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martedì 29 ottobre 2019

A CUORE SCALZO
di Gabriele Scaramuzza

Antonia Pozzi

Dobbiamo innanzitutto esser grati a Graziella Bernabò e a Onorina Dino - a tuttora le più accreditate studiose del mondo di Antonia Pozzi (di cui hanno pubblicato i diari e le lettere) - per averci donato questa nuova, snella e significativa antologia. Essa segna un percorso personale entro l’universo pozziano, raccoglie il senso di una lunga, attenta e fruttuosa frequentazione di esso, ne enuclea un senso con cui tutti noi, ammiratori di Antonia, o anche solo interessati a lei, dovremo confrontarci. In questo contesto non è da passare sotto silenzio che alle autrici della nostra antologia non è mancata l’attenzione alle fotografie in cui Antonia si è espressa, accuratamente studiate, raccolte e rese pubbliche da Ludovica Pellegatta: Nelle immagini l’anima. Antologia fotografica (Àncora, 2017); lo scorso 2018, poi, il Centro Insubrico ha edito l’album fotografico 1938. Primo album, a cura e con contributi di Marina Lazzari, Carlo Meazza e Fabio Minazzi. Aggiungo con l’occasione che in questi giorni, come mi ha riferito appunto Fabio Minazzi, è apparsa una nuova traduzione spagnola delle poesie della Pozzi; preceduta qualche mese fa da un’edizione argentina de La vida sonada apparsa nella collana La Sofia cartonera promossa dall’università di Cordoba. Quanto all’edizione spagnola: Antonia Pozzi, Poemas elegidos, Prologo de Fabio Minazzi, traduccion de Raquel Vicedo y Manuel Astur, Colleccion Mitades de una gota, Somos Libros, Madris 2019 ISBN 978-84-120754-2-7. Sono pubblicate alcune poesie della Pozzi, con il testo in spagnolo a fronte, insieme ad alcune sue foto e ad alcuni suoi manoscritti. L’effetto complessivo, mi assicura Fabio Minazzi, è “editorialmente molto bello e commovente”. La scelta di Graziella Bernabò e Onorina Dino – come la loro Introduzione chiarisce benissimo - ripercorre l’intero arco della produzione pozziana, in senso vuoi cronologico (dall’adolescenza alla tragica scomparsa) vuoi tematico: in una linea che va da affettiva a esistenziale, da socialmente avvertita a metapoetica, da paesaggistica (e attiva in particolare nel suo amore per le montagne, oggetto di studio da parte di Marco Della Torre) a storico-politica, a squisitamente letteraria. Giustamente si evidenzia che alla “riscoperta” della personalità e della scrittura di Antonia, al suo “straordinario successo postumo”, ha fortemente contribuito la “rivalutazione della creatività delle donne” verso la fine degli anni Ottanta. Nel primo risvolto di copertina troviamo un’efficace sintesi del percorso culturale di Antonia, riflesso nell’antologia; vale la pena riprenderla: “Estranei ai canoni letterari degli anni Venti e Trenta, questi versi restituiscono, in un linguaggio tanto calibrato quanto limpido e comunicativo, l’identità appassionata di una giovane donna costantemente protesa a un raccordo autentico e libero con la vita, con il mondo e con la scrittura. Muovendosi in modo originale tra realtà e visione, Antonia Pozzi resta fedele a una concreta, e spesso difficile, esperienza personale, ma si apre nello stesso tempo alle profondità del cuore umano e all’essenza delle ‘cose sorelle’, alla bellezza salvifica della natura come alla desolazione delle periferie milanesi e alle tragedie della storia. La sua è una poesia di ampio respiro che coinvolge i lettori in un dialogo straordinariamente attuale”. E ora due parole circa il titolo, che a tutta prima com’è ovvio colpisce. Devo qui confessare che A cuore scalzo ha suscitato qualche perplessità in me. Riprende un verso di Antonia, è vero, come del resto quasi sempre i titoli delle opere a lei dedicate. Volendo esemplificare: Per troppa vita che ho nel sangue di Graziella Bernabò, L’infinita speranza di un ritorno di Fulvio Papi, ripreso nell’omonima rappresentazione teatrale di Elisabetta Vergani; In riva alla vita di Alessandra Cenni; Poesia mi confesso con te, raccolta curata da Onorina Dino. Altre antologie con diversi titoli sono disponibili, e seguono altri percorsi, diversi ma pur sempre degni di considerazione: innanzitutto quella curata, e tradotta splendidamente in tedesco, da Gabriella Rovagnati: Parole/Worte (ed. Wallstein, Göttingen, 2008); e anche Desiderio di cose leggere, a cura di Elisabetta Vergani e con prefazione di Eugenio Borgna (ed. Salani, Milano, 2018); di recente è infine uscita Mia Vita cara (edita da Interno Poesia), curata da Elisa Ruotolo. Contestualmente è da sottolineare che, nelle opinioni che si possono avere circa i titoli, in gioco non è affatto un giudizio sui versi pozziani ripresi, quanto piuttosto la loro estrapolazione come titoli. Il verso che dà nome al titolo lascia a mio avviso risuonare in sé armonici di “spontaneità”, di chiarezza e di sincerità, di immediatezza tutta “femminile”; rasenta quei toni da “poesia di sfogo, fatta di sola confidenza e di sole effusioni” - che già Eugenio Montale nel 1948 vedeva incombenti, anche se superati, nella poesia di Antonia Pozzi. Il rischio è, ancora, di lasciare ai margini gli aspetti più inquietanti, scabrosi, degli scritti pozziani, la loro sensibilità per le zone d’ombra e le ambivalenze che a ogni vivere si accompagnano - e di trasmettercene con ciò un’immagine che non rende ragione della complessità e della varietà di sfumature del pensiero pozziano. “Pensiero”, propriamente, senza dubbio attivo anche nei versi, dato che li innerva e in essi si esprime. Il titolo, tuttavia, incorrerebbe nei rischi di cui s’è detto se non si ponesse mente al fatto che A cuore scalzo è un verso tratto da una delle ultime poesie (datata 27 gennaio 1938) di Antonia: Luci libere - inclusa da Elisabetta Vergani, ma non da Gabriella Rovagnati nelle loro scelte, ma riportata non a caso (nella sua originaria versione manoscritta) nella quarta di copertina della nostra antologia. Poesia non semplice, ossimorica a tratti, e che sicuramente riflette le estreme inquietudini dei lunghi mesi che precedono, e preparano, il suicidio. Si deve tener presente infatti che A cuore scalzo è seguito da e con laceri pesi di gioia, dove i termini “laceri pesi” inibiscono la libera luce della gioia. Il verso è certamente giustificato nel contesto della poesia; ma, isolato nel titolo dell’antologia, suona piuttosto problematico, almeno nella mia ottica. La contestualizzazione, per altro verso, è indispensabile per comprendere appieno ogni evento, culturale o meno. Ma di tutto sono possibili contestualizzazioni, e questo non giustifica senza residui ogni interpretazione e ogni scelta; nella fattispecie esse poco tolgono alla sostanza vissuta, da un lettore, di un titolo. Non tolgono in questo caso che proprio quel verso sia stato scelto, e con esso si sia privilegiata un’immagine di Antonia. Non a caso nell’antologia qui in causa, oltre a trovarvi tante poesie che amo, non ritrovo poesie a me care quali Amor fati (del 13 maggio 1937). Una complessa e tormentata poesia, su cui si è molto discusso nel marzo di quest’anno tra Tiziana Altea, Graziella Bernabò, Fulvio Papi e Gabriella Rovagnati e me. Neppure Elisabetta Vergani del resto la include in Desiderio di cose leggere; Gabriella Rovagnati la traduce invece nella Parole/Worte. “Amor fati” risuona infine in un significativo scritto di Ludovica Pellegatta: “Antonia Pozzi e la fotografia: Amor fati.” La poesia è molto breve, e la si può facilmente citare: “Quando dal mio buio traboccherai / di schianto / in una cascata / di sangue - / navigherò con una rossa vela / per orridi silenzi / ai cratèri / della luce promessa”. Graziella Bernabò la definisce enigmatica, la associa a un’altra poesia pozziana, Pan (neppure essa peraltro inclusa nell’antologia). Amor fati (ma credo anche altre poesie pozziane) può conciliarsi con l’a cuore scalzo del titolo? ha qualcosa di conturbante, di “enigmatico” appunto, che contrasta ogni franca immediatezza. Non riflette anch’esso qualcosa di costitutivo della personalità, e dei versi, di Antonia? Queste le mie impressioni personali, dovute a una frequentazione non specialistica, parziale, degli scritti di Antonia. Ma ci sono motivi di fondo che mi hanno legato a lei, e tuttora restano indimenticabili: soprattutto motivi problematici, che mettono in discussione non poco dell’ambiente banfiano; la mia frequentazione dunque non è immotivata, nell’ambito dei miei interessi per quella che si chiama “Scuola di Milano”. In essa la figura della Pozzi si staglia con un suo ruolo imprescindibile, agendo da cartina di tornasole in riferimento agli aspetti più sintomatici e discutibili (cui di rado si dà evidenza) del mondo in cui operò. Non è da sottacere infine che questa mia recensione si è costruita, infine, in dialogo con Tiziana Altea, profonda conoscitrice dell’universo pozziano, verso cui ho molta stima: mi ha offerto spunti che completano, ma anche contraddicono, i miei. Che non li hanno invalidati, ai miei occhi; ma contribuiscono a leggerli con più equilibrio. Li riporterò qui più avanti. Voglio tuttavia farli precedere dalle considerazioni che in seguito mi ha offerto Graziella Bernabò, indispensabili a chiarire meglio il discorso. Mi è grato riportarle: “C’è stata l’incertezza tra il titolo scelto e Luci libere. La casa editrice ha preferito il primo, e devo dire che la cosa non mi è dispiaciuta perché in questo titolo non c’è soltanto metaforicamente l’anima di Antonia  (il “cuore”), ma anche il corpo, la fisicità (anticipo di tanta poesia, non solo delle donne, del secondo Novecento), e non una fisicità  generica (“scalzo” rimanda ai piedi, a una parte del corpo, se vogliamo, molto semplice,  non serafica,  dunque non da poesia di signorine). L’insieme della poesia, non a caso collocata in quarta di copertina, fa sentire Antonia “corpo vivo” tra gli altri “corpi vivi”, di fronte ai quali si pone in un atteggiamento di ascolto e di totale empatia. La poesia è poi da leggere in combinazione con Periferia e Via dei Cinquecento. Amor fati è una poesia interessante, ma tra questa (che nel titolo richiamava letteralmente Nietzsche e sarebbe stata, come ben sappiamo, di  complessa e non univoca interpretazione) e quella immediatamente successiva, Bambino morente, abbiamo preferito la seconda (non inserita nelle antologie di Gabriella Rovagnati e di Elisabetta Vergani), che a me personalmente ricorda piuttosto la tragicità delle varie versioni di La  Morte nella stanza dell’ammalata di Munch (pittore peraltro non  presente ad Antonia Pozzi), attestando  nel contempo  la sua empatia  verso  l’altro da sé: dietro la poesia c’è un fatto reale a cui ebbe ad assistere Antonia stessa. Nell’ottica di una maturazione umana, civile e perfino in qualche modo politica, dell’ultima Pozzi abbiamo poi inserito un’altra poesia del 1937 di forte impatto espressionistico, La Terra, assente nelle suddette antologie. Il 1937 è presente in A cuore scalzo anche con altre poesie; e noi nell’antologia dovevamo rappresentare tutte le varie fasi della produzione pozziana.    
Convengo che la poesia di Antonia Pozzi non deve apparire effusiva. Proprio per questo abbiamo lasciato poco spazio a un certo suo simbolismo crepuscolare, rendendo in fondo più severa la scelta rispetto ad altre antologie. Purtroppo lo spazio a disposizione era veramente poco, considerando anche l’introduzione e la cronologia. E, d’altra parte, noi avevamo pubblicato l’edizione integrale di Parole, a cui indirizziamo naturalmente un pubblico già iniziato alla poesia pozziana”. E veniamo infine alle notazioni di Tiziana Altea. Riportarle qui mi sembra non solo giusto, ma anche giovevole per ogni lettore di A cuore scalzo - che potrà poi su questa base farsi un’idea personale più ragionata. Resta d’altronde che una lettura convincente di ogni poesia può nascere solo da un vivo dialogo tra diversi, e non da un tener indiscutibilmente (dogmaticamente) ferma una propria tesi.     
“Rispetto al titolo, le offro un'altra lettura. Quel “a cuore scalzo” non inficia la personalità complessa e sfaccettata di Antonia, a mio avviso. Rappresenta semmai un anelito, una tensione di Antonia, un suo desiderio che si capisce non si avvererà. E sta qui la potenza di questo verso. Rafforzato poi dal seguente “e con laceri pesi / di gioia”. La grandezza poetica sta anche in questa semplicità apparente che vela, senza nascondere, tutta l’inquietudine. Le chiedo: e se fosse proprio questo “cuore scalzo” a volere l’“amor fati”? Un cuore radicale, che non vuole suole, con tutto quello che ciò comporta: leggerezza e libertà da un lato, lacerazione della pelle/carne dall’altro. L’importante è il contatto diretto, il non avere filtri, il potersi perdere nella “danza / di un vecchio organo”. C’è insieme molta spiritualità e molta fisicità in questa poesia, grazie proprio a questo ‘cuore scalzo’: in esso la grazia e la potenza di un orizzonte che non si può raggiungere. La poesia è come se fosse scissa in due, con la seconda parte più fissata sulle mancanze. Amor Fati non c’è in questa antologia che, in quanto tale, è una selezione. Ci sta. Ma allora le domando: qual è il filo rosso che attraversa questa raccolta, secondo lei?”  
“Il filo rosso” dunque: provo a rispondere. Questo filo per me è dato dal trascorrere delle poesie di Antonia tra temi e toni diversi, che l‘introduzione all’antologia e il modo in cui è costruita rendono bene. Ma è dato inoltre dalla sua aperta sensibilità, dalla profonda curiosità verso tutto quanto la circonda - rende bene il titolo un simile trascorrere? Ma “il filo” è insieme dato dal mantener tuttavia fermo e vivo in tutto quel “trascorrere” una tensione etica ed esistenziale che la salva, e che il titolo, questo sì, non nasconde.  

Antonia Pozzi
A cuore scalzo. Poesie scelte (1929-1938)
a cura di Graziella Bernabò e Onorina Dino 
Ed. Ancora, Milano, 2019; pp. 128, € 12.

Il volume è pubblicato col patrocinio del “Centro Internazionale Insubrico ’Carlo Cattaneo’ e ‘Giulio Preti’ per la Filosofia, l’Epistemologia, le Scienze cognitive de la Storia delle Scienze e delle Tecniche” dell’Università degli Studi dell’Insubria -Varese.