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sabato 9 marzo 2019

1944: L’ANNUS HORRIBILIS DELLA GUERRA IN TALIA
di Franco Astengo


1944: Settantacinque anni fa. Nel corso di questo 2019 ci saranno molte occasioni di ricordo per quei terribili 12 mesi che squassarono l’Italia in un crescendo di avvenimenti drammatici.
L’occasione di memoria che si offre in quest’occasione rappresenta semplicemente un tentativo di riassunto per ristabilire la verità profondo di quei fatti in una fase come quella attuale dove si arriva a mettere in discussione la necessità di mantenere l’antifascismo quale fondamento della nostra Repubblica confondendo colpevolmente i ruoli dei soggetti che furono protagonisti del nostro riscatto nazionale.
Un testo quello che segue che intende semplicemente ristabilire la verità di quella vicenda storica: nel corso di quest’anno ci saranno poi occasioni per ricordare specificatamente i singoli episodi.


Il 1944 può essere considerato probabilmente l’anno più drammatico nella storia del ‘900 per il nostro Paese.
L’Italia si trovò stretta tra la morsa della guerra e quella dell’occupazione nazista.
Il fascismo di Mussolini, tornato dopo la liberazione dal Gran Sasso, cerca di legittimarsi e risorgere con la Repubblica Sociale Italiana.
In realtà il Duce è prigioniero in casa sua, vorrebbe armare le sue truppe ma decide ben poco, mentre gli alleati germanici occupano il Paese trattandolo alla stregua di una provincia del terzo Reich.
Vengono letteralmente annessi il Trentino e la Venezia Giulia, mentre nelle altre regioni viene applicata la legge marziale.
“Italiani traditori” è il monito che giustifica tanta durezza nei confronti degli ex-alleati di guerra, ma in realtà il governo nazista, con l’armistizio dell’8 settembre 1943 ha ottenuto un duplice risultato: messo in schiavitù 700.000 soldati italiani che hanno rifiutato di aderire alla RSI (altri sono stati sterminati a Cefalonia con il sacrificio della Divisione Acqui) e trasferire ingentissime risorse dall’Italia alla Germania, dal tesoro della Banca d’Italia ai beni degli ebrei, di cui inizia una massiccia deportazione, fino alle proprietà dei cittadini soggetti a sequestri e violenze.
Senza più il peso dell’ingerenza militare dei comandi italiani, le operazioni contro gli angloamericani che avanzano dal Sud possono essere condotte nella totale discrezione del comando tedesco e le vie di rifornimento sono tenute sgombre con rastrellamenti e massacri di partigiani e della popolazione civile, come già accaduto in tutti i paesi occupati dai nazisti. L’obiettivo è d’usare il nostro territorio per tenere il nemico lontano dai confini tedeschi. Le montagne della penisola sono una formidabile difesa naturale e permettono ai meno numerosi, ma agguerriti reparti germanici di tenere in scacco e le armate alleate da Montecassino alla Linea Gotica. Ma Hitler e i suoi generali sanno anche che non basta bloccare le montagne per strangolare il flusso di uomini, mezzi, materiali e risorse e così le bande partigiane che fin dal 1943 si sono date alla guerriglia, insieme alle popolazioni che li riforniscono e li appoggiano, sono un nemico da distruggere.
Per questo si applicano leggi di guerra spietate contro chi resiste.
In un Paese ormai spezzato in due, massacrato dai bombardamenti e dalle violenze degli occupanti, cresce giorno per giorno la sofferenza, ma anche l’ostilità verso i nuovi padroni.
Gli arresti e le rappresaglie non fanno che ingrossare il numero degli italiani che invece di presentarsi ai distretti militari per indossare la divisa della RSI, fuggono in montagna per fare la guerra ai nazifascisti.
Nella città operaie nascono piccoli gruppi di resistenza che cercano di portare all’insurrezione le grandi città anche attraverso grandi scioperi operai come quello del 1° marzo: Savona, come le altre città del Nord industriale, si trovò in prima linea in quel frangente e molti operai furono rastrellati e portati nel campo di sterminio di Mauthausen.
È questo degli scioperi operai un passaggio fondamentale mai sufficientemente ricordato, anzi quello che maggiormente le tendenze revisioniste cercano di obliare e che va, invece, portato in primissimo piano nella memoria e nella proiezione tra questa e l’attualità dell’antifascismo che dobbiamo far vivere nella cultura e nella società italiana del XXI secolo. I giovani italiani che, convinti di dover lavare l’onta del tradimento di Badoglio, si arruolano nelle truppe della RSI si trovano a dover combattere contro i partigiani: Mussolini mette gli italiani contro gli italiani.
Le SS e la Gestapo, le milizie fasciste e i corpi di polizia autonomi (le famigerate Banda Koch, Banda Carità, Battaglioni delle Camicie Nere “Muti”) danno la caccia ai Partigiani attuando rappresaglie terribili e inumane.
Mentre vengono liberate dagli Alleati le città di Roma e di Firenze i nazisti uccidono centinaia di persone, tra fucilazioni giornaliere e stragi, e sugli Appennini una lunga scia di sangue e distruzione segue il passo delle truppe tedesche e italiane impegnate nella lotta ai cosiddetti “ribelli”. Le Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, sono solo alcuni dei luoghi martiri in cui gli italiani, spesso anche donne e bambini muoiono per mano dei carnefici di Hitler.
Nella tragica estate del 1944 con lo sbarco in Provenza, seguito a quello in Normandia del 6 giugno, gli Alleati commettono un grave errore distogliendo forze dal fronte italiano e permettendo alle armate di Kesserling di trincerarsi su nuove linee.
Dopo la grande offensiva che ha portato gli americani a Roma e la successiva avanzata, i piani alleati per la liberazione dell’Italia subiscono un forte rallentamento.
Le armate americane e inglesi non riescono a chiudere le forze naziste in Italia in una sacca per annientarle definitivamente.


La Wermacht è ancora forte, ben inquadrata ed equipaggiata, nonostante le perdite subite nei combattimenti attorno a Roma e lungo il fronte Adriatico.
Il comando germanico può permettersi di combattere la guerra ai partigiani con le armi più potenti di cui dispone.
L’avanzata dei partigiani che ha segnato i mesi di Luglio e Agosto con la formazione di una serie di Repubbliche indipendenti e auto amministrate in diverse parti del territorio in Piemonte, Liguria, Emilia, Veneto, Friuli. Le repubbliche cadono tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno sotto il peso di un grande dispiegamento di forze. Nel rastrellare il comando tedesco con l’intento di evitare le imboscate, impartisce l’ordine di aprire il fuoco a vista anche se s’incontrano civili, donne, bambini.
Anche la politica internazionale inizia a mostrare le sue contraddizioni.
Non si capisce bene se gli americani preferiscano evitare il totale annientamento dei tedeschi, mentre i sovietici avanzano in Europa e Churchill inizia ad avere chiaro il futuro ruolo di contrapposizione con i partiti comunisti dei paesi liberati.
In questo modo il coordinamento tra i partigiani e gli Alleati, temuto dal comando germanico, non si realizza, facendo perdere ai liberatori una fondamentale opportunità.
In settembre scatta l’offensiva contro il Monte Grappa, poi il 9 ottobre un’imponente forza di attacco composta da 13.000 soldati di Salò affiancati dai reparti tedeschi, attacca la val d’Ossola e respinge i resistenti fino al confine con la Svizzera.
Anche la Repubblica di Alba viene attaccata ma riesce a difendersi per 55 giorni, grazie agli aviolanci alleati. Si combatte nelle Langhe e nell’Alto Monferrato dove molti partigiani riescono a sganciarsi e a sfuggire ai plotoni d’esecuzione.
In Carnia 40.000 tedeschi rinforzati da volontari ucraini sferrano l’offensiva contro le brigate Osoppo e Natisone.

Sulle Alpi e sugli Appennini liguri-piemontesi la RSI schiera due divisioni “San Marco” e “Monterosa” con esclusivi compiti di rastrellamento dei partigiani.
L’opera della due divisioni però risulta fiaccata da moltissime diserzioni che rimpinguano le forze partigiane. Il 13 novembre 1944, un comunicato del generale Alexander invita i partigiani a sospendere le ostilità nell’imminente inverno.
Anche questo è un passaggio fondamentale nella storia della Resistenza, troppo spesso ignorato. L’invito del comandante britannico è respinto: le formazioni partigiane, ormai coordinate dal Corpo Volontari della Libertà con sede a Milano e nel quale sono rappresentati tutti i partiti politici del CLN, viene respinto.
Le operazioni continuarono in montagna come in città. Si inizia così il duro inverno del 1944. Per vincere la guerra occorrerà attendere ancora l’alba radiosa del 25 aprile e saranno ancora gli operai i protagonisti della Liberazione con le formazioni partigiane capaci di liberare, in precedenza all’arrivo degli Alleati, Genova, Milano, Torino.