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venerdì 4 ottobre 2019

LA LINGUA MATER DI GACCIONE
di Claudia Azzola

Claudia Azzola

L’ha detto lui stesso, l’autore, di non avere mai pensato di scrivere nel suo dialetto acrese, del territorio cosentino, eppure questa parlata gli è stata viva dentro per anni, ed è stata infine restituita all’ascolto, all’espressività scritta e sonora di un mondo arcaico che non sopporta l’astrazione, perché la vita è densa ed è del qui e ora, del lavoro, degli affetti quotidiani, della casa, del dolore. Il gruppo familiare è pensato prima dell’individuo, perché il clan è la vera forza motrice del sociale, così come è presso gli antichi e le tribù. Ma mi devo subito in parte smentire, poiché l’astrazione è vissuta, per esempio, nel lessico della lontananza, del ritorno, degli affetti pudicamente non esibiti, nella sensazione fisica del tempo che permea i rapporti, nella semantica del comunicare con la ritrosia delle genti legate a un piccolo cosmo di lavori e di opere, che non ha conosciuto l’età dell’oro e, quindi, del mito.                                  Alieno dall’autobiografismo, questo poemetto è notevole per limpidezza del pensiero e asperità di parole, piccola lingua cui non si chiede di affrontare i vasti significati della storia, che si circoscrive a pochi parlanti, quasi un saussuriano ‘idioletto’, la lingua mater che ‘fa’ il poeta Angelo Gaccione, scrittore che peraltro si è misurato ampiamente con il teatro, il racconto, la poesia. La scintilla fu pronta ad accendersi per dianoia, conoscenza per connaturalità, e nella lingua materna sentì di esprimersi il ‘ricercatore’ Gaccione, in una vampa dell’inconscio, della pura sostanza, andando indietro fino al punto di non ritorno, alla Diòtima del Simposio. Egli dà conto nell’Ouverture (interessante francesismo ‘orchestrale’ che prende le distanze dall’italiano e balza dal dialetto alle preziosità d’oltralpe), di parole-segni su cui Gaccione impianta il corrispondente sonoro, suoni che dichiara di “poterseli dire solo mentalmente” (“Dodùri…/ sendìti cum’è densa ssa paroda. / Dodùridodùridodùri…; Dolore…/ Sentite com’è densa questa parola. / dolore… dolore… dolore), e pure le allitterazioni dovettero sollecitarlo nell’organismo e nel sangue. Non vi era a portata di mano il dizionario milanese-italiano, o un Carlo Porta, o un Eduardo, e la celeberrima canzone partenopea e il teatro. L’acrese che, da quanto capisco, si distanzia dal cosentino, si accende nella coscienza del poeta che ne sente un richiamo così profondo e al contempo così indicibile da non essere soddisfatto se non cercandone le sillabe e il radicamento corporeo nella parlata mai stantia, mai desemantizzata come la lingua italiana di oggi, appannaggio di scrittori desemantizzati nella omologazione del mercato libresco. E, ovviamente, dei parlanti echeggianti il verbo televisivo. Gli accenti tonici, oltre alla grafia segnata come ‘guida’ al lettore e chiarimento a se stesso, sono le tracce per l’assunzione di questi testi aspri nelle consonanti e a volte aspri nelle vocali per le ‘u’ reiterate, la b e la v sullo stesso piano di pronuncia come in altre lingue mediterranee. L’ascolto e la scrittura anche letteraria ci hanno trasmesso la nerezza notturna di questa vocale, la luna, il lupo, l’urlo, la foscoliana ùpupa, e qui a nnu figliu, n’omus ’u, du munnu, ecc.  dove dal fondo di vite oscure e profonde emerge, presente, qualcosa di familiare, di conosciuto e pacificante, un umore di casa e di stalla, come nei versi: 

Dìcini ca a chèasa e da mamma ha nnu dumu, 
na duci perenni c’u mmori.

[Dicono che la casa di una madre ha un lume,                                       
una luce perenne che non muore.]

Con la preziosità di quel “perenne” perché, in fondo, il latino non è estraneo né lontano. Un mondo acheo oggettivato, perenne, ma dove si sente l’intervento dell’uomo moderno, della sua capacità di dare significanza all’essere e all’esistere. Un pensiero limpido, essenziale, greco.

La copertina del libro
Angelo Gaccione
Lingua Mater
Ed. Macabor, 2018
Pagg. 80 € 12,00
Introduzione di Dante Maffia