PIÙ FORTE È LA
MORTE
Fermo Su tutte le
“partenze” In attesa dell’“ult/ima”
Quante volte di notte ho alzato
il mio braccio
al cielo
impugnato la “falce di
Luna”
e mietuto campi di grano
maturo
Ma quante volte
(fra i denti pur stretto
dell’ieri e il domani)
ho moltiplicato
per zero me stesso
affinché “folla” non fossi
negli altri
Quante strade mi son
lasciate alle spalle
e quante scarpe ho
consumato
per arrivare al punto
verso cui
non sono ancora partito
(E
se il mio andare
fu
sempre un restare laddove mai
andai
e il mio restare un sempre arrivare
laddove mai sono
io che da sempre m’inseguo
e
giammai mi raggiungo
e vado per strade che mi camminano addosso
io già immobil bersaglio allo sparo degli anni
che lento m’uccide col piombo dei giorni
io io non son che croce di Cristo
su tomba del mondo
orizzontalmente e verticalmente “obliqua”/)
Quante volte di notte
rubandolo al “Triangolo
estivo”
ho suonato
lo “strumento Lira”
in bande di grilli in
campi di grano
Ma quante volte
(qual seme in terra
di giorni mai arati) son
sceso dagli occhi
alle strade a cercare i
miei piedi
e non trovare
neppure me stesso né in
terra né in cielo
Quante volte (già in fuga
dai giorni)
pur essendo più vivo di un
morto
ho partecipato ai funerali
di me stesso “all’impiedi”
Di questo “me stesso”
che
di qui a non molto
stormir dovrà pur per
l’ult/ima volta al vento della vita
[Nicolino Longo]