di Gilberto Isella
David Maria Turoldo |
Ho conosciuto Padre David, agli albori degli anni
Novanta, già segnato inesorabilmente da quel male che, nel 92, l’avrebbe
sottratto al nostro affetto. L’ho conosciuto nel Canton Ticino, dove
l’associazione culturale Alice ed io l’avevamo invitato per un convegno
dedicato al dolore. Il dolore, ossia il tema più caro a lui, una ‘bruciante
metafisica’ tutta sua. La sofferenza come attesa convulsa della Grazia, un delirio
sospeso sopra il vortice. Le sue parole verticali e intransigenti ci
raggiungevano come colpi di spada. Ma erano colpi segnati anche da tenerezza,
che assorbivamo estasiati. Turoldo sapeva coniugare alla perfezione, senza
cedimenti e compromessi etici, tensione mistica, amore e preoccupazione per la
sorte dell’uomo. Voglio dapprima leggere un suo breve testo. È un’immaginaria
lapide poetica che aveva dedicato a se stesso, dove si esprime il suo pensiero
più radicale e intransigente:
Sempre sul ciglio dei due abissi
tu devi camminare e non sapere
quale seduzione,
se del Nulla o del
Tutto,
ti abbatterà…
E voglio ricordare un altro frammento poetico
della sua teologia dilacerata. Brevi parole su cui ho imperniato la poesia che ho
scritto per questa occasione:
Tu non puoi non essere
Tu devi essere
pure se il Nulla
è il tuo oceano.
Ed
ecco il mio omaggio in versi:
Offertorio per Padre David
Nel fuoco abissale della mistica tua
ogni corpo caduto è fiamma che implora,
ogni sguardo a rovescio a te sfuggito
una serpe d’amore che si snoda
sull’Essere e sul Nulla
innalzandosi tra pieghe di sgomento
verso un cielo a noi celato
Cosmologia tascabile
d’immensa trafittura
Nel solco abissale dell’orazione tua
la falce onnipotente della luce
si scinde in lama bianca e lama nera
inesorabilmente,
entrambe ci consegnano la piaga
che tu sognavi impressa sui due lati
dell’arduo Volto senza misura
avvolto in un Tutto
che nel Niente si dispera
Reliquia senza tempo
di parola pura
Nel suono abissale del calice tuo
si scontrano gli echi della contraddizione
dove passa il limo informe e la cascata
il pesce argenteo e la sulfurea lenza
il piede senza il bacio che lo bagna
la bilancia che l’ago rifiuta
Schiodare Lui dal legno
esige fede imperitura
Rinasce la scintilla tua smarrita
in quel brandello di parola umana
che l’eco mai spenta trattiene
del cristallo assoluto che si spezza –
Crocefisso di sole aeree vene –
tesoro azzurro in cielo dilaniato
o come dici in solitaria nota:
“Appena
il sussurro
del
rabbrividente silenzio,
il
vento leggero
sopra
le messi all’alba”
Gaudiosa sincope incombe
sul mistero che perdura.