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martedì 31 marzo 2020

A PIÙ VOCI
Tra memoria e speranza
di Emilio Molinari

Emilio Molinari

Una analisi impietosa sulle contraddizioni che oppongono mondo del lavoro e destino comune. Ora è tempo di riprendere il discorso. Non possiamo più tollerare fabbriche di morte e armi militari di sterminio. Il coronavirus è un monito per tutti. [A.G.]

Uno spunto per ragionare su di un avvenimento senza precedenti e i segnali che vi si possono leggere nei comportamenti della gente. Ecco, qui vorrei parlare di una classe sociale che si è evaporata e di alcuni suoi comportamenti poco osservati: i lavoratori hanno scioperato autonomamente per la salute di tutti. I sindacati hanno minacciato lo sciopero generale. Il governo sotto pressione chiude le fabbriche. Per la prima volta, a memoria di un ottantenne come me, alla minaccia del collasso economico e dei posti di lavoro, la gente dice: prima la salute.

Prima la vita?
Sono solo comportamenti e solo di alcuni lavoratori che si sommano all'altruismo straordinario di chi lavora per garantirci servizi essenziali.
Uno sguardo verso gli altri? Voglio sperarlo e forse lo enfatizzo, ma è da non dimenticare nei ragionamenti che si faranno dopo, su questi giorni.
Conserviamone memoria per il dopo virus, quando i problemi che abbiamo ignorato o accantonato ce li troveremo ancora tutti, drammatici come pandemie: clima, acqua e aria inquinate, profughi, emigrazioni ambientali e guerre, consumismo e collasso produttivo globale. Che si potranno affrontare solo con profonde trasformazioni. Ora voglio solo soffermarmi su questo spiraglio degli scioperi.
A memoria di un ottantenne i lavoratori hanno sempre ignorato i disastri prodotti dalle loro fabbriche inquinanti, dalle loro miniere, dalle loro estrazioni di petrolio, dai loro rifiuti tossici, dalla loro plastica, dalle loro armi... in una parola, indifferenti da ciò che genera il loro lavoro.
Giustificabile, quando non c'era conoscenza dei pericoli della Casa Comune... e quando l'alternativa era la fame e non l'ultima generazione di cellulari.
A mia memoria, i lavoratori hanno sempre contrastato e talvolta minacciato chi chiedeva di modificare o convertire le produzioni pericolose per l'umanità.
In una parola, sono stati e sono il più forte ostacolo di massa al cambiamento del modello produttivo che ci sta portando al disastro planetario.
Solo pochi mesi orsono, lavoratori, sindacati e istituzioni locali, sono insorti per una piccola tassa sulla plastica.
La memoria mi rimanda a scontri con i lavoratori davanti ai cancelli delle fabbriche dell'Acna di Cengio e di Paderno, della raffineria Rondinella di Pero, della centrale nucleare di Caorso, della Caffaro di Brescia... Mi rimanda alle mie denunce, inascoltate dai lavoratori, nei primi anni '90 per le tonnellate di rottami radioattivi che arrivavano nelle acciaierie bresciane e diventavano tondini, pentole e una discarica radioattiva di Capriano del Colle (Bs). Chiusura, incomprensione, sguardo che non esce da confini vicini, che non vede mai l'umanità e la natura, ma posto di lavoro da difendere passando sopra ogni valore, stretti, assieme al destino del proprio padrone, contro i cittadini, contro gli ambientalisti.
Questi scioperi, queste priorità date alla vita e al bene pubblico, restituiscono umanità ad una classe, che l'ha persa grazie alla suicida debacle dei grandi partiti di riferimento.
I lavoratori sono usciti per questo dalla storia e se perdono l'occasione di questa drammatica situazione, la loro uscita sarà per sempre. Diventando ancora più strumenti per nazionalismi impazziti e crudeli.
Si è fermato il Mondo! È successo qualcosa di incredibile, che solo la fantascienza ha delineato. Ed è una occasione, non posso che sperarlo, quella della classe lavoratrice che può tentare di riprendersi un ruolo.
Una occasione che chiede leader sindacali e politici all'altezza... che per il momento non ci sono.
Ma ci rendiamo conto che il Mondo ha solo due leader? Un vecchio Papa e una ragazzina come Greta Thumberg.
Gli scioperi, l'altruismo, i mille esempi di solidarietà, possono diventare segnali di disponibilità ad affrontare le emergenze poste dal Pianeta che ci respinge. Le fabbriche e le produzioni, lo vediamo, si possono fermare e si possono convertire. Si possono abbandonare le produzioni che generano disastri, come le armi, l'energia da combustibili fossili. Si possono rallentare i consumi inutili ed effimeri. Si può produrre per il recupero ambientale e per i diritti fondamentali come la salute. Sintetizzerei così un nuovo ruolo per i lavoratori: Riconversione ecologica, priorità a lavori che garantiscono i diritti alla vita, universalità, gestione partecipata (cogestione) delle aziende strategiche e dei servizi essenziali, finalizzata alla conversione.


Un idealistico sogno da quarantena?
Ho lavorato in fabbrica 25 anni. I lavoratori del mio tempo non avevano coscienza dei problemi ambientali. Per un attimo negli anni ’70 con Medicina Democratica fummo protagonisti di una grande stagione, quella della “Salute in fabbrica”; ma non riuscimmo a guardare oltre i muri aziendali. E sempre per un attimo, negli anni '80 alcuni compagni operai di Democrazia Proletaria furono protagonisti di esperienze straordinarie, alla centrale di Caorso nella denuncia puntuale degli incidenti e alla Breda di Milano nell'impedire l'uscita di componenti bellici durante la guerra Iran-Iraq. Democrazia Proletaria costruì persino un muro di mattoni davanti ai cancelli.
Episodi isolati dagli stessi compagni di lavoro, condannati dai partiti, gli ultimi fuochi del '69. I lavoratori del mio tempo però avevano coscienza dello stato sociale e di essere i pilastri della democrazia. Lo vedemmo in piazza Duomo nel 1969 dopo la bomba di Piazza Fontana. E avevano coraggio i lavoratori. Il coraggio che gli veniva da una appartenenza e da un ideale.
Generazioni che hanno rischiato il posto di lavoro, le cariche di polizia e gli arresti per questo ideale, sfidavano i capi e i padroni per questo. Negli anni '50 entravano in fabbrica mostrando l'Unità, il giornale proibito e nell'autunno caldo distribuivano i volantini dei CUB, altrettanto proibiti.
Memoria di un ottantenne soggetto a rischio? Nostalgia, stupido idealismo?
La nuova organizzazione del lavoro ha annullato i lavoratori? Forse.
Ma forse è solo il consumismo che è passato come un rullo compressore su tutte le coscienze, su tutte le classi, su tutti i generi, e noi non abbiamo riletto sufficientemente Pier Paolo Pasolini che definì il consumismo la forma più totalitaria del fascismo.
In questi giorni confesso che ne ho piene le scatole di bandiere tricolore e inni di Mameli, di martellanti richiami al “ce la faremo perché siamo un grande paese”.
Il tempo del coronavirus è diventato uno show globale. Io non riscopro il '900, ma dalla mia ringhiera ho cantato l'Internazionale. E ho scoperto quanto siano belle le sue parole. Quanto siano lontane dal mito del lavoro, dalla retorica ideologica. Quanto siano prive d'ogni chiusura settaria, comunista o anarco/antagonista, quanto sia grande universale lo sguardo che abbracciano.
“(...) Noi non siam più nelle officine, sotto terra, nei campi, al mar. La plebe sempre all'opra china senza ideale in cui sperar... Su lottiamo l'ideale nostro alfine sarà l'Internazionale futura umanità...
Bello eh? Non siam più... un invito ai lavoratori a non stare più chiusi con cuore e cervello nello stretto orizzonte del proprio lavoro, del proprio paese... Di non essere più plebe china, di alzare lo sguardo all'Umanità... all'umanità capite? termine a cui nessuna politica odierna pensa più.
[Milano, 26 marzo 2020]