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domenica 31 marzo 2019

AMERICA
di Ilaria, Vito, Adamo

TENNIS MATCH 
 

Siamo pronte a iniziare la stagione. Oggi è il primo giorno in cui ci scontreremo con un'altra scuola in alcuni match di tennis. Il mio ginocchio si è fortunatamente ripreso in tempo e grazie ai miei due “knee brace” posso partecipare anch’io ai match. È venerdì, questa settimana è stata lunghissima e pesante, le emozioni mi hanno giocato un brutto scherzo e non vedo l'ora di staccare il cervello, sfogandomi con la racchetta e una pallina da tennis. Raccolgo i vestiti sparsi nella stanza e la racchetta appoggiata sul letto. Infilo tutto nello zaino e salgo in cucina pronta per andare con Joe a scuola.
Mando un messaggio a Kolton, ho bisogno assolutamente di parlagli. Nemmeno il tempo di rispondermi che entra nella mia classe del primo periodo e, inventandosi una scusa, mi porta fuori. Ci sediamo ad uno dei tavoli della mensa e iniziamo a parlare. I lacrimoni si sciolgono e il nervoso prende lo spazio che poco prima era occupato dalla delusione. Mi abbraccia e cerca di consolarmi. È l'unica persona presente in America che riesce a calmarmi e che mi ascolta sempre. Sentiamo un'altra campanella, increduli ci guardiamo e realizziamo che siamo stati a parlare un po' più del dovuto. Corriamo in classe ridendo e il prof ci scusa senza nemmeno lasciarci un ticket.
Finalmente arriva il pranzo. Mi giro, "Kolton!" mi sorride e mi fa un segno con la mano. Ti senti meglio? " Sospiro. Mi accarezza la schiena e si appoggia sulla mia spalla per darmi conforto. Cerco di cambiare argomento in fretta per non focalizzarmi su ciò che mi fa stare male.  “Hei, ragazzo, oggi ho una partita importante.” – “Sì, giocherai nella squadra oggi?" Esito un attimo, "Non proprio, vedremo … ma sono abbastanza sicura di giocare il doppio."
Tutte le altre ragazze sono nello spogliatoio e urlando si scambiano battute e risate. La loro energia mi fa solo bene. Mi salutano in coro, urlando: "Group hug in the shower tonight (Abbraccio di gruppo nella doccia stasera)". Siamo tutte pronte e carichissime. Saliamo sul bus che ci porterà in Portland per giocare il game.
Il viaggio sembra volare, nonostante il traffico lo abbia reso quasi di due ore. Scendiamo tutte un po' appisolate dall'autobus e ringraziamo il nostro Mr. Busdriver. Tutte insieme ci avviamo ai campi di tennis della Valley Catholic. Il nervoso un po' si fa sentire, ma il sole caldo alto nel cielo e il venticello fresco, danno quel senso di primavera che risveglia in noi tutte le energie. 
Il riscaldamento dura cinque minuti, la coach ci richiama con un fischio alla panchina: “Ok, ragazze, oggi sarà dura, ma le possiamo battere. Questa è la formazione …" inizia a parlare e a scandire i nomi partendo dal singolo. Fortunatamente non sono nella top singoli… mi sentirei troppo a disagio da sola in mezzo a quel campo. Inizia la lista dei double. Non presto troppo attenzione fino a che sento il mio nome. Mi giro di scatto e la guardo: "Ho sentito il mio nome e penso di non essere ancora pronta. Mi guarda e sorridendo mi risponde: “Ila, oggi giocherai con la squadra". Sfodera un sorriso e le ragazze mi applaudono. Saltello sul posto e mi faccio prendere dall'emozione. 
Entriamo in campo senza sapere contro chi stiamo giocando. La mia compagna si chiama Charlie. É simpaticissima e esuberante, esattamente come me; ci battiamo il cinque mentre con un sacco di entusiasmo diciamo: "Just for fun, baby (tanto per divertirci)". Iniziamo il riscaldamento, ci rendiamo conto in fretta che l'altra coppia è davvero bravissima. Non ne sbagliano una. Ci guardiamo spesso, io e Charlie, durante il warm-up, e con lo sguardo ci incoraggiamo. Sarà tosta ma nessuno ci metterà mai fuori dai giochi, noi siamo qua per divertirci e per avere dei bei ricordi. 
Prima di iniziare il match andiamo a parlare con la coach chiedendo che tipo di livello siano. La coach non risponde ma dice che possiamo farcela e che, comunque vada, saremo orgogliose di noi stesse. Con la coda fra le gambe ci andiamo a posizionare nel campo e iniziamo a chiamare le palle. Facciamo due punti e loro ne hanno tre, siamo vicine, dobbiamo solo stringere i denti e lottare per i nostri obbiettivi. Io e Charlie non smettiamo di ridere e ci incoraggiamo a ogni punto. Facciamo una pausa per bere e il punteggio è 5-5. La coach e il resto del team ci guarda da fuori incoraggiandoci come non mai. Tocca me alla battuta. Odio battere. Charlie mi guarda e mi fa una smorfia per imitare l'altra ragazza del team avversario. Scoppio a ridere, cerco di contenermi, ma con scarsi risultati. Lancio la palla in aria e, con tutta la potenza che ho, la butto nell'angolino sinistro del campo. Era veloce e dritta; non la prende e facciamo il punto per andare in vantaggio. Saltiamo insieme e ci muoviamo ballando. Le altre ragazze del nostro team esultano con noi e ridendo ci applaudono. La coach non riesce a trattenere la risata, mentre le avversarie ci guardano sconcertate. 
Le ignoriamo e continuano a giocare. Il match finisce e siamo soddisfatte del nostro punteggio. La coach esce e dice che le due ragazze con cui abbiamo appena giocato sono il secondo team varsity di tutta la squadra.
Sono quasi le 8pm e abbiamo finito. Abbiamo vinto quasi tutti i game e la soddisfazione ci si legge negli occhi. Saliamo contente e canterine sul pullman.
Mancano cinque minuti alla scuola e intoniamo il canto per ringraziare Mr. Busdriver. Scendo dal bus con tutte le mie cose.
Il freddo mi si attacca alle gambe coperte solo da un paio di short. Saluto le ragazze e la coach e mi dirigo in fretta alla macchina di Mom. Mi siedo sul sedile caldo e subito inizio a raccontare quello che è successo. Con aria orgogliosa e felice di me, mi dice che sono stata bravissima e che è davvero contenta di come mi stia mettendo in gioco. Mi abbraccia e poi finalmente siamo a casa. 
La stanchezza non fatica ad arrivare e velocemente mi addormento sul mio letto, senza neanche accorgermi di non aver messo il pigiama. Good night y'all.
Ilaria

***
Sublimity


Disegno di Adamo Calabrese

C’è stato un fatto nuovo: l’Agenzia ha indicato una finestra temporale, la seconda metà di agosto, per la partenza di Ilaria. Siamo in Liguria a goderci la fine delle vacanze.
- Nonno, ho una bella notizia da darti - la voce di Ilaria suona eccitata.
- Che è successo?
- Vado in Oregon! – Lei continua a parlarmi, mischiando emozioni e informazioni, in un vortice nervoso. C’è una premura a rivelare quelle poche ma preziose notizie sulla famiglia ospitante, che faccio fatica a seguirla.
- Come si chiama la famiglia? – chiedo per rallentare il torrente irrefrenabile delle parole.
- Alley. La mamma è Kelly e il papà è Mike. Hanno 55 anni e quattro figli.
- Dove vivono?
- Un paese di circa 2500 persone, Sublimity.
- Come? Non ho capito? Qual è il nome?
- Sublimity, vicino alla costa del Pacifico.
Un nome improbabile come tanti nella geografia degli States: Sublimity!
Ilaria mi assedia con le notizie. Sono dentro un carosello gioioso e lei continua, contenta, a raccontare dettagli come se fosse già là. Il figlio minore Joe ha la sua età e Morgan, l’altra sorella che vive in casa, ha 23 anni. La High School, dove frequenterà il 12º grade, dista tre chilometri.
- Sei contenta?
- Sì, molto. Quando mi ha chiamato la corrispondente dell’Agenzia non ci credevo e ho pianto per la gioia.
Oregon. È una meta interessante, all’Ovest, sul Pacifico. Un tuffo nella vita calma dei villaggi rurali degli States. Se la famiglia è, come sembra, pronta all’accoglienza, Ilaria comincia il sogno americano nel miglior modo possibile.
Vito