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domenica 8 settembre 2019

Taccuino
NANNI CAGNONE E IL DONO DELLA PAROLA
di Angelo Gaccione

Nanni Cagnone

Il 27 agosto scorso sono stato, come avviene oramai da tanti anni in estate, a passare una giornata a Stresa dal mio amico Franco Esposito, il direttore della rivista letteraria e di cultura “Microprovincia”. Esposito è anche autore di un discreto numero di libri di versi e nella duplice qualità di autore e di direttore, conosce molto bene le dinamiche dell’editoria, i suoi grovigli, le sue difficoltà, e, diciamolo pure, le aberrazioni e il disonore. Come sempre i libri e le riviste traboccavano sul tavolino del suo giardino dove ci sediamo a conversare. Libri di amici, soprattutto, che ci si scambia fra autori e non solo. È del tutto ovvio che la conversazione fra persone che si occupano di libri, finisca immancabilmente per virare sul panorama editoriale, gli autori, i giornali, i critici e quant’altro. Ad un certo punto Franco mi ha sorpreso con la sfiduciata convinzione che sia divenuto inutile continuare a pubblicare libri, visto l’attuale stato di cose. Mi ha sorpreso perché proprio in questo periodo sta mettendo a punto il numero del quarantennale di “Microprovincia”, dedicato ad un amico di sicuro valore com’è lo psichiatra e letterato Eugenio Borgna. 

Microprovincia

Le sue parole mi hanno richiamato alla memoria i nomi di quanti lo hanno già fatto in questi anni. Il numero degli autori e delle autrici che hanno deciso di smettere non solo di pubblicare, ma anche di scrivere, e tutti per una sorta di ripulsa e di delusione verso il mondo editoriale e dei suoi officianti, si è molto ampliato in questi ultimi anni. Mi riferisco ad autori di talento e non certo a dilettanti. Confesso di averci pensato spesso anch’io, e forse ha ragione Esposito e non vale più la pena ingoiare bocconi amari e disgusto. Ma poi, quando meno te lo aspetti, succedono dei piccoli miracoli che ti riconciliano con questo insano mestiere e con alcuni scampoli di umanità. L’ho potuto verificare di persona in occasione di queste mie due recenti pubblicazioni: la raccolta poetica Lingua mater e il volume di racconti L’incendio di Roccabruna. Accanto a comportamenti deplorevoli e meschini, a silenzi, a indifferenza, ad aperti boicottaggi, ho potuto sperimentare gesti di delicata amicizia, di consensi pieni e convinti, di incoraggiamenti, di vicinanza e anche di affetto. Ne ho dato dimostrazione pubblicando su queste pagine la lunga lista di giudizi e di testimonianze di personalità competenti e qualificate, di lettori appassionati e disinteressati. Per noi che non abbiamo dietro le spalle editori potenti e quasi nessun accesso ai grandi quotidiani; che siamo indifferenti alle grandi masse di lettori, il giudizio dei pochi buoni lettori competenti, di quelle poche intelligenze che stimiamo, di quei pochi critici rimasti onesti curiosi e non malevoli, sono l’unico conforto e forse è la sola ragione che ci spinge a continuare. 
Non posso dirvi con quale gioia ho accolto le parole del poeta Nanni Cagnone che qui vi trascrivo, arrivatemi il 31 agosto scorso:

Caro Angelo, 
mi scuso per il ritardo con cui le scrivo. 
Ho apprezzato assai il suo libro, la sua mentalità (che condivido), e la sua meravigliosa lingua acrese. Questa faccenda dei cosiddetti dialetti viene ancora affrontata malamente. Concordo con quel che dice il suo quasi conterraneo Dante Maffia, e con i suoi complimenti. 
Stia bene. Con istantaneo affetto, 
Nanni”.

Nanni Cagnone

Queste poche delicate affettuose parole di Cagnone, valgono per me più di mille copie vendute, più di dieci recensioni del “Corriere”, più di qualunque intervista della Rai. È di parole che vive un poeta, di questo necessario e indispensabile dono; senza di esse è perduto: è per questo che egli ne ha tanta cura e vuole che vi si presti attenzione. Può arrivare persino a dire come il poeta Sbarbaro: “A noi che non abbiamo/altra felicità che di parole, /sia tolta prima la vita/di quel solo bene”.