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giovedì 6 febbraio 2020

IN MEMORIA DI TUROLDO
di Gilberto Isella
David Maria Turoldo

Ho conosciuto Padre David, agli albori degli anni Novanta, già segnato inesorabilmente da quel male che, nel 92, l’avrebbe sottratto al nostro affetto. L’ho conosciuto nel Canton Ticino, dove l’associazione culturale Alice ed io l’avevamo invitato per un convegno dedicato al dolore. Il dolore, ossia il tema più caro a lui, una ‘bruciante metafisica’ tutta sua. La sofferenza come attesa convulsa della Grazia, un delirio sospeso sopra il vortice. Le sue parole verticali e intransigenti ci raggiungevano come colpi di spada. Ma erano colpi segnati anche da tenerezza, che assorbivamo estasiati. Turoldo sapeva coniugare alla perfezione, senza cedimenti e compromessi etici, tensione mistica, amore e preoccupazione per la sorte dell’uomo. Voglio dapprima leggere un suo breve testo. È un’immaginaria lapide poetica che aveva dedicato a se stesso, dove si esprime il suo pensiero più radicale e intransigente:

Sempre sul ciglio dei due abissi
tu devi camminare e non sapere
 quale seduzione,
 se del Nulla o del Tutto,
 ti abbatterà…

 E voglio ricordare un altro frammento poetico della sua teologia dilacerata. Brevi parole su cui ho imperniato la poesia che ho scritto per questa occasione:

Tu non puoi non essere
 Tu devi essere

pure se il Nulla
è il tuo oceano.
  
Ed ecco il mio omaggio in versi:

Offertorio per Padre David

Nel fuoco abissale della mistica tua
ogni corpo caduto è fiamma che implora,
ogni sguardo a rovescio a te sfuggito  
una serpe d’amore che si snoda
sull’Essere e sul Nulla
innalzandosi tra pieghe di sgomento
verso un cielo a noi celato

Cosmologia tascabile
d’immensa trafittura

Nel solco abissale dell’orazione tua
la falce onnipotente della luce
si scinde in lama bianca e lama nera
inesorabilmente,
entrambe ci consegnano la piaga
che tu sognavi impressa sui due lati
dell’arduo Volto senza misura
avvolto in un Tutto
che nel Niente si dispera

Reliquia senza tempo
di parola pura
                      
Nel suono abissale del calice tuo
si scontrano gli echi della contraddizione
dove passa il limo informe e la cascata
il pesce argenteo e la sulfurea lenza
il piede senza il bacio che lo bagna
la bilancia che l’ago rifiuta

Schiodare Lui dal legno
esige fede imperitura

Rinasce la scintilla tua smarrita
in quel brandello di parola umana
che l’eco mai spenta trattiene 
del cristallo assoluto che si spezza –
Crocefisso di sole aeree vene –
tesoro azzurro in cielo dilaniato
o come dici in solitaria nota:
“Appena il sussurro
del rabbrividente silenzio,
il vento leggero
sopra le messi all’alba”

Gaudiosa sincope incombe
sul mistero che perdura.