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domenica 14 aprile 2019

Libri
LA SAGGEZZA DEGLI UBRIACHI
di Filippo Ravizza

Stefano Vitale

A lettura ultimata, La saggezza degli ubriachi, l'ultima raccolta di Stefano Vitale, appare come una attenta indagine sulla condizione esistenziale singolare vista nei suoi rapporti con la rete della totalità delle cose. Una indagine sulla natura delle evenienze che accadono, condotta alla luce della ragione impegnata a scandagliare con acribia le manifestazioni e i protocolli della presenza dell'essere dentro al reale, una indagine che riflette sulla natura della percezione, lo strumento con cui l'essere si pone, si posiziona nel mondo e tenta di interpretarlo. L'essere-nel-reale di quell'ente che l'uomo è, si costituisce pagina dopo pagina ne La saggezza degli ubriachi come momento fondante, continuamente esaminato, proposto e riproposto, oggetto continuo di riflessione. Una riflessione che - come bene ha intuito Alfredo Rienzi nella bella e partecipe prefazione - chiama a sé come strumenti di esplorazione non solo il sistema percettivo logico razionale, ma anche quello intuitivo, quello evocativo, la grande area ancora in parte inesplorata del pensiero "affettivo", quello che nasce dalla (o attraverso la) capacità dell'essere umano di commuoversi davanti alla visione del mondo, di affezionarsi a questa visione. Che proprio questi continui tentativi di fusione che Stefano Vitale organizza tra riflessione logico-razionale e riflessione che nasce come conseguenza di una commozione dell'essere di fronte al reale costituiscano la "saggezza" di cui ci parla il titolo stesso di questo libro? Una saggezza "di ubriachi" , cioè in continuo va e vieni tra rigore e sentimento, logica e commozione? Tutto questo attraverso una poesia che costruisce, con la chiarezza di un dettato peraltro attentamente strutturato, una verticalità di significato pronta a recuperare la dimensione del molteplice.Ecco allora venirci incontro versi da questo punto di vista tanto chiari quanto implacabili nel loro lavorio inesausto di scavo: "Non ci sono specchi cristallini/ dove ogni cosa corrisponde a se stessa/ ma nuvole di vapore che sfumano il gesto/ nell'illusione della precisione" viene detto nell'incipit della poesia di pagina 14 (le indico così, con il numero di pagina, perché le poesie di Stefano non hanno titolo, e questa è una precisa scelta formale del nostro autore che deve essere segnalata); "E noi sempre a inseguire parole/ in una commedia senza fine/ forma cieca della nostra figura/ riflessa in uno specchio/ inevitabilmente deformato" ribadiscono i versi di chiusura di questa poesia. Ancora questa stessa poesia appena citata: i cinque versi di chiusura che abbiamo letto pongono già in campo (motivo ricorrente in tutto il libro) la natura e la funzione della parola, il suo rapporto con la verità, con quello specchio "inevitabilmente deformato" in cui si materializza la "forma cieca della nostra figura". 


Vitale

Comunque una riflessione, quella di Vitale, che vuole stare dentro  alle cose, toccarle, stare accanto alle cose, nella consapevolezza però che la realtà delle cose è costituita dalle, ed è, al contempo, un prodotto delle idee degli uomini.
"Non tutti hanno lo stesso sogno/ e tanti sono i lacci stretti attorno al collo/ d'ogni generazione/ che pure conosce il mistero/ oltre il confine del cortile.// Perché il Vero sta nell'oltrepassare,/ nel dettaglio dove si nasconde il primo sguardo/ il nostro esserci, in piedi, di tanto in tanto,/ dritti e sinceri."; cito qui sopra per intero il testo di pagina 16 perché esso ci pone di fronte ad uno degli elementi più belli di questa poesia e di questo autore: il non abdicare mai in via definitiva, a forme di speranza e di riaffermata adesione a principi oggettivi e comunitari, bussole che Stefano rifiuta di delegittimare (come fa purtroppo molta poesia contemporanea) e che anzi sottolinea - perché il Vero sta nell'oltrepassare le manipolazioni della distrazione di massa - attraverso l'utilizzo qui necessario, indispensabile, della lettera maiuscola: il "Vero" e la "Storia", due capisaldi che, da soli, meriterebbero di riempire intere librerie dedicate esclusivamente al loro rapporto con la contemporaneità. Questo autore i due capisaldi li pone al centro della sua poetica, è, la sua, una poesia che non rinuncia a combattere, a cercare di fendere la nebbia e il buio che ci circondano; per porsi e ri-porsi alla ricerca della Storia e del suo senso: "Sempre ritorna - pagina 37 - l'ansia del combattimento/ il pensiero di andare oltre la soglia/ sotto un cielo carico di tempesta/ al passo con la dignità offesa/ come gli eroi che non s'arrendono/ e spendono la vita a raddrizzare/ i quadri storti, a costruire il tempo/ che nessuno ancora ci ha servito". Esplicita dunque è la chiamata ad agire nel reale che ci giunge dai versi di Stefano, l'incitamento a lasciarsi coinvolgere nel "fuoco della controversia", per citare un titolo di Mario Luzi (che - credo di poter dire - è, con Eugenio Montale e Vittorio Sereni, uno degli autori che Vitale ha profondamente attraversato) mentre, pochi fogli dopo, il testo di pagina 39 chiude così " Sulla cima dell'imperfezione si staglia il profilo/ del nostro viso, calmo e disteso,/ in attesa del prossimo, duro/ combattimento". Una scrittura che vuole essere dentro la Storia perché "L'importante è colpire di sorpresa/ spezzare la catena dell'attesa/ rompere la noia/ di questa inutile pastoia/ che rende schiavi/ di una Storia/ di cui si sono perse/ ormai le chiavi" (pagina 33) certo, ma proprio per questo, pare dirci questa poesia, proprio perché si sono perse le chiavi delle grandi narrazioni novecentesche, la possibilità ancora e sempre data è quella di costruire una nuova Storia "perché siamo figli di un destino comune/ sapienza senza tempo in vortici di luce" (pagina 45). 


Vitale

La saggezza degli ubriachi dunque, è una testimonianza che ci racconta dell'esistenza, del Vero, della Storia: assi ruotanti attorno e dentro al mistero, all'enigma del tempo, quasi rammentandoci ad ogni pagina che l'essere, come diceva Martin Heidegger, è "linguaggio gettato dentro al tempo", tempo, aggiungeva il filosofo di Messkirk che a ben vedere poi esiste probabilmente solo sotto forma di eternità, perché invece è "l'uomo che temporalizza il tempo", cioè tutto, alla fine, si riconduce alla percezione dell'uomo, in ultima analisi tutto è un'idea. "Non c'è mai stato un tempo - pagina 44 - /perché tutto s'è dimenticato/ perché il male è scritto nelle viscere/ perché non c'è un perché/ all'ottusa  malformazione/ della Specie che noi siamo.". La condizione umana, la situazione dell'essere-nel-mondo, ci ricorda questo autore, è all'insegna della dialettica tra opposti, di quel contrasto tra positivo e negativo per sua stessa natura tragico: il contrasto tra finitudine e desiderio di infinito. In questo crogiuolo di dolore e di ebrezza, ad essere alla fine sottolineato è il valore della parola poetica: "Ci guida il canto/ piccola ostinata intima luce/ che riposa nel tabernacolo/ delle nostre viscere", come dice Stefano Vitale a pagina 49. E poi, arriva per noi che scriviamo queste righe e per gli attenti lettori di questo libro, nei primi cinque versi della poesia di pagina 53, la dichiarazione esplicita di rifiutata resa ad ogni forma di nichilismo: "Tirar fuori dalla selva del tempo/ una parola certa e precisa/ che ci rassomigli una volta per tutte/ per dare un senso/ al silenzioso scrutarsi delle cose:/ è questa l'incrollabile speranza/ che porta al fine di ogni arte".  

La copertina del libro

Stefano Vitale
La saggezza degli ubriachi
Ed. La vita felice 
Pagg. 92 € 13,00