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sabato 30 novembre 2019

NESSUNO (O QUASI) LO DICE
di Franco Astengo

Giuseppe Conte

Il dibattito sulla riforma del Mes, il Fondo salva staticontinua a infiammare la politica italiana. Le posizioni all'interno della maggioranza sono divise: da un lato Leu e M5s sono per migliorare il negoziato e semmai rinviarne la riforma. Pd e Italia Viva, invece, difendono la ratifica della riforma. Sullo sfondo la Lega, con Salvini che ha accusato il premier Conte di "tradimento".
Questa “querelle” sta minacciando la stabilità del governo: è evidente come si tratti di un caso quasi di scuola di strumentalizzazione politica, di una ricerca purchessia di un “casus belli” sul quale mantenere comunque il confronto politico sempre a livello di propaganda e di eterna campagna elettorale.
Pur tuttavia sarebbe il caso di esaminare alcuni aspetti della vicenda in modo da trarne conclusioni non così scontate come si sta verificando da più parti.
Nessuno (o quasi) ricorda almeno tre punti:
1.La vera e propria “ubriacatura monetarista” che portò alla stipula del trattato di Maastricht al quale si arrivò al culmine del ciclo reaganiano e nella convinzione che la fine del bipolarismo sarebbe risultata irreversibile dal punto di vista della vittoria del capitalismo liberale. Vale la pena ricordare ancora una volta il titolo “La fine della storia” del quale lo stesso autore Francis Fukuyama oggi si è dichiarato pentito;
2.L’accelerazione impressa al processo di cessione di sovranità dello “Stato Nazione” del quale si era già paventata la quasi estinzione. Una prospettiva ammessa dagli stessi no-global (da ricordare il “popolo di Porto Alegre”) e un’accelerazione rimasta a metà proprio per la piega presa dalla “globalizzazione” con il mutamento di scenario imposto dalla crisi del 2007/2008 con il ritorno alla geopolitica e corollario di neo-imperialismi e nazionalismi di vario tipo;
3.L’arresto di un’ipotesi di ulteriore passaggio a una dimensione politica comune dell’Unione Europea con il fallimento del progetto di costituzione (2005) e il ripiegamento avvenuto con il trattato di Lisbona.


In sostanza si sono verificati equivoci macroscopici e gravi errori politici (compreso quello relativo al meccanismo dell’allargamento a 27).
Per quel che riguarda l’Italia da ricordare anche la pessima gestione circa l’ingresso nella moneta unica.
Emerge da queste vicende la gravità di un’assenza complessiva di classe dirigente che si accompagna alle modificazioni avvenute sul piano dell’azione e della comunicazione politica.
Oggi ci si ferma all’episodico di ogni singolo aspetto al di fuori di una visione di lungo respiro: insomma quello che nessuno (o quasi) dice riguarda le responsabilità della politica nel prevedere ciò che stava per accadere contrapponendovi un’adeguata progettualità.
Il confronto su questi temi è completamente assente e l’opinione pubblica tagliata fuori dalla possibilità di esprimersi, appare priva ormai di una rappresentanza politica misurata su di un pragmatismo collegato a una visione ideale e progettuale di trasformazione degli equilibri esistenti e di possibilità di affrontare le inedite contraddizioni che percorrono il mondo d’oggi.

IL PENSIERO DEL GIORNO



“Più veleni, più produzione”: -questo è il motto degli imprenditori
d’oggi, lasciati a briglia sciolta dallo Stato-”.
Nicolino Longo

venerdì 29 novembre 2019

Socrate al Caffè  
AL COLLEGIO CAIROLI DI PAVIA
Il libro di Bruti Liberati

La locandina dell'incontro




PIAZZA FONTANA
Convegno all’Università Statale di Milano
Via Festa del Perdono n. 7 

La strategia della tensione e la strage

Aula Crociera Alta di Giurisprudenza
Giovedì 5 dicembre dalle ore 9,45

Il programma
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PIAZZA FONTANA. IL CINQUANTESIMO


La copertina del volume

Molti sono i libri intorno a quella che oramai è passata alla storia come “Strage di Stato” in occasione del cinquantesimo (1969-2019). Di particolare importanza questo a quattro mani del giudice Guido Salvini e del giornalista Andrea Sceresini: La maledizione di piazza Fontana L’indagine interrotta. I testimoni dimenticati. La guerra tra i magistrati, pubblicato da Chiarelettere, e di cui “Odissea” si occuperà nei prossimi giorni. Intanto però vogliamo segnalarlo ai nostri numerosi lettori e a quanti, nelle forme più diverse, stanno attuando varie e interessanti iniziative a Milano e fuori, in preparazione delle manifestazioni del 12 dicembre e dei giorni a seguire, perché è un libro che riporta le rivelazioni esclusive del giudice che ha condotto l’ultima istruttoria su piazza Fontana Guido Salvini. Lo troverete nelle migliori librerie o richiedendolo direttamente all’editore di cui indichiamo indirizzo email e numero di telefono.

Giugno 2005: la Corte di cassazione conferma l’assoluzione degli ultimi neofascisti imputati per la strage del 12 dicembre 1969. Settembre 2008: il giudice Guido Salvini, autore dell’istruttoria che ha portato all’ultimo processo sulla strage, riceve la lettera di un ex ordinovista padovano. “La prego contattarmi personalmente - recita - per novità su piazza Fontana.” È il primo passo di una lunga e puntigliosa inchiesta privata che in questo libro, scritto con la collaborazione del giornalista Andrea Sceresini, è raccontata e resa pubblica per la prima volta. Una vera e propria ricerca degli uomini di piazza Fontana. I nomi e le storie dei terroristi neri sfuggiti alla giustizia. Un documentato atto d’accusa contro una parte della magistratura, le sue responsabilità e inadempienze, che farà discutere. Nel corso di dieci anni Salvini è tornato a parlare con le sue vecchie fonti, ne ha trovate di nuove, ha smontato le bugie e gli alibi che avevano messo in difficoltà le accuse e raccolto elementi e riscontri a carico di soggetti mai sfiorati dalle indagini.  Chi era il giovanissimo neofascista che quel pomeriggio d’inverno sarebbe entrato in azione alla Banca nazionale dell’agricoltura? Cosa aveva da raccontare la “Fonte Turco” del Sid, insabbiata in tutta fretta per ordine dei vertici dei servizi segreti? Cosa lega il suicidio di un ex legionario nel Sud della Francia con la morte in Angola di un ricco imprenditore padovano? Ma soprattutto: perché i magistrati non sono stati in grado di compiere fino in fondo il loro dovere? Una narrazione ricca di elementi inediti, a cinquant’anni dalla strage. La vicenda più drammatica della nostra Repubblica raccontata come un grande giallo italiano.

Guido Salvini, giudice presso il Tribunale di Milano, è uno dei pochi magistrati che, per ragioni di indipendenza personale, non aderisce ad alcuna corrente organizzata della magistratura. Negli anni Novanta, come giudice istruttore, ha condotto le indagini sull’eversione di destra e sulla strage di piazza Fontana, i cui risultati sono confluiti nell’ultimo processo, il terzo, sulla vicenda. Proprio mentre conduceva queste indagini è stato sottoposto a un procedimento aperto dal Csm che comportava il suo trasferimento da Milano. Si è difeso personalmente e strenuamente per anni dalle accuse, uscendone del tutto indenne e dimostrando la loro infondatezza. Ha proseguito le sue indagini sulla strage anche dopo il 2005, data dell’ultima archiviazione. I risultati del suo lavoro decennale sono contenuti in questo libro ricco di rivelazioni inedite. Nel 2013 ha pubblicato la raccolta di scritti sulla giustizia Office at night e nel 2019, per le edizioni Pendragon, il libro di riflessioni personali Domenica mattina presto.

Andrea Sceresini, giornalista freelance, per Chiarelettere ha scritto L’avvocato del diavolo (con Vittorio Dotti, 2014), La seconda vita di Majorana (con Giuseppe Borello, Lorenzo Giroffi, 2016), Internazionale nera (2017) e, con Danilo Pagliaro, Mai avere paura (2016) e La scelta (2018). Ha realizzato documentari, inchieste e reportage per Rai, Mediaset e Sky, lavorando anche come reporter dai fronti di guerra. Ha collaborato con “L’Espresso”, “il Fatto Quotidiano”, “La Stampa”, “L’Europeo” e altre testate. Nel 2016 ha vinto il premio Dig. Attualmente lavora a Mediaset.

Per contatti
Ufficio Stampa Chiarelettere – Tel 02 34597360  
Mail: tommaso.gobbi@chiarelettere.it

STRAGE DI PIAZZA FONTANA
Mostra al Circolo Arci Bellezza
Milano non dimentica

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OMAGGIO AL CLAVICEMBALO  
Associazione Culturale 



Chiesa di San Cristoforo sul Naviglio
Via San Cristoforo 3 Milano

Sabato 30 novembre 2019 ore 16.00

Esplorando Händel tra forme e sonorità  
 
Daniela Fontana - clavicembalo
Chiara Busi e Andrea Florit - flauti  
Giovanna Scarlato - viola da gamba 

 info: 333 7723989 

Ingresso libero

CANTO ALATO ALLA SCALA


La locandina dell'evento

mercoledì 27 novembre 2019

Libri
IL MERCATO CRIMINALE DELL’ARTE
di Angelo Gaccione

La copertina del libro

Il libro di Luca Nannipieri, Capolavori rubati (Skira editore 2019, pagg. 176  € 19,00), solleva molte questioni; e come altre ricerche che lo hanno preceduto, getta una luce sinistra sul mondo dell’arte e su quello che chiamiamo patrimonio artistico-culturale di un Paese. Il binomio artistico culturale di per sé non significa nulla; come non significa nulla il binomio paesaggistico ambientale. Assumono rilievo e si rivestono di importanza, solo quando una comunità, (una civiltà?), ne diventa consapevole ed è disposta ad assumerli nella propria coscienza come elementi inscindibili; come parti consustanziali al suo essere sociale e biologico che il tempo e le vicende storiche hanno stratificato nel luogo che gli appartiene fisicamente, ed in altri che gli appartengono moralmente, intellettualmente. Senza questa consapevolezza, una cattedrale resta un ammasso di pietre sulle cui pareti si può scrivere con disinvoltura: “Viva la Roma”, la fontana del Bernini diventare una pozza d’acqua dove refrigerare i piedi in estate (come fanno molti turisti), un canale di Venezia una discarica di bottigliette di plastica e di lattine di Coca Cola, un viale di alberi un ostacolo al parcheggio di auto e moto.
Ha ragione da vendere Nannipieri quando scrive che è una pura illusione credere che “l’arte spinga al bene e alla giustizia”; così com’è un’idea ingenuamente romantica quella di credere che la bellezza sia un antidoto contro la barbarie, o addirittura salvifica nei confronti del mondo. 
Il Novecento con le sue due guerre mondiali e gli altri conflitti che sono venuti dopo (tanto per restringere l’orizzonte temporale), non si è fatto per nulla “condizionare” dalla bellezza: sono state polverizzate città straordinarie come Cracovia, Dresda, Berlino, Varsavia; massacrate Londra, Parigi, Milano, Sarajevo; bombardato il Prado, sventrata la Scala, abbattuto chiese e palazzi storici in ogni dove. Era il 9 novembre del 1993 quando le forze croato-bosniache distrussero il ponte ottomano del XVI secolo a Mostar, ed è stata una manciata di anni fa quando il fanatismo criminale religioso ha attaccato Palmira e cercato di cancellare Petra per ridurla in polvere come le statue di Buddha a Bamiyam nel 2001.

Venere di Morgantina

Personalmente non mi sono mai fatto illusioni in proposito, e in una riflessione del 1988 pubblicata nel volumetto Il calamaio di Richelieu (1989), contestavo la sicumera che la bellezza potesse salvare il mondo, visto come abbiamo violentate le città e aggredito il paesaggio. E a proposito della sensibilità verso le opere d’arte e il patrimonio culturale, giusto un anno prima avevo annotato questo pensiero: “Nessuna cosa ha un’anima se non ne avete una”. Chi avrà la pazienza di leggersi la sconfortante disamina di Nannipieri ne avrà la chiara conferma. In realtà solo in una esigua minoranza esistono, e sono esistiti, consapevolezza e amore per il patrimonio artistico. Alcune di queste meravigliose creature hanno persino sacrificato la loro vita per tutelare opere d’arte e sottrarle alla furia devastatrice mettendole in salvo. Non sono stati solo i nazisti a bombardare indiscriminatamente, lo hanno fatto tutti gli stati e senza riguardi. Quanto ai saccheggi e alle usurpazioni di beni artistici, ne è piena la storia come ne è piena la cronaca. Come afferma Nannipieri, attorno all’arte c’è sempre stata lotta spietata (omicidi, contrabbando, furti su commissione, riciclaggio, falsificazione, corruzione di soggetti fra i più diversi e insospettati), e quando è stato necessario, persino lo sfregio di capolavori e la loro distruzione. A questa lotta non si sono sottratti (ed è tuttora un mercato fiorente) neppure i più noti Musei mondiali, e spesso acquistano opere che malavita, mafie e intermediari senza scrupoli, hanno provveduto dolosamente ad accaparrarsi. Nessuna arcadia idillica e pacifica, dunque, caratterizza il mondo dell’arte. Per quel che concerne la tutela, ognuno di noi avrà fatto diretta esperienza entrando in una chiesa o in un museo. Controlli inadeguati o inesistenti; possibilità di avvicinarsi a capolavori pericolosamente indifesi; sale prese d’assalto da una quantità smisurata di visitatori con i danni che questo comporta (quando si tratta di opere e manufatti divenuti delle icone mediatiche), indifferenza generalizzata verso altri luoghi e altri beni di straordinaria importanza, solo perché più decentrati e meno reclamizzati. Nannipieri registra una lunga sequela di furti avvenuti nei musei più in vista di mezzo mondo, dove con una facilità estrema, si sono potuti portar via capolavori celeberrimi, e dà un quadro sconsolante su molte località del nostro Paese ricche di siti, di chiese, di collezioni. Nannipieri cita una fonte dell’Interpol che stima a oltre 9 miliardi di dollari il guadagno per i trafficanti. C’è una discreta quantità di “operatori” del settore che considera il bene artistico come una pura merce, una merce il cui valore è molto alto, e come tale ricicla sul mercato clandestino la refurtiva. L’obiettivo è fare soldi e molti. A costoro non importa se viene depauperato un sito, alterato il contesto dentro cui si situa il reperto trafugato, resa monca la relazione con l’insieme e così via. Non importa neppure al destinatario finale: spesso un ricchissimo misterioso accaparratore che con l’arte ha un rapporto deviato fatto di perversa solipsistica esclusività; un contemplatore avido che si compiace di un possesso negato a tutti gli altri. In personalità come queste c’è una forte pulsione erotica verso l’oggetto bramato da sconfinare nel feticismo.

Atleta di Fano

Se poca attenzione è riservata ai beni storico-artistici- ambientali da parte della politica e delle istituzioni pubbliche qui da noi (il degrado indegno in cui versa da decenni Venezia è paradigmatico), le orde di “fruitori” che si muovono nei contenitori e nei loro d’intorni, non sono da meno quanto a incuria e a insensibilità. Se salite la gradinata che porta verso una cattedrale, se entrate in un chiostro o vi aggirate attorno ad una fontana storica, non vi sarà difficile trovare mozziconi di sigarette, lattine di bibite, bottigliette di plastica, fazzoletti da naso, involucri di alimenti fra i più diversi, abbandonati sui gradini, occultati dentro gli interstizi dei muri, accanto alle colonne di un chiostro o galleggiare nell’acqua della fontana.
Le norme legislative a tutela sono deboli e non omogenee a livello internazionale; i luoghi non protetti con efficienza. Nannipieri riporta casi emblematici di luoghi da cui si sono potuti asportare opere con estrema facilità, perché non era in funzione un allarme, il luogo non era collegato con la questura o semplicemente perché una porta era stata sbadatamente lasciata aperta. Il Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ha approntato una sorta di vademecum ad uso prevenzione (Nannipieri ne dà conto alle pagine 97 e 98 del suo prezioso lavoro). Vi sono elencate tutte le domande che un Museo, una Fondazione, una Biblioteca, una Chiesa, dovrebbe farsi e rispondere con adeguate misure, per evitare di diventare facile preda dei ladri. Non sappiamo inoltre quanto sia efficiente il sistema antincendio, quello di videosorveglianza, quello della mobilità delle opere che si muovono da una città all’altra, da una nazione all’altra, da un continente all’altro, per scambi espositivi. Capolavori irripetibili sorvolano oceani sempre più frequentemente: ci si è mai posti il problema dell’incidente, del dirottamento, dell’attentato terroristico? Perché continuare in questa pratica così rischiosa? Il nostro Paese dovrebbe emanare una legge per vietarla. Si muovano gli uomini, non le opere. E si mettano dei limiti al flusso dei visitatori in quei luoghi il cui equilibrio è troppo fragile e delicato. Trovo aberrante la logica dei luoghi d’arte aperti gratuitamente a tutti in singole giornate, favorendo l’assalto indiscriminato e producendo danni enormi. Perché non farlo tutto l’anno evitando gli assalti scomposti che si rivelano poco proficui per gli stessi visitatori? Il costo economico potrebbe essere coperto stornando dalla spesa militare (cioè di morte), l’equivalente di quanto si spende in un mese. Sarebbero soldi spesi bene: per la cultura, per la bellezza. Chissà, magari qualcuno ne sarebbe davvero contagiato e mostrerebbe più rispetto per dei beni che appartengono a tutti.


LAVORO



“Ancora oggi, cantieri che fungono da mattatoi.
I lavori non protetti ne sono i coltelli.
Gl’incoscienti datori d’opera, le mani che li affondano”.
Nicolino Longo
ROJAVA E LA SITUAZIONE CURDA
di Luigi Vinci



Venerdì 15 novembre a Milano alla Fabbrica del Vapore Davide Grasso ha ragguagliato a lungo il pubblico sulla situazione attuale del Rojava e sui problemi drammatici in cui la sua popolazione, dopo avere sconfitto i tagliagole dell’ISIS, sostenuti in tutti i modi dalla Turchia, oggi si ritrova a difendersi dall’attacco di terra e dall’aria sia direttamente da parte dell’esercito turco che da parte di milizie di supporto alla Turchia composte dal riciclaggio dei residui delle varie bande islamiste. Nessuno come Grasso, giornalista freelance vissuto a lungo accanto alle Unità di Protezione del Popolo e di Protezione delle Donne, ivi compresi i momenti più crudi dei combattimenti, può essere oggi in grado di ragguagliarci. Inoltre, di farlo riguardo allo straordinario lavoro di costruzione di una società democratica caratterizzata dalla partecipazione diretta, attiva, della sua popolazione.
Russia, Stati Uniti, Unione Europea, come abbiamo visto hanno sostanzialmente abbandonato i curdi del Rojava alle pretese turche, purché avvengano gradualmente. Tradendo, così, chi aveva operato sul campo a tutela di quelle realtà, e confermando, così, la fine di un ciclo storico, plurisecolare, nel contesto del quale l’Occidente aveva preteso di essere portatore avanzato di civiltà. Le Unità di Protezione sono arretrate di trenta chilometri rispetto alla parte centrale del confine tra Turchia e Rojava, subendo così (né altro potevano realisticamente fare) quanto concordato tra Russia e Turchia. Pattuglie miste turco-russe pattugliano la totalità di questo confine per una profondità di dieci chilometri. Nonostante l’accettazione da parte delle Unità di Protezione di quanto concordato tra Russia e Turchia, sono sotto assedio turco e bombardate città e villaggi dell’intera parte centrale del Rojava; inoltre sono bombardati gli insediamenti delle Unità di Produzione. A loro volta milizie islamiste ausiliarie della Turchia operano in lungo e in largo in Rojava attaccando villaggi, massacrando contadini, violentando donne, uccidendo cristiani siriaci o armeni; l’intenzione è fare terra bruciata. Obiettivo turco oltre a essere quello di allargare il territorio già in qualche modo acquisito è, infatti, anche di disporre di territorio nel quale collocare 2-3 milioni di profughi arabi siriani: modificando così in radice la composizione etnica del Rojava; di fatto, annettendosi parte del suo territorio, come già accaduto riguardo a quasi tutto il cantone curdo occidentale di Afrin e alle contigue città arabe di Jarabulus e Al Bab, diventate prevalentemente turche e turcomanne.
Agli 11 mila militanti delle Unità di Protezione del Popolo e di Protezione delle Donne caduti combattendo contro l’ISIS e alle migliaia di civili massacrati e di donne violentate oggi vengono aggiungendosene altre migliaia. I profughi curdi in fuga verso sud e verso l’Iraq stanno avvicinandosi al mezzo milione.
Per la Turchia i risultati territoriali raggiunti nel Rojava, benché parziali, rappresentano un fondamentale successo: significano, grazie alla Russia dapprima, grazie agli Stati Uniti poi (il ritiro dei loro soldati dal Rojava), l’acquisizione della possibilità di continuare ad allargarsi territorialmente in Siria senza subire contrasto adeguato: basta solo procedere a spizzichi. E tra i primi spizzichi già campeggiano la dichiarata intenzione turca dell’allargamento della fascia di trenta chilometri alle città di Kobane e di Qamishli. Inoltre la Turchia ha appena dichiarato di riservarsi incursioni militari su tutto il territorio della Siria orientale, onde distruggere la totalità delle Unità di Protezione, in quanto “terroriste”. L’obiettivo concreto è la città di Raqqa, è l’acqua dell’Eufrate, sono i giacimenti petroliferi dell’estremo nord-est siriano.
Quanto alla cooperazione tra Turchia e bande islamiste, occorre riferire come l’attacco turco, impegnando lo spostamento delle Unità di Protezione alla sola tutela della popolazione, stia consentendo la fuga dalla carcerazione del paio di decine di migliaia di militanti islamisti detenuti nel Rojava: pronti quindi, quanto meno in parte, a riprendere la loro guerra, a rovesciarsi verso il Mediterraneo o verso l’Iraq o verso il Caucaso e la Russia.
Grasso riferisce “dall’interno”, è testimone diretto di che cosa di fondamentale consista l’esperienza politica e sociale del Rojava. Essa è la manifestazione siriana dei movimenti di liberazione curdi obbligati alla lotta armata da oltre un secolo di stragi dei poteri turchi, essendo obiettivo di questi poteri la scomparsa delle lingue minoritarie. Non furono solo gli armeni a subire stragi che ne eliminarono quasi completamente la presenza: vi furono gli assiro-caldei (cristiani di lingua aramaica), e poi i curdi, e gruppi minori. Il colpo di stato militare del 1980 segnò in Turchia il punto massimo della repressione: oltre alle incarcerazioni, ai massacri, all’impedimento dell’uso corrente del curdo nei villaggi del Kurdistan, la repressione colpì ogni associazione democratica, le forze di sinistra, i sindacali, le associazioni a difesa dei diritti umani.
Il Partito dei Lavoratori Curdi (PKK), fondato nel 1978 da studenti curdi, si apprestò, quindi, alla lotta armata, e l’avviò a fine 1983. Di orientamento marxista-leninista e avendo a obiettivo la costituzione di uno stato indipendente curdo comprensivo delle varie realtà territoriali di insediamento di questa popolazione (Turchia, Iraq, Iran, Siria), il PKK nel 1999 correggerà, guidato da Abdullah Öcalan, in carcere da poco oltre, la posizione iniziale, optando per una forma di socialismo (il “confederalismo democratico”) basata sulla partecipazione popolare diretta alle scelte e alla gestione della società, rinunciando allo stato curdo indipendente, preferendo a esso una larga autonomia dei territori curdi nel quadro delle formazioni statali esistenti. L’economia ha carattere misto, non esclude, cioè, concretamente, la piccola attività privata; la distribuzione della produzione alla popolazione avviene per via collettiva. L’economia, inoltre, tende a rifarsi all’ecologia: ha carattere “circolare”, non ricorre a materiali inquinanti, a concimi chimici, ecc.
Nel frattempo erano sorti, aderendo a questa linea, ma al tempo stesso indipendenti, il PYD siriano e il PJAK iraniano (in Iraq operavano già dagli anni Trenta specifici partiti curdi, guidati dall’eroe nazionale Mustafa Barzani).
Le circostanze siriane (la guerra civile orientata al sovvertimento del regime autoritario degli Assad; l’entrata in campo di una quantità di gruppi islamisti, supportati e armati da Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, poi largamente coagulati in due grandi gruppi, poi la scissione di uno di questi, al-Nusra-al Qaeda e dalla formazione dell’ISIS) oltre a impegnare il PYD a propria autodifesa lo porterà a farsi carico della guerra agli islamisti in tutta la Siria settentrionale e orientale, raccogliendo, così, anche arabi e minoranze d’altra natura sia linguistiche che religiose.
Protagoniste politiche e militari sono le Unità di Protezione del Popolo e le Unità di Protezione delle Donne. Queste ultime coprono circa il 40% dell’apparato politico-militare. Tra i loro compiti stanno anche la partecipazione alla gestione delle attività economiche e sociali, alla soluzione, per via pacifica, ricorrendo al dialogo, escludendo il più possibile mediatori esterni, delle vertenze e delle liti. Giova notare come questa partecipazione femminile sia forse l’elemento più significativo dell’esperienza del Rojava: avendo demolito il retaggio barbarico di comportamenti antifemminili tipici dell’area. Ciò avviene anche attraverso riunioni, dalle quali sono tenuti fuori gli uomini, nelle quali le donne narrano le loro esperienze e formano tessuti di cooperazione e di autodifesa. I ruoli politico-militari apicali competono diffusamente anche a donne. Molti uomini vengono, così, rieducati. Giova, in ultimo, anche notare come, in realtà, l’esperienza di unità politico-militari femminili e l’affidamento loro di ruoli apicali sia cominciata a opera del PKK in Turchia, già dagli anni Ottanta.

Per aiutare i Curdi

Iban. IT45N 01030 01656 00000 2624683
Monte dei Paschi di Siena agenzia 37

Per contatti
Silvana Barbieri 333 17 36 408
silbarbieriao@gmail.com


Spazio Libero
PER LA RICOSTRUZIONE DELLA SINISTRA ITALIANA:
LINEE DI SUCCESSIONE
di Franco Astengo e Felice Besostri


Da molto tempo la sinistra italiana ha bisogno di avviare un processo di vera e propria ricostruzione. Alcuni punti fermi di una tale rifondazione sono a nostro avviso ben individuabili e costituiscono i presupposti fondamentali della possibile ripartenza: l’inutilità del mero assemblaggio delle residue forze esistenti e della stanca riproposizione di liste elettorali sempre diverse, ma immancabilmente votate al fallimento; la necessità di richiamarsi ad un patrimonio storico e culturale valido sia sul piano della teoria, sia su quello della dinamica politica, superando in avanti antiche divisioni. Di qui l’impegno ad evitare d’ora in avanti ogni ridicola diatriba sul “aveva ragione questo” o “aveva torto quello”, come ogni pretestuosa richiesta di scuse davanti alla storia (anzi alla Storia) ecc., ecc.;
è ora di riavviare, senza anacronistici riferimenti a modelli passati (Bad Godesberg, Epinay, Primavera di Praga: tra l’altro tra loro del tutto diversi) l’elaborazione di un progetto originale che riparta delle contraddizioni e “fratture” fondamentali, incrociandole però con le nuove contraddizioni imposte dal presente. Se da una parte infatti non basta più da sola l’antica “contraddizione principale” fra capitale e lavoro, certo non si può neanche sbilanciare il discorso dall’altra parte, lasciando campo solo a temi pure urgenti come la questione ambientale, peraltro strettamente legata al modo di produzione, o una strategia dei diritti riorganizzata esclusivamente attorno alle questioni di genere. Occorre invece tornare a pensare insieme i due piani: materiale e immateriale, struttura e sovrastruttura, economia e diritto. Le faglie oggi definite “post- materialiste” devono stare dentro una strategia complessiva di trasformazione dell’esistente. Per dirla con Carlo Marx: “Non basta interpretare il mondo, occorre cambiarlo”.
Strettamente connesso a quanto appena detto sui mutati rapporti tra economia e politica, finanza e modello sociale, tecnica e vita civile, è anche lo sfrangiarsi individualistico della società, ma soprattutto la crisi evidente della democrazia, palesatasi dopo il 1989. Allora la fine della Guerra Fredda lungi dall’aprire ad un’epoca di “noia democratica”, ad un mondo pacificato all’insegna del liberalismo/liberismo, aprì piuttosto all’epoca della “guerra infinita” ovvero a modelli equivoci detti di “democrazia del pubblico” o “democrazia recitativa”. Si aprì insomma un’epoca di tensioni planetarie potenzialmente antidemocratiche, fondate sulla scissione tra procedimento elettorale e partecipazione dei cittadini, con l’esercizio del potere popolare messo pericolosamente in discussione. Per questo la sua rifondazione è oggi più che mai una priorità per una nuova sinistra che voglia essere all’altezza delle sfide del tempo nuovo; della crisi di sistema appena richiamata sono indizio anche alcune pulsioni che pensavamo ormai accantonate, da quelle nazionalistiche, a quelle imperialiste, al ritorno di fantasmi quali il razzismo e il fascismo. Anche tutto questo ovviamente deve essere inquadrato nel contesto del mutamento delle dinamiche internazionali degli ultimi decenni. La fase presenta infatti elementi di emersione di nuovi livelli di confronto tra le grandi potenze e di profonda modificazione del processo di globalizzazione, così come si era presentato alla fine del XX secolo e, successivamente, nella fase della “grande crisi” del 2007. Sotto quest’aspetto il grande tema rimane quello di un rilancio concreto dell’internazionalismo e della prefigurazione di un modello economico e sociale alternativo a quello neoliberista;
in questo quadro un “dialogo Gramsci-Matteotti”, che parta dalla loro analisi dell’avvento del fascismo dopo la fine della Grande Guerra, può essere propedeutico ad un rinnovato discorso culturale e politico di sinistra all’indomani della fine della Guerra Fredda (e in presenza dei ricordati fenomeni di crisi della democrazia e di fascismo di ritorno). Non ci interessa costruire una sorta di Pantheon comune fra compagne e compagni che hanno vissuto passate divisioni e che invece oggi sono unicamente impegnati ad affrontarne sfide nuove ed inedite; molto più interessante semmai una ricerca in mare aperto su quelle che definiamo “linee di successione” rispetto ai grandi del pensiero e dell’azione politica di sinistra del ‘900.
Ritornare a Gramsci e Matteotti dunque. E non solo in ragione del grande valore morale e politico rappresentato dalla loro comunanza di martirio, ma soprattutto per alcuni tratti comuni della loro analisi. Che ci paiono tanto proficue a tanta distanza di tempo ed entro tutt’altra temperie politica e sociale.
Come preziosa ci appare la coerenza e l’intransigenza, scevra di settarismo, che sempre sottese la loro vita. Sicuramente qualcuno potrà trovare fra i due autori testi o passaggi contradditori tra loro: condanne reciproche, interventi svolti sull’onda del contingente, che in apparenza parrebbero smentire la praticabilità di una ricerca attorno appunto a comuni “linee di successione”, ma si tratterebbe di letture superficiali e strumentali. Non ci si rapporta così ai classici. E Gramsci e Matteotti sono certamente dei classici della nostra modernità politica. Di certo a noi non interessa indulgere in polemiche di corto respiro. Molto più utile fissare alcune “linee” di lavoro:
intanto l’impegno a sviluppare una adeguata “profondità di pensiero politico”. Potrebbe essere utile in questo senso riscoprire la categoria di “pensiero lungo”, a indicare uno sforzo di analisi e proposta che abbia respiro e profondità; premessa indispensabile tanto alla ricerca delle origini classiche di una teoria critica dell’esistente, quanto alla immaginazione e realizzazione di scenari futuri all’insegna della qualità e della civiltà;
recuperare poi la capacità di riflessione e intervento sul presente che fu innanzitutto propria di Gramsci e Matteotti. Se il primo infatti è stato tanto l’organizzatore degli operai di Torino, quanto l’acuto interprete dei termini essenziali della “questione meridionale” (all’epoca coincidente in larga parte con la “questione contadina”), Matteotti è stato il riferimento dei braccianti di una delle zone più povere e d’intenso sfruttamento, quella del Delta del Po, ma anche chi indagò e denunciò le trame spesso oscure che intrecciavano già allora finanza e sfruttamento delle fonti energetiche;
ma decisiva è anche la questione morale. In Gramsci essa costituiva una sorta di stile di pensiero e di vita, strettamente connessa alla fatica del pensiero, al rigore degli studi e delle analisi indispensabili all’azione politica di una classe operaia che doveva essere classe dirigente nazionale. Ebbene era la stessa serietà e intransigenza che animava Matteotti, quella che sempre ne sostenne l’azione politica e parlamentare; si pensi solo alla capacità d’inchiesta, alla fermezza con cui agitò proprio la “questione morale” in faccia al fascismo rampante, quella stessa che costituì la vera ragione della sua condanna a morte; ora fu proprio una radicale e coerente capacità di analisi a consentire sia a Gramsci sia a Matteotti di antivedere le dinamiche sociali e politiche che avrebbero portato al regime fascista. La cosa è tanto più significativa perché le loro intuizioni si sviluppavano in un clima nel quale, anche in ambiente antifascista, inizialmente ci si illuse che il movimento mussoliniano potesse essere solo un fenomeno passeggero, una “parentesi”, magari addirittura utile per riportare all’ordine liberale, dopo i drammi della guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Del resto allora addirittura a sinistra vi fu chi non riuscì a cogliere la pericolosità del fenomeno, considerandolo mero elemento degenerativo del capitalismo, cui ovviare attraverso il mero rilancio della dinamica della lotta di classe.
Ebbene le analisi ben altrimenti approfondite di Gramsci e Matteotti, un certo stile intellettuale e morale, tornarono utili non solo dopo il 1945 per la ricostruzione dei grandi partiti della sinistra dell’Italia repubblicana, ma mantengono un’intatta utilità ancora oggi, in un paese in cui la sinistra è letteralmente scomparsa e ci troviamo di fronte a problemi immani ed inediti di rifondazione e ricostruzione.
Per questo ci sembra indispensabile avviare un processo di “confronto costituente”. Gramsci e Matteotti possono contribuire a trovare la giusta direzione di marcia. Resta per altro per noi chiaro che quella che ci attende non è una operazione di mero valore scientifico, individuare infatti le linee “di frattura” e “di successione” deve servire a meglio preparare il terreno per lo sviluppo del più alto livello possibile di progettualità sistemica.
Se ancora a cavallo tra il XIX il XX secolo definire cosa fosse il socialismo era abbastanza semplice e la divisione era su come raggiungere l’obiettivo di una società senza classi e con i mezzi di produzione in proprietà collettiva, oggi non solo in quel che resta della sinistra ci sono profonde differenze programmatiche, ma proprio il punto del socialismo è tutt’altro che condiviso. Si tratta dell’ennesima riprova della profondità di una crisi che è politica, teorica, morale, di classi dirigenti. Di qui l’esigenza, che avvertiamo impellente, di un ripensamento dei fondamenti di una teoria e pratica politica che possano dirsi di sinistra, socialiste, riformiste, radicali, intransigenti.
Partire da Gramsci e Matteotti dunque come modo migliore per riprendere il cammino. Per dare sostanza ad un progetto politico ambizioso: che mira a ridare a poveri e sfruttati il loro partito e alla democrazia italiana una soggettività politica indispensabile. Necessaria alla sua qualità, alla sua rappresentatività, alla sua stessa sopravvivenza.


SCAMPIA RINASCE CON LA SCRITTURA
Associazione Italiana Scrittori per Ragazzi


Il 29 novembre 2019 si apre a Napoli la sesta edizione di Scampia Storytelling, il progetto di ICWA (Italian Children’s Writer Association) nato nel 2014 e curato da Rosa Tiziana Bruno per raccontare storie, creare festa attorno al mondo dei libri e per dar voce a una delle più famose e problematiche periferie d’Italia: quella di Scampia. Dal novembre 2014 Scampia è diventata infatti un’officina di narrazione. Un posto dove le storie arrivano, da vicino e da lontano, per farsi raccontare. Una maratona di lettura, accompagnata da arti visive, musica e danza che da quest’anno incomincia a viaggiare arrivando anche in una periferia lombarda, a Varese. E per il primo anno l'evento collabora con il CRIF, il centro di ricerca filosofica dell'università di Napoli. L’ospite speciale di Scampia Storytelling 2019 è lo scrittore Guido Sgardoli vincitore del Premio Strega Ragazzi 2019 che incontrerà i ragazzi dell’Istituto Comprensivo “Sandro Pertini” venerdì 29 novembre alle ore 10,30 presso il Teatro di via Arcangelo Ghisleri, 182 a Napoli. Oltre a Guido Sgardoli parteciperanno alla nuova edizione: Cristina Bartoli, Gianluca Caporaso, Patrizia Ceccarelli, Emanuela Da Ros, Viviana Hutter, Claudia Mencaroni, Flavia Moretti, Cristina Nenna. La mattina del 29 novembre ci saranno anche dei laboratori Philosophy for Children a cura del CRIF-Centro di Ricerca sull’indagine Filosofica
In Lombardia l’appuntamento con Scampia Storytelling è previsto in una scuola della periferia di Varese, l’Istituto Comprensivo Varese 1 - Scuola IV Novembre con David Conati, Isabella Salmoirago e Chiara Segré, sempre il 29 novembre. L’impegno dell’associazione è quello di portare avanti un progetto continuativo che stabilisca tra i ragazzi e gli scrittori un contatto diretto e costante nel tempo. Scampia Storytelling è un momento di scambio che da quest’anno inizierà a viaggiare tra le altre periferie d’Italia e farà la sua prima tappa a Varese. Perché il progetto più ampio che sta alla base degli interessi di ICWA che è contenuto e descritto nel libro Noi siamo il futuro (Raffaello Ragazzi, 2019), un’antologia di 17 racconti di altrettanti soci ICWA sui goals dell'Onu per il 2030, è quello di cercare di «dare una risposta alle sfide, alle paure, alle incertezze che ci pone il futuro e desidera, soprattutto, restituire ai ragazzi la consapevolezza che il loro contributo è determinante per l’avvenire del pianeta» come scrive Patrizia Ceccarelli. E l’augurio è che le storie arrivino a migliaia di ragazzi e ragazze, nelle scuole, nelle case per renderli «più consapevoli e cittadini attivi del mondo, motore di quel cambiamento che possa un giorno far trionfare ovunque valori come l’uguaglianza, le pari opportunità, la salvaguardia della natura, la fine di ogni conflitto», lo sostiene Fulvia Degl’Innocenti, Presidente di ICWA.

Contatti
Rosa Tiziana Bruno: rosatiziana@gmail.com 
Direttore artistico Scampia Storytelling
Fulvia Degl’Innocenti: fulvia.deglinnocenti@stpauls.it  
Presidente ICWA
Ufficio stampa ICWA
Comunica
annaardissone1@gmail.com e cell. 3407009695
raffaellasoldani@gmail.com e cell. 3493557400



LA BUONA MUSICA
di Bruna Panella

Un momento del concerto

Domenica 24 novembre alle 16 nella chiesa di San Cristoforo sul Naviglio, si è tenuto il terzo concerto della rassegna di musica antica G.F.Händel: musicista poliedrico. Titolo del concerto “G.F. Händel e J.Milton: musica e poesia”.
Il programma era centrato sulle triosonate per flauto dritto e traverso (Andrea Florit), violino (Francesca Del Grosso), viola da gamba (Issei Watanabe), cembalo (Federico Caldara).
Eseguita anche la Suite I dal II Klavier-Werke per cembalo solo.
Pubblico numeroso, molto attento e interessato. La scrittura di queste triosonate mette in evidenza un dialogo fra gli strumenti estremamente espressivo ed equilibrato che permette all’ascoltatore di seguire il discorso musicale con facilità. I movimenti lenti sono ricchi di pathos nella migliore tradizione haendeliana e i tempi veloci, soprattutto quelli della triosonata in sol minore mettono in luce un basso “concertato” con gli altri strumenti virtuosistico e di grande effetto.

Assieme al quartetto Bruna Panella
alla cui testarda passione si devono questi
meravigliosi concerti (A.G.)

La scelta dei testi poetici di Milton è stata fatta sulla base del carattere dei brani eseguiti, in parte tratti da l’“Allegro, il Penseroso e il Moderato”. Händel ha molto apprezzato questi Sonetti tanto da metterli in musica più di cinquant’anni dopo la loro pubblicazione.  
Il pensiero di J.Milton nei riguardi della musica è ben espresso da questa sua frase “ C’è una tale, dolce costrizione, nella musica “. È stata letta come introduzione a un Largo dall’atmosfera sospesa con il canto del flauto sopra le doppie note espressive del violino e il pizzicato della viola da gambe e del cembalo. Atmosfera davvero magica.
Bravissimi gli esecutori tutti, molto applaudito anche il cembalista Federico Caldara che si è immerso nello stile improvvisativo del Preludio iniziale della Suite I sapendo cogliere la sonorità calda e avvolgente del magnifico cembalo J. Dowd. Complice naturalmente anche l’ottima acustica molto indicata per la musica antica e per le raffinate sonorità degli strumenti utilizzati, copie di strumenti d’epoca.
Sabato 30 novembre, sempre alle 16, ultimo concerto dal titolo “Esplorando Händel tra forme e sonorità” con Daniela Fontana al cembalo, Andrea Florit e Chiara Busi flauti e Giovanna Scarlato viola da gamba.


PIAZZA FONTANA
Alla Baia Del Re di Milano
Via Palmieri n. 8  ore 21

Con Claudia e Silvia Pinelli e Franco Schirone

La locandina dell'incontro





CASA CRESCENZAGO ANPI
Interventi di:
Giuseppe Natale, Marco De Poli, Cesare Moreschi

La locandina dell'incontro


MILANO. I DISTURBATTORI PER DORA MAAR
All'Auditorium Stefano Cerri
Via Valvassori Peroni 56
Venerdì 29 novembre ore 21

Ingresso libero

Cliccare sulla locandina per ingrandire