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venerdì 17 gennaio 2020

LEGGE ELETTORALE
di Franco Astengo


“Arriva il Germanicum, la proposta di legge elettorale su cui lavorerà la commissione affari costituzionali della Camera. Prevede 391 seggi assegnati con metodo proporzionale, una soglia di sbarramento del 5 per cento, con un meccanismo che permette il diritto di tribuna. La proposta cancella i collegi uninominali del Rosatellum e di quella legge utilizza i 63 collegi proporzionali e le 28 circoscrizioni. La proposta è stata depositata dal presidente della Commissione affari costituzionali, Giuseppe Brescia, dei 5Stelle. In base a questo testo, il partito che non supera il 5% nazionale, ma ottiene il quoziente in 3 circoscrizioni in 2 Regioni, ottiene seggi (il cosiddetto diritto di tribuna). Il tutto in 3 articoli per 10 pagine.”
Dei 400 seggi della futura Camera, 8 spetteranno ai deputati eletti all’Estero (nelle circoscrizioni Estere con metodo proporzionale), un seggio va all’eletto in Valle d’Aosta in un collegio uninominale.
I 63 collegi plurinominali del Rosatellum servivano per eleggere 386 deputati, quindi funzionano anche per la nuova Camera formato “mignon”.
Stesso metodo per assegnare i 200 seggi del nuovo Senato: quattro vanno ai senatori eletti all’estero, uno alla Val d’Aosta e i restanti 195 sono distribuiti ai partiti che nel resto d’Italia superano il 5%.
Ancora da decidere se l’elezione avverrà su liste bloccate oppure se ci sarà il ripristino del voto di preferenza.
Un “Germanicum” adattato soprattutto dal punto di vista dell’assegnazione di un diritto di tribuna (in Germania c’è il doppio voto proporzionale, maggioritario e il diritto di tribuna vale per chi conquista almeno 3 collegi) e al quale non corrisponde comunque un Senato delle Regioni e il meccanismo della “sfiducia costruttiva” come nel modello tedesco.
Alcuni dati per poter meglio valutare la scelta di questo tipo di proporzionale con sbarramento. Prima di tutto deve essere ricordato come il sistema parlamentare sia stato articolato, al tempo dei partiti strutturati, su 8 formazioni politiche poi salite di numero quando sono entrate in scena le contraddizioni post-materialiste con conseguente esigenza di nuovi livelli di rappresentanza come nel caso del ritorno al cleavage “centro-periferia” interpretato a suo tempo dalla Lega Lombarda e della frattura ambientalista (con la formazione delle Liste Verdi: elezioni 1987; i federalisti, salvo le presenze dell’SVP e - saltuariamente - del PSd’Az trovarono già presenza istituzionale nel 1983 con la Liga Veneta di Tramarin).
Il numero delle forze in parlamento è poi lievitato con il “Mattarellum” per via delle ragioni di necessità di estensione delle coalizioni, le liste civetta, lo scorporo e quant’altro per poi tornare più o meno al numero consueto anche se in presenza di molti sottogruppi nel “misto”.
Deve essere ricordato come la possibilità di formare gruppo alla Camera al di sotto della soglia prevista dei 10 parlamentari fu consentita per la prima volta dalla Presidenza Ingrao nel corso della VII legislatura in favore dei radicali (4 deputati) e del gruppo DP-PdUP (6 deputati).
All’esito delle elezioni del 2018 si ebbero 32.841.705 voti validi, il quorum al 5% si sarebbe collocato alla cifra di 1.642.085 voti: soglia superata dalla Lega, Forza Italia, Movimento 5 stelle, PD con un complesso di 27.189.605 voti utili a eleggere rappresentanza.
Sarebbero rimasti esclusi 5.652.100 voti validi resi inutili per l’assegnazione di seggi: il 17,21% sul totale.
Per quel che riguarda il diritto di tribuna a esso avrebbe avuto accesso soltanto Fratelli d’Italia (del resto non lontano dalla soglia con1.429.550 suffragi) superando il 5% in tre circoscrizioni (Friuli 5,31%, Lazio 8,90%, Lazio 2 6,63%) mentre LeU ha superato il 5% soltanto in Basilicata con il 6,44%.
Per tentare un paragone con il passato confrontiamoci allora con i risultati del 1976 (sempre riferiti alla Camera dei Deputati): ci trovavamo allora al massimo della forza del sistema dei partiti e in particolare dei 2 grandi partiti di massa divisi dalla “conventio ad excludendum” (il “Bipartitismo imperfetto” di Giorgio Galli) e della “prima volta” al voto per le elezioni politiche dei diciottenni (che avevano già votato alle elezioni amministrative del 15 giugno 1975).
Il 20 giugno 1976 si ebbero 36.705.878 voti validi su 40.426.658 di iscritte e iscritti nelle liste (90,79%).
Il quorum al 5% si sarebbe quindi collocato a 1.835.293 (circa 200.000 voti in più rispetto al 2018.)
Adottando lo sbarramento al 5% sarebbero entrati alla Camera soltanto 4 partiti, esattamente come sarebbe avvenuto nel 2018 a conferma di una certa continuità nelle dinamiche del sistema politico: DC 14.209.519; PCI 12.614.550; PSI 3.540.309 e MSI 2.238. 339 per un totale di 32.602.717 (5 milioni di voti in più rispetto al 2018, a dimostrazione di un secco calo nella partecipazione intervenuto gradualmente nel frattempo): esclusi quindi 4.103.161 suffragi, circa 1.500.000 suffragi in meno rispetto al 2018.
In quel ormai lontano 1976 nessuna formazione al di sotto del 5% avrebbe ottenuto il diritto di tribuna: il PSDI, infatti, aveva superato la soglia del 5% soltanto in due circoscrizioni (Cuneo - Alessandria - Asti e Udine - Gorizia - Belluno) e il PRI in una soltanto (Bologna - Ferrara - Ravenna - Forlì).
Insomma lo sbarramento al 5% tende a dimezzare la rappresentanza parlamentare tradizionalmente presente in Italia in corrispondenza delle principali sensibilità politico-culturali presenti nel Paese (la presenza istituzionale delle più importanti sensibilità politico-culturali aveva ispirato la scelta del proporzionale adottata dall’Assemblea Costituente e stesso criterio era stato seguito nel ripristinare quella formula dopo il fallimento della legge con premio di maggioranza nelle elezioni del 7 giugno 1953).
Da ricordare ancora che la formula oggi in discussione si applicherebbe in vigenza della riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori.
Il tutto salterebbe naturalmente in presenza di scioglimento delle Camere e di indizione dei comizi. Si può affermare che lo sbarramento al 5% produrrebbe una secca riduzione dei margini di presenza democratica senza peraltro garantire la governabilità: del resto non è neppure certa la semplificazione dell’aula, si assisterà probabilmente al fenomeno di alleanze interne alle liste più grandi per poi assistere al determinarsi di mini-scissioni all’inizio o nel corso della legislatura con la ripresa di autonomia dei soggetti confluiti per forza maggiore. Tutto ciò avviene in un momento di grande fibrillazione dal punto di vista del quadro istituzionale: modifica della formula elettorale, incertezza sulla possibilità di svolgimento del referendum confermativo proprio attorno alla legge costituzionale che fissa il numero dei parlamentari (pare ci siano defezioni nei firmatari) e attesa per la pronuncia della Cassazione sull’ammissibilità del referendum presentato dalla Lega per introdurre surrettiziamente il maggioritario secco.
Ci sarà da stare attenti e da mobilitarsi ancora una volta per la riaffermazione dell’impianto di democrazia repubblicana previsto dalla Costituzione.