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domenica 1 marzo 2020

BIOPOLITICA, STATO, SISTEMA POLITICO
di Franco Astengo


Roberto Esposito sotto il titolo “La biopolitica e il potere” ha affrontato (La Repubblica 29 febbraio) il tema dominante nella più stretta attualità: quello dell’emergenza sanitaria.
Alcuni passaggi del suo intervento meritano di essere rimarcati proprio perché sollevano questioni di fondo:
1)Il mutato rapporto tra autonomia della scienza e della tecnica (in questo caso sanitaria) e i diversi livelli di decisionalità politica. L’egemonia della scienza e della tecnica appare fattore determinante nel definire gli equilibri a livello geopolitico;
2)L’intreccio tra politica e vita biologica (l’autore affronta l’argomento nella prima parte del suo testo) finisce con il provocare uno spostamento delle procedure democratiche ordinarie verso disposizioni di carattere emergenziale. Ciò avviene in una fase di forte crisi della democrazia liberale dovuta al processo di cessione di sovranità da parte dello “Stato-Nazione”. Cessione di sovranità avviato fin dagli anni’ 90 in due direzioni: verso il decentramento interno e verso la sovranazionalità.
In Italia il quadro complessivo è condizionato inoltre dalla debolezza del sistema ormai da molto tempo in forte difficoltà di legittimazione.
Una difficoltà di legittimazione dovuta a ragioni molto complesse legate al mutamento nella struttura politica, in particolare al riguardo del sistema dei partiti su cui si era basata per lunghi decenni la nostra identità repubblicana e la nostra vita istituzionale sia a livello parlamentare sia nelle autonomie locali. In questi giorni il nodo della decisionalità d’emergenza è apparso quanto mai intricato da sciogliere rispetto alla relazione “centro-periferia”.
Quella tra “centro” e periferia è apparsa come una frattura tornata a definirsi come “dominante” nel quadro di un modificarsi non ancora sufficientemente analizzato dell’insieme di stridenti contraddizioni che stanno emergendo nella “modernità”.
In questi giorni si è anche tentato di proporre una “Costituzione materiale” fondata sul rimodellamento della struttura dello Stato nel senso di un riaccentramento dei poteri. Un riaccentramento dei poteri addirittura minacciato da un Presidente del Consiglio capace di perpetuare sé stesso cambiando maggioranza, senza mai essere passato da una prova elettorale.
Ovviamente, negli anni scorsi, sul terreno del decentramento dello Stato e del cosiddetto “federalismo” sono stati commessi degli errori, valutando malamente proprio il riaffacciarsi della frattura “centro-periferia”. Si prenda ad esempio la frettolosa modifica del titolo V della Costituzione attuata dal governo di centrosinistra nella fase finale della legislatura 1996-2001 e la messa in moto dell’infernale macchina (mascherata dalla ricerca della stabilità di governo) dell’elezione diretta di Presidenti e Sindaci, una modifica rivelatasi fonte di sprechi immensi e di ulteriore distacco tra i cittadini e le istituzioni. Adesso, però, è in atto un tentativo di passaggio verso una situazione nella quale le leve del potere principale, quello di erogazione delle risorse, ritorna come elemento competitivo tra il potere centrale e quello locale. Entrambi i soggetti intendono usarlo ancora una volta - in funzione di una proposta di contrattazione da “scambio politico”.
Le ordinanze amministrative, emanate approfittando della presunta emergenza, stanno già (provvisoriamente?) modificando quei rapporti tra la prima e la seconda parte della Costituzione Repubblicana che avevamo, a suo tempo (referendum costituzionali 2006 e 2016), giudicato intangibili proprio per via del sottile equilibrio esistente tra diritti, doveri e attuazione delle norme in materia delle strutture operative dello Stato e della società.
Si sono così mutate le condizioni della vita quotidiana variando i canoni stabiliti della relazione tra ii necessari riferimenti di governo della cosa pubblica.
L’emergenzialità imposta dalla prevalenza della biopolitica capace di imporre una sudditanza alla politica che ha “sbiadito le proprie coordinate ideologiche” (ancora Esposito nell’articolo citato) ha così determinato uno scontro inedito tra l’esercizio del potere di decisionalità e l’incombenza dettata dai bisogni del territorio. Uno scontro sul quale si sono misurati i diversi livelli istituzionali con andamenti ed esiti perlomeno opinabili. Emergono così tutte le storture di modelli di sviluppo posti in maniera sbagliata sul piano della competizione interna e internazionale (come nel caso del Veneto).
Nel sistema politico italiano non sembrano stare più al loro posto i soggetti di intermediazione sociale, di aggregazione del consenso, di formazione dell’opinione pubblica realizzata attraverso l’esercizio di una funzione di pedagogia di massa.
Formazione dell’opinione pubblica, funzione di pedagogia di massa, aggregazione del consenso, intermediazione sociale: tutti compiti ormai affidati ad agenzie “esterne” al sistema politico.
Agenzie “esterne” operanti prevalentemente nel campo dell’illusionismo mediatico che rispondono a proprie specifiche sollecitazioni socio-economiche e agiscono per interessi di carattere sicuramente particolare, corporativo se non addirittura di natura individualistica come avviene attraverso l’utilizzo dei social network.
Tutto questo si sta verificando in assenza - tra l’altro - di quegli organismi sovra-nazionali cui erano state demandate nel tempo una parte delle prerogative statuali.
Ci sarebbe da discutere a fondo su questi temi ma pare ci si stia riducendo a schermaglie per arrivare semplicisticamente all’esercizio di un potere quanto mai effimero e inconsistente rispetto al velocissimo mutamento in atto nella realtà delle cose concrete.