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mercoledì 27 marzo 2019

UNA RIFLESSIONE IN VERSI
di Nicolino Longo



CIÒ CHE SIAMO
(Con cromosomico rammarico)

“Non altro che materia umana di risulta di tanti millenni
di errata politica dei popoli siamo noi.

Quindi, figli degeneri e cagionevoli
di un’ancor più degenere e cagionevole politica.    
A causa della quale, il mestiere
che, più d’ogni altro, nei millenni,
è stato dato ai popoli di praticare al mondo,
è quello della guerra.
E ciò per affermare, sempre, la supremazia degli uni
su quella degli altri. Senz’aver mai previsto
che si sarebbe affermato, infine,
soltanto la propria debolezza su quella altrui.

Questo perché, di volta in volta,
i giovani fisicamente più dotati    
e, quindi, per loro sfortuna, abili alle armi
finivano quasi tutti per esser decimati dalle guerre.
Da una parte e l’altra degli schieramenti. E    
sempre a causa di politici shizofrenicamente malati
di egemonia imperialista o protagonismo.

E ciò, di conseguenza,
a tutto vantaggio di quelli inabili
che, non partecipando alle varie contese militari,
finivano (per loro fortuna e nostra sfortuna)
per restare sempre a casa, 
col compito speciale, a loro meno consono,
di assicurare, procreando,
la continuità della specie sulla terra.

Oggi, a causa di quella iniqua politica belligerante,
reiteratasi nei secoli fino ai giorni nostri,
dovremmo avere
anziché tante città con solo qualche ospedale
tanti ospedali sotto forma di città.

E, se tutto ciò non si è verificato
è stato grazie alle donne geneticamente sane che
nelle società di tutti i popoli e di tutti i tempi
non si sono
(per la loro stessa natura muliebre)
mai lasciate alluzzare da proposte di reclutamento.
E, di conseguenza, mai coinvolgere
in conflitti di natura bellica.

Guai, se a casa fossero stati lasciati
soltanto uomini e donne inabili: l’umanità
si sarebbe digià, quasi certamente, autoestinta.
Di contro,    
solo se i politici d’ogni popolo e d’ogni tempo
avessero (per assurdo) anziché con gli abili
fatto le guerre con i non abili alle armi,
oppure con gli uni e gli altri contemporaneamente

di sicuro, sulla terra, oggi, non avremmo
nosocomi e case di cura
con ammalati di ogni genere, e tanti invalidi civili
che gravano pesantemente
su sé stessi e le proprie famiglie
nonché su quella parte di società che lavora
Ma una comunità di uomini geneticamente forti e sani
esenti da ogni malattia o disabilità fisica o mentale.

E non avremmo, neppure,    
di conseguenza, un Brunetta
a dare la caccia ai certificati medici falsi.
Per il semplice motivo che non esisterebbero
neppure quelli veri.

Se poi, ad oggi,
vi sono ancora delle persone perfettamente sane,
sicuramente, ciò si è reso possibile
anche grazie a quei reduci
che i tanti conflitti, in sparuto numero
ci hanno, di volta in volta, restituiti dai vari fronti,
e che hanno così avuto, nei secoli, la congiuntura
di essersi unire poi potuti in matrimonio
con tutte quelle donne altrettanto sane che    
come già mentovato    
hanno sempre, per loro e nostra fortuna,    
paventato e avuto in disprezzo l’arte bellica.

La vera selezione della specie, nei secoli,
è stata comunque quella operata dalle epi/pan/demie    
che hanno sempre decimato gli esseri umani
meno attrezzati geneticamente
e preservato l’esistenza di quelli più idonei
alla trasmissione della vita sulla terra.

Mentre le guerre hanno sempre distrutto, dunque,
quasi tutto il meglio delle società, 
le epi/pan/demie, tutto il peggio.

In realtà, ogni morbo epi/pan/demico ha fatto sì
che sulla terra sopravvivessero, di volta in volta,
solo e sempre i più forti tra uomini e donne,
che, in fin dei conti, altro non erano     
se non il meglio del peggio lasciato dalle guerre.    
Il meglio da cui sarebbe scaturita, poi, per fortuna,
la modica schiera degli ultracentenari di oggi:

unici custodi di quel bagaglio genetico
biologicamente pervenuto al modulo ottimale
di cui la geriatria potrà far tesoro
per una sempre più perfetta e assoluta
società di arzilli e vegeti longevi   
che, sicuramente, in un futuro non molto lontano,
finiranno per arrivare anche,
nel farsi essi stessi il funerale, alla tomba coi propri piedi”.