluppare nelle coscienze” (dal programma di sala dell’ultimo suo lavoro Elvira). Questa Elvira del gigante della regia Jouvet è strabiliante ed esemplare: è prodotto significativamente per l’Italia unita dal suo teatri Uniti e dallo Strehler di Milano. Attualmente in tournée, proprio a Milano, capitale morale e del teatro italiano, ha avuto il massimo di 80 repliche esaurite, di cui s’è detto orgoglioso. Il suo magistero completo d’attore e regista si riverbera nell’essere anche maestro di vita come traluce dal rivivimento  dell’esperienza socratica di Jouvet. Il quale, nella Parigi bombardata dai nazisti del 1940, si trova solo con l’allieva attrice Claudia. Imperterriti, continuano il lavoro di preparazione del Don Giovanni di Moliere,condensato in sette lezioni sul momento cruciale del dramma: Elvira, sedotta da Don Giovanni, decide di troncare il rapporto avendo sublimato il suo amore.
Gli anziani frequentatori di teatro ricordano un’altra Elvira degli anni ’70 di Strehler con Giulia Lazzarini: due presenze forti con toni drammatici duri ed imperiosi, nell’incontro-scontro.

Toni Servillo

Servillo, nei panni di Jouvet, si presenta dall’inizio alla fine con un tono dimesso, pacato e pacante, assertivo e penetrante.  Con attenzione tarata, si toglie e si mette la giacca, passeggia, indietreggia, temporeggia e si divincola col dito affermativo, spesso con le mani in tasca e con lunghi silenzi comunicanti rigore pieno, chiudendo con negli occhi abbassati. Petra Valentini che fa Elvira si presenta, esile e minuta, docile e spesso smarrita: con un viso qualunque, pulito e intriso di umiltà e sottomissione. La scena dell’incontro con Don Giovanni si ripete esasperante: si deve regolare lo slancio d’entrata, la camminata, le pause, l’interiorizzazione dell’impetuosa esternazione : “sono venuto solo per dirvi che non ho più niente contro di voi, ora mi sono convertita: la mia anima solo una fiamma purificata, e soffre per la vostra vita”. “Il difficile è trasmettere con sentimento, dice Servillo-Jouvet,  recitare è l’arte di servire la propria sensibilità per trovare nuove voci, nuove strade. L’intelligenza del teatro è nell’intuizione”. V’è una progressiva maieutica sprofondante, messa in atto dal Nostro maestro. Nutre il processo in corso con domande e rilievi di confine: “Elvira parla come davanti a se stessa . Ha gli occhi bassi, quasi. Le parole irrompono come un’onda. Lei cammina sull’acqua”. Petra-Elvira mostra una tenace  applicazione, con qualche flebile scatto. Sempre avanti in lotta, seria.
E’ un rapporto necessario, inflessibile ma amorevole, materiato di piccole impazienze, di gesti accennati, finezze psicologiche, alfine di raggiungere la verità quasi sovrumana di Elvira: “ormai volta al cielo, a rendere mistico il suo amore”. Il maestro insiste ancora: “bisogna che il pubblico veda il cambiamento… uno sconvolgimento interiore”. Lei riprende là, da quella scossa. Lui si carica di toni di gravità: di una lettura accelerante del testo, permeata di serena maestà. Petra riprende con tono più sostenuto, denudata e scarnificata, conquista più naturalezza: “in grado di confidare un amore più distaccato” (sempre secondo la visione del maestro). E si avvicina a quello che ancora il maestro chiama “stile estatico che sgorga da lei inconsciamente, in uno smarrimento assoluto”. Servillo imperturbabile la sospinge a non accontentarsi della capacità tecnica, a non affidarsi al sapere che cosa fare, ma abbandonarsi, tramutarsi per entrare nell’altro. Ed infine le insuffla “uno stato di eccesso, di trance, di estasi in cui lei non si ascolta, è un’epifania”. E lei soffre come in sogno: “Vi ho amato con tenerezza. Salvatevi, vi prego con le lacrime”.
Noi in parallelo rapiti, estasiati in uno stupore celestiale. Alleggeriti, trasformati, esaltati, diciamo un reverente grazie all’angelico viso e al maestro del vero.
E miracolosamente, in un’impalpabile commozione di sguardi e di silenzi evaporano le stimmate della sofferenza in Petra e il processo di graduale avvicinamento allo scioglimento arriva. La Nostra un po’ si rasserena, vestita di tulle nero, disincarnata come una sonnambula: un’apparizione profetica che regala “il tormento della tenerezza, l’assolo di soavità”, come chiestole dal maestro. Sì un sogno, un angelo!
Dagli attori, Toni Servillo e Petra Valentini, si è raggiunto il sublime, il climax dell’annullamento. Una grande lezione di teatro e di vita. L’alone magico della catarsi proietta noi educativamente all’altro, ad attingere l’atteggiamento socratico. In accordo e affettuosa condivisione con uno scrosciante applauso-abbraccio ti diciamo: “Sì, maestro Servillo, siamo consci che si parte, non che si arriva (almeno senza titanica lotta). Sì, ci fai maturare, crescere e sviluppare l’anima. E tu sempre ad maiora a fare della tua vita un’opera d’arte!