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martedì 23 aprile 2019

Riflessione in versi di Nicolino Longo

Nicolino Longo

I GENITORI 
(Con farneticante argomentazione)

Loro sanno perfettamente che, già prima di nascere, i figli
sono, purtroppo,
condannati a morte.
Dunque, mettendoli al mondo
è come obbligarli, premeditatamente,
prima o poi a morire.

Come possono mai volere, dei genitori,
ci si domanda, tanto male ai propri figli,
che altro non sono se non carne e sangue
di sé medesimi?

Sarà, forse,
per una sorta d’inconscia rivincita
che essi vogliono prendersi sulla prole
per via della stessa ingiustizia, a loro volta subita
da parte dei propri genitori.

Ciò che turba e indigna
è che lo fanno,
come dianzi appunto detto,
proprio con pezzi di ricambio di sé stessi.
Ossia, servendosi
del loro stesso sangue, e della loro stessa carne.

La beffa    
a detrimento dei propri figli, dunque,   
è un esizio, perpetuatosi, ormai, nel tempo.
Di qui, il pianto a ogni venuta al mondo
da parte di chi, pur venendo    
non ne abbia fatto mai richiesta.

Ormai,    
l’impellenza a procreare (infusa da Dio nell’uomo)
è diventata, pur avendo tutti i connotati
di un reato con premeditazione,
una fisima inemendabile. Un atto abitudinario
talmente irresponsabile ed inconscio, che l’umanità
non riuscirà più mai a scrollarsi di dosso.

La colpa, a ben pensarci, comunque,
non sarebbe da imputare tutta a loro. Ma
anche, e soprattutto, ai nostri lontanissimi antenati
che, se fossero stati solo un po’ più saggi,
si sarebbero potuti coalizzare tutti,
in un grande sciopero, contro Dio
con questa perentoria icastica petizione:
“O concedi a noi e alle future generazioni 
la vita eterna sulla terra
o ci asterremo in blocco dal procreare
con conseguente estinzione di tutta l’umana prole”.

Ma, il Pantacratore
non avrebbe mai ceduto a un tal ricatto.
Sapeva bene che, del “miele”,
da lui astutamente messo nell’amplesso,
nessun essere umano
avrebbe potuto mai fare a meno.

E sapeva altrettanto bene che, in illo tempore,
non v’erano contraccettivi. Per cui
avrebbe avuto sempre e comunque partita vinta Lui,
e donna incinta l’uomo.

Si suppone che il Creatore
avesse optato di farci nascere, e poi morire,
allorché si accorse

che il pianeta Terra,
da Lui prescelto, qual Paradiso terrestre per noi umani,
fosse troppo piccolo per ospitare la vita eterna
a cui l’aveva, col Fiat lux, predestinato.

E che,   
in caso di impellenza migratoria,  

(come intestinamente noi si fa
da un continente all’altro quando si è in gran numero),

nei suoi paraggi
non vi fosse altro pianeta atto alla vita
(uno spreco dunque abnorme di materia -da parte Sua-
che inospite ci orbita dattorno in tanti corpi).
E fu
con la scusa del peccato di Adamo ed Eva
che Egli ci impose, appunto, la morte dopo la vita.   
Sopperendo così all’errore in cui era incorso: ossia
al non aver previsto, all’atto della genesi,  
anche un pianeta (con relativo sole) capiente almeno
quanto la “VY Canis Majoris”, essendo come stella
(col suo diametro di tre miliardi circa di chilometri)
la più grande dell’universo.

A causa di quell’imperizia, dunque,
e del Cristo Paraclèto (che,
se fosse sceso dalla croce
-su cui invece inchiodato a braccia aperte è ancor oggi-,
per noi umani sarebbe potuto esser di certo l’uomo
dalle mani bucate per eccellenza).
Per causa, dicevo, di quell’imperizia, dunque,
noi seguiteremo inermi   
oltre che a morire
anche ad esser sempre (e per sempre) in due spezzati:
il corpo quaggiù in terra
in bocca ai vermi. L’anima lassù, in cielo, al Padreterno.