Pagine

martedì 3 dicembre 2019

IL POPULISMO BUONISTA  
di Franco Astengo


Per un lungo periodo, nella fase di ricostruzione dalla guerra e di scoperta del boom economico con relativa trasformazione in senso consumistico dell’identità sociale, il sistema politico italiano è rimasto incentrato sui grandi partiti di massa sfuggendo (prima di tutto per ragioni di carattere internazionale) alla logica “occidentale” dell’alternanza ed evidenziando una ridottissima volatilità elettorale.
A cavallo del nuovo secolo diversi fattori hanno contribuito a un cambiamento di scenario: nel vuoto lasciato dai grandi partiti di massa si sono infilate forme politiche già orientate verso una destra personalistica e populista costringendo il centrosinistra a muoversi in un senso di sostanziale omologazione. Nei tempi successivi sono emersi movimenti derivanti dalla cosiddetta “anti politica” capaci di raccogliere rapidamente consensi poi lasciati altrettanto repentinamente per strada nel momento in cui dalle parole si sarebbe dovuto passare ai fatti.
L’eredità dei populisti-anti politica è stata così provvisoriamente raccolta da movimenti capaci di mostrare una versione semplificata dell’agire politico in modo da corrispondere alla radicalità negativa reclamata da folle formate da individualisti immersi nel reclamare il “particulare”.
Oggi, nuovamente alla velocità della luce, verifichiamo l’evidenziarsi di un movimento in apparenza totalmente alternativo a quello – in apparenza ancora maggioritario- fondato sull’individualismo competitivo con relative pulsioni corporative ed escludenti.
La nuova contraddizione insomma, dopo destra /sinistra e nuovo /vecchio sarebbe quella odiatori /buonisti, a piazze e tastiere contrapposte.
Il movimento delle cosiddette “sardine”, del quale restano ignote scaturigini, forme di azione politica soprattutto al livello della catena di comando, fonti di finanziamento, progettualità complessiva rappresenta un ulteriore punto di escalation rispetto all’itinerario fin qui schematicamente descritto: esprimono, infatti, un’inedita forma di populismo “buonista” che punta a colmare il vuoto di rappresentanza politica lasciato dalla formazione del governo PD-M5S.
Un fenomeno completamente italiano diverso dalle altre insorgenze sociali in corso nel mondo: da Hong Kong a Parigi, da Malta a Barcellona. Tutte piazze che agiscono ciascheduna per finalità immediate e contingenti.
Un tentativo di colmatura di vuoto, quello dei movimenti di modo nell’attimo, di cui seguiremo gli sviluppi e gli indirizzi facendo notare che, salvo l’espressione di esigenzialismi esclusivamente sovrastrutturali il movimento delle cosiddette “sardine” si limita a puntare a un’ulteriore sovrapposizione di ceto dirigente: quella sovrapposizione non riuscita a suo tempo ai radicali, poi al “popolo viola” e ai girotondi; mentre l’operazione era momentaneamente andata in porto ai “vaffa” di origine grillina (resistibile ascesa avvenuta nella sottovalutazione del peso delle contraddizioni in una logica di governo) e poi all’egoismo isolazionista di stampo leghista.
In realtà ci si trova di fronte ad un’evoluzione del sistema politico efficacemente riassunto con questa frase;
“La democrazia post moderna è divenuta un’inquietante apologia del facile, essa è in sé stessa l’invito per esercitare il salto della mediazione”:
Non ci si fida più di nessuna autorità tradizionale (politica, culturale, scientifica, giornalistica) perché la pratica e la mitologia del web fanno sentire ognuno nella condizione di “fare da solo”, scavalcando ciò che, a ragione o a torto, è considerato “casta”, “privilegio”, “imbroglio”.
Soggettivismo incondizionato, esaltazione acritica della prima persona e sua conseguente svalutazione, relativismo, nichilismo inteso in senso ampio: così la democrazia post-moderna è diventata - appunto - un’apologia del facile.
In Italia, in maggior misura che non altrove, la difficoltà del sistema politico nel senso fin qui indicato ha assunto i tratti di un vero e proprio crollo.
Verificheremo quanto questi movimenti apparentemente di nuovo conio potranno mettersi di traverso a questo meccanismo di apparentemente inarrestabile declino.
Per intanto, almeno dal punto di vista di alcuni soggetti sicuramente limitati sul piano del rapporto di massa, sarà bene continuare a lavorare su di un piano di ricostruzione muovendoci ancora nel filone di riferimento del patrimonio storico tramandato dalle grandi organizzazioni della sinistra cercando di innovare senza smarrire però la capacità di lettura del fondamento delle contraddizioni che tra ’900 e 2000 continuano comunque a sviluppare un’incidenza di fondo sulle condizioni materiali di vita del popolo perpetuando l’esistenza delle classi sfruttate e subalterne.