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domenica 22 dicembre 2019

MARTINSICURO E LE MIE CITTÀ
di Valeria Di Felice

Valeria Di felice
(foto di Paolo Soriani)

Ci sono due tipologie di città nell’immaginario di ognuno. Le prime sono quelle che vivi quotidianamente, che entrano in contatto con il tuo respiro biologico, necessario, fisico; sono quelle in cui ti muovi, agisci, sperimenti un tempo paziente e ordinario sopravvivendo alla costante immersione nel frastuono della vita di tutti i giorni. Poi ci sono le città che alimentano la tua casa interiore, che nutrono ideali, sogni, desideri, in cui vieni in contatto con te stesso, scopri la tua identità, ti accorgi di esistere con la promessa di imparare a vivere (se mai si possa imparare a vivere!). 
Ad un certo punto accade che inizi a interagire con lo spazio intorno a te, non ti limiti ad attraversarlo ma lo trasformi da terra a mondo: associ un ricordo a una panchina, dai un nome a un albero, rievochi il profumo di una strada. Insomma, cerchi nel luogo qualcosa che possa rappresentare una parte di te per vederla meglio! Ed ecco che le cose iniziano ad avere un nome, ma non quello denotativo, comune a tutti. Un nome che sia il riflesso del tuo linguaggio intimo. Questi nomi iniziano a suggerirti parole nuove, magari parole che conoscevi ma che avevi dimenticato o che ritenevi poco importanti per la tua geografia interiore. E poi accade che inizi a dialogare con questi luoghi che tu stesso hai scelto e hai reso parlanti, inizi a interrogarli, ad amarli, a detestarli, a ribellarti contro di loro, a difenderli. In poche parole, inizi a viverli perché è lì che tu senti la vita.

Torre Carlo V
(foto di Pasquale Tucci)

A volte queste città-luoghi (le prime e le seconde) coincidono, altre volte no.
Partiamo dal luogo delle origini, in cui sono cresciuta fino a diciannove anni: Martinsicuro. Con i suoi 16.000 abitanti, si affaccia sul mare Adriatico e sulla foce del fiume Tronto, che fino a circa un secolo e mezzo fa divideva il regno borbonico dallo Stato del Papa. Terra di confine tra Marche e Abruzzo,  è sempre stata nel mio immaginario di giovane e adolescente una parentesi selvaggia nel cordone ininterrotto delle città della riviera adriatica; selvaggia nello sviluppo disordinato e nella poca lungimiranza politico-sociale accumulata negli anni ma anche nella segretezza (inconsapevole) di una bellezza custodita involontariamente nel tempo: della spiaggia quasi intonsa, della campagna dentro la città, della collina vista mare (o meglio del mare vista collina), del contatto quotidiano di un tessuto sociale e culturale complesso perché diverso.

Una veduta marina

A Martinsicuro ho frequentato la scuola materna, primaria, secondaria di primo grado (per poi andare al liceo classico fuori porta, a San Benedetto del Tronto), mi sono allenata per quindici anni in una società di pattinaggio artistico, ho sperimentato l’incomprensione, la rabbia, la delusione, ma anche il coraggio e la forza di credere ai propri sogni. E nelle tante difficoltà che accompagnano qualsiasi crescita, ho incontrato la poesia, la mia preghiera laica. A diciannove anni mi sono trasferita a Bologna per studiare antropologia all’università e a Martinsicuro sono tornata a ventisei anni per “fondare” una casa editrice dedita alla poesia, sarà stato un caso?
Dopo la laurea avrei preferito rimanere a Bologna. L’idea di tornare in una periferia culturale come Martinsicuro non mi entusiasmava, temevo che il mio sogno si sarebbe arenato. Ma è il caso di dire che l’amore ha prevalso sulla paura e con un pizzico di sana incoscienza ho aperto ex novo la Di Felice Edizioni e ho proposto al Comune di Martinsicuro due iniziative culturali: il Martinbook festival (di cui ho curato le prime quattro edizioni) e il Premio letterario Città di Martinsicuro. Una impresa culturale - quella nella mia città - che in quasi dieci anni ha man mano cambiato la mia percezione del territorio, facendomi scoprire e apprezzare angoli di città prima ignorati. È il caso della Torre Carlo V con l’adiacente casa doganale, baluardo del XVI secolo, oggi museo archeologico. Ma anche le barbute dune del biotopo costiero, che aprono uno scenario veramente insolito e magico a chi è alla ricerca di bellezza e di silenzio.   
Martinsicuro. L'ex fornace Franchi
  
Quello con la mia città non è stato un rapporto sempre facile, ma sicuramente fecondo, una palestra che attraverso tanti sforzi ti forgia, ti aiuta a comprendere i tuoi punti deboli e le tue risorse. La poesia va di moda oggi (nella forma non nella sostanza), ci sono tante persone che grazie alla facilità con cui si pubblica si sentono legittimate ad autoproclamarsi poeti. Fortunatamente ho avuto la possibilità di conoscere presto poeti e persone di grande esperienza culturale che mi hanno aiutata a “riconoscere”, a “distinguere”, a non diffondere l’omologazione in un’attività editoriale che dovrebbe essere (come qualsiasi lavoro) responsabile, basata sulla scelta e non solo sui moltiplicatori commerciali. Proprio a Martinsicuro ho un debito morale con Antonio Camaioni, poeta schivo e solitario, il quale è diventato una sorta di mentore regalandomi la possibilità di pubblicare due suoi libri e ancor di più regalandomi la fiducia nella poesia, in quella poesia che ha la forza di costruire la realtà.

Veduta di Casablanca

Se Martinsicuro è stata ed è la città che accompagna il mio respiro quotidiano, ce ne sono altre - inattese - che hanno nutrito la mia casa interiore: Reggio Calabria, Casablanca, Teramo.  
Reggio Calabria, una città con una vista mozzafiato sullo stretto di Messina e sull’Etna con i suoi sbuffi stagliati nel cielo. Una città dove sono scesa una ventina di volte dai ventitré ai ventisei anni (mentre studiavo ancora a Bologna) perché collaboravo con una casa editrice reggina. Tre anni in cui ho iniziato a maturare la volontà di aprire una casa editrice tutta mia e soprattutto si è fatta strada dentro di me la necessità di farlo senza tradire il senso di responsabilità. Iniziavo a capire i meccanismi dell’editoria facendo tesoro dell’esperienza di numerosi editori, iniziavo a conoscere la marea sterminata di persone che si avvicinavano alla poesia (senza amarla né conoscerla, solo come forma terapeutica o di “legittimazione sociale”), a sentire il bisogno di fondare un “luogo” protetto, nel quale scegliere la qualità.

Veduta notturna di Reggio Calabria

Poi è arrivata Casablanca, città dove convivono modernità e arcaicità: essa è entrata nella mia vita a ventisei anni, due mesi prima che aprissi la casa editrice. Un viaggio al SIEL, la fiera internazionale del libro, che mi ha fatto incontrare per la prima volta la poesia araba. Amore a prima vista, la musica della poesia araba ha dilatato il mio orizzonte, ha stimolato la curiosità di conoscere la poesia straniera, soprattutto di lingua araba, un mondo vicino al nostro ma che percepiamo molto distante e soprattutto come un blocco monolitico. E così sono tornata più volte a Casablanca, il luogo che rinnova l’avventura, il fascino del diverso, la magia della poesia; mi ha aperto le porte del Marocco ma anche della Siria, della Palestina, dell’Egitto portandomi a pubblicare scrittori e poeti come Rita El Khayat, Hassan Najmi, Nazìh Abu 'Afash, Fatiha Morchid, Murad Sudani, Yousef al Mahmoud, Emad El Mohsen, Asrhaf Fayadh e molti altri. 
    
Teramo vista dall'alto

Con l’apertura della casa editrice nel 2010, i viaggi si sono moltiplicati, le città anche, ma ce n’è una che si sta facendo strada nella mia geografia emotiva: Teramo. Capoluogo di provincia abbracciato dalle mani perlate del Gigante Buono (Il Gran Sasso) e coccolato da tramonti di lungo raggio, a mezz’ora di distanza da Martinsicuro, Teramo è la città dove vivo insieme a mio marito Dino. Da sempre plumbeo e chiuso nel mio immaginario per qualche ragione irrazionale (che lo sguardo tra i cittadini di mare e quelli di montagna sia per natura diffidente?), è un luogo che - per molte frequentazioni lavorative e quindi per la mia esperienza soggettiva - finora è stato un esempio di provincialismo e di un atteggiamento che sostiene più l’erba infestante che la pianta nutriente per quei valori su cui dovrebbe fondarsi una società “sana”. Tuttavia, a Teramo sono immensamente grata per avermi ricompensata con dei doni inaspettati come la conoscenza di alcune persone straordinarie, come il romanziere e traduttore Roberto Michilli e il poeta Leandro Di Donato: stra-ordinarie proprio perché continuare a rispondere al qualunquismo di molti ambienti cosiddetti “culturali” con onestà intellettuale e rispetto per il prossimo, mi sembra il solo atto rivoluzionario capace di praticare una reale resistenza.