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martedì 17 marzo 2020

AMMAESTRAMENTI
di Marco Vitale
 
Marco Vitale

Il coronavirus e la sanità

Negli Ammaestramenti numero 1 affermavo che: “il sistema sanitario italiano ha bisogno di una profonda revisione”. E che il “sistema italiano delle autonomie locali è da riformare alla radice”. Il riferimento era soprattutto alle regioni. Molti da tempo lo sapevano. Pochi lo dicevano. Quei pochi non trovavano ascolto. Oggi il Coronavirus ha fatto pulizie di tante bugie sotto un duplice profilo. In primo luogo ci ha fatto capire che la professionalità e la dedizione di gran parte di questo sistema era superiore alle attese dei più, come anche di chi scrive. Questa è una presa di coscienza di straordinario valore civile e comunitario se sapremo farne tesoro. In secondo luogo ha fatto emergere, come al di là delle eccellenze, il nostro sistema sanitario nazionale sia diventato straordinariamente fragile. Se è vero che non si può pensare che un sistema sanitario debba avere un numero di posti di terapia intensiva commisurato alle esigenze straordinarie di una pandemia, resta il fatto che il sistema “normale” della Germania ha 28.000 posti di terapia intensiva mentre noi ne abbiamo solo 5.000. E non è un caso che uno dei maggiori specialisti italiani di fama internazionale di terapia intensiva, malamente pensionato dal nostro sistema al compimento del 70 anno, sia subito stato ingaggiato sia come docente che come operatore dal sistema tedesco e viva e operi da qualche anno felicemente in Germania. 
Pian piano questa verità incomincia a farsi strada e dobbiamo essere grati al Coronavirus che ha squarciato tante falsità, se è vero che uno dei migliori studiosi e operatori sanitari del nostro paese, come l’ultranovantenne Silvio Garattini (lunga vita a Garattini!), presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano da lui fondato, afferma: “Sto lavorando ad articoli sulla riorganizzazione del sistema sanitario. Va ripensato la regionalizzazione e va rifondato: bisogna cambiare del tutto un sistema non adeguato per una popolazione così vecchia. E mi sto occupando anche di ricerca, questa è l’occasione per capire come non possa essere l’ultima ruota del carro nazionale coi finanziamenti più bassi d’Europa”. 


Coronavirus
di Giuseppe Denti

Molti dicono: prima pensiamo a guarire e a fermare la pandemia e poi parleremo di queste cose. Ma non è un approccio corretto. Dobbiamo iniziare a parlarne subito, non per criticare o fare polemiche o strumentalizzazioni politiche, ma per migliorare cogliendo questa grande occasione di apprendimento. Ancora una volta ci soccorre Polibio che ci illustra come i Romani, inizialmente molto deboli per mare, alla fine chiusero la partita con Cartagine con una grande memorabile vittoria navale, perché, ogni volta, i Romani imparavano dalle sconfitte a migliorare la propria organizzazione, la struttura delle proprie navi, l’esperienza dei propri equipaggi, i propri strateghi. E imparavano da subito, in tempo reale, nel corso delle battaglie. Così Polibio ammonisce: “Chi ben si consiglia deve basarsi non solo al presente ma ancor più al futuro”.
Ma non dobbiamo illuderci. Sullo stimolo del Coronavirus dobbiamo riuscire, come società, a esprimere un’energia positiva, un’imperiosa richiesta di miglioramento del sistema e di trasferimento di risorse ingenti da settori di spesa inutili se non dannosi verso la sanità e la ricerca, per fare quello che chiede Garattini e tanti altri come lui. Se non si muovono dei vigorosi anticorpi nella società non succederà nulla perché l’attuale sistema è congeniale agli interessi di molte forze politiche che, da tempo, guardano alla sanità come la greppia principale per i propri accoliti e i propri voti. Sotto questo profilo crisi epocali come quella del Coronavirus possono essere una grande occasione per migliorare. Non permettiamo che la generosità e l’eroismo del personale medico e sanitario diventi la foglia di fico per coprire le malefatte della mala politica sanitaria. Ma anche grandi occasioni si perdono (passata la festa gabbato lo santo) come abbiamo perso quella della crisi finanziaria del 2008 dalla quale siamo emersi con un sistema finanziario e bancario se possibile peggiore di prima. 



La Germania con un rapporto debito pubblico/PIL del 60% stanzia per l’emergenza Coronavirus 550 miliardi. L’Italia con un rapporto del 135% stanzia 25 miliardi. E dobbiamo dire grazie. Sono cifre che mi fanno affiorare alla memoria nitidissima una scena di inizio anni ’90 nella quale uno dei massimi gerarchi democristiani rivolgendosi a me con un sorriso furbetto mi chiese: “Ma lei pensa davvero che un elevato debito pubblico sia un problema per l’Italia?” Lo pensavo e lo penso. Ma lui non lo pensava come tanti ancora oggi non lo pensano. Eppure è questa la catena della nostra schiavitù, l’origine del nostro ricatto. Quella della crisi economica e finanziaria indotta dal Coronavirus può essere l’occasione per far capire al popolo italiano che bisogna rompere questo ricatto.  E contrariamente a quello che hanno sempre sostenuto tanti economisti di regime allineati in questo alla Banca d’Italia, bisogna farlo anche con operazioni straordinarie di grande forza sia sul fronte della spesa che sul fronte della raccolta. Deve trattarsi di una vera e propria guerra di liberazione. Nell’immediato secondo dopoguerra la classe di governo in un’Italia tanto più povera e debole di oggi, ebbe il coraggio di lanciare un grande prestito della ricostruzione che fu un grande successo e il primo grande segnale di rinascita. Il manifesto era firmato dal guardasigilli Palmiro Togliatti e diceva: “Il prestito darà lavoro agli operai. Gli operai ricostruiranno l’Italia”.