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sabato 4 aprile 2020

A PIÙ VOCI
COME TI DISTRUGGO LA SANITÀ
di Elio Veltri

Elio Veltri

Un po’ di cronistoria sullo sfascio della Sanità Lombarda


Angelo Gaccione mi ha chiesto di scrivere per Odissea qualche riflessione sul Corona Virus, che anche io come la stragrande maggioranza degli italiani considero la più grande tragedia dalla fine della Seconda guerra mondiale. Mi soffermo su tre problemi: la salute dei cittadini e il sistema di sanità pubblica; i comportamenti delle mafie in situazioni come quella che stiamo vivendo; i comportamenti dell’Europa e i rischi che l’Unione corre. Ora scrivo sul primo. Mafia ed Europa, se Gaccione è interessato, li rinvio di alcuni giorni.




Sanità: gli apprezzamenti frequenti al sistema sanitario li condivido ed essendomi occupato di questo problema sia in Consiglio regionale della Lombardia che in Parlamento voglio raccontare alcuni episodi che a suo tempo ho sollevato e denunciato, diffusi in tutto il Paese, con corruzione in molte regioni, privatizzazione crescente dei servizi, infiltrazioni mafiose. Ricordo che la legge di riforma sanitaria che ha istituito il servizio sanitario nazionale è stata approvata nel 1978 e fortemente voluta dai socialisti e da Aldo Aniasi, ministro della sanità nei governi Cossiga e Forlani e poi varata da Tina Anselmi ministro del governo Andreotti. Il modello al quale avevano guardato i socialisti era il National Health Service inglese di netta impostazione laburista. Nell’attuale tragedia la legge viene molto apprezzata, ma negli anni non è stata difesa da tutte le ferite inferte che di fatto hanno determinato una consistente privatizzazione del servizio. Ne cito alcune: taglio dei finanziamenti di 37 miliardi di euro in dieci anni; ruberie e corruzioni a Roma e nelle Regioni, allungamento dei tempi di attesa per le prestazioni; controllo delle mafie in molte regioni e quindi scandali ripetuti. Accenno ad alcuni di essi verificatisi in Lombardia perché li ho vissuti e denunciati in Consiglio regionale e alla Magistratura. Racconto, facendo riferimento al mio libro Milano degli scandali scritto con Gianni Barbacetto e pubblicato nel 1991 da Laterza perché a Milano nessun editore interpellato aveva voluto pubblicarlo. Uno dei capitoli più significativi racconta comportamenti e rapporti tra la Regione e alcuni imprenditori della sanità privata, proprietari di molte cliniche convenzionate come l’ingegnere Salvatore Ligresti allora (anni ’80) in competizione con Silvio Berlusconi per il primato imprenditoriale a Milano. 


Quando il 30 luglio del 1988 in consiglio regionale ci eravamo salutati per andare in vacanza, la maggioranza dei consiglieri non immaginava neanche che la giunta, il 2 Agosto, sfidando il caldo terribile, avrebbe approvato in due ore 400 delibere per centinaia di miliardi di spesa. Come ha poi scritto il pretore Nicoletta Gandus che aveva esaminato una denuncia di Emilio Molinari, Pippo Torri e il sottoscritto: “Si può ragionevolmente supporre che la stragrande maggioranza delle delibere non sia stata né esaminata né discussa secondo una prassi corrente di reciproco affidamento fra i componenti dell’organo esecutivo”. In sintesi, il 2 di Agosto, scatta il blitz e l’assessore regionale alla Sanità presenta quattro delibere riguardanti un gruppo di cliniche private, le cosiddette Cliniche d’oro, che prevedevano l’esecuzione di nuovi trattamenti come la Litotripsia e cioè l’eliminazione dei calcoli evitando l’intervento chirurgico e utilizzando il litotritore, novità assoluta in Italia. Ma anche apparecchi per la TAC e Risonanza magnetica, cercando di programmarne il numero e le rispettive prestazioni rispetto al numero degli abitanti della Lombardia. Il problema che determinò le proteste e la ribellione di 4 assessori democristiani era l’esclusiva attenzione della maggioranza della giunta e dei consiglieri democristiani alle cliniche private che avrebbero agito in regime di monopolio rispetto agli ospedali pubblici, aggravando di oltre 1000 miliardi in otto anni i costi per la Regione. Non a caso, d’altronde, Ligresti aveva puntato sulla sanità per diventare il più ricco imprenditore milanese. Sue erano le cliniche Città di Milano, Madonnina, l’Istituto Ortopedico Galeazzi, Ponte San Pietro collocata in una zona senza ospedali pubblici e San Marco. Ogni intervento di litotripsia, compresi i giorni di degenza, sarebbe costato circa 8 milioni. Nonostante le prospettive di aggravio dei costi, dovuti ai trattamenti ai cittadini lombardi, la Regione, per far guadagnare i privati convenzionati, scrisse anche una lettera alle altre regioni italiane invitandole a inviare gli ammalati a Milano nelle cliniche milanesi convenzionate. Ne arrivarono tantissimi e considerato il costo di un trattamento circa 8 milioni di lire compresa la degenza, si consentì di ammortizzare il costo del litotritore, circa 2 miliardi, in un solo anno. A quel punto anche alcuni assessori democristiani sollevarono il problema che finì al Palazzo di giustizia. 


Volendoci vedere chiaro accertai che a Losanna, in una lussuosa clinica privata, la litotripsia epatica o renale costava alla Cassa di malattia Svizzera 2 milioni di lire e che nell’ospedale di Parigi Porte de Choisy, privato e totalmente convenzionato con lo Stato, costava l’equivalente di 800 mila lire. Molto meravigliato incontrai il medico Guy Vallancien segretario dell’Associazione nazionale degli urologi francesi, e chiesi come fosse possibile e se potesse metterlo per iscritto. Lui mi spiegò che il malato si fermava solo un giorno e dopo qualche ora di riposo la sera tornava a casa e mi consegnò la documentazione scritta. Insomma lo stesso trattamento costava 8 milioni a Milano e 800 mila lire a Parigi! Si vede che l’ingegnere Ligresti che aveva convenzionato la sua clinica Città di MiIano per la sola litotripsia, aveva argomenti convincenti nei confronti della Giunta regionale. In un primo momento Baronio, segretario della democrazia cristiana bresciana, la più importante della Lombardia, gridò allo scandalo e prese pubblicamente le distanze dai suoi assessori. Ma poi davanti al magistrato, pretore Nicoletta Gandus, visibilmente irritata, ritrattò tutto. Ma lo scandalo regionale divenne ancora più allarmante quando i tre consiglieri di opposizione (Molinari, Torri e Veltri) visitando alcune cliniche private si trovarono di fronte al problema delle attrezzature convenzionate ma inesistenti. Le cliniche San Donato, Città di Milano, Zucchi di Monza, San Pio X e Città di Brescia raggiunte telefonicamente assicurarono di avere le attrezzature convenzionate. Allora decisero di visitarne alcune: Ponte San Pietro, San Marco di Zingonia, Villa Turro, Istituto Galeazzi. A Ponte San Pietro Emilio Molinari viene ricevuto da Silvano Ubbiali potente factotum del gruppo Ligresti. Tanto che il pretore scriverà: “Ubbiali chiede e Isacchini (assessore alla sanità) tout court concede”.

Emilio Molinari

Molinari chiede: “Il litotritore?”

“È ancora imballato”

“La Tac?”

“Non c’è”

“La fotocoagulazione laser?”

“Non c’è”

“La telecobaltoterapia?”

“Non c’è”.

Dopo qualche ora Molinari visita la San Marco di Zingonia e la litania si ripete con una serie di “non c’è”. Torri e Veltri non sono più fortunati e a Villa Turro si ripete la stessa scena. E così anche all’Istituto Galeazzi, dove il direttore sanitario, abbronzato e accogliente, che mi ricorda di esserci conosciuti, dice: “Le attrezzature? Ma non saprei neanche dove metterle, stiamo allargando la clinica”. La notizia delle attrezzature inesistenti solleva un putiferio. Nel palazzo della Regione inizia uno scaricabarile delle responsabilità tra il Presidente e l’assessore alla sanità. E il 28 settembre del 1988 Tabacci si dimette. Il 17 aprile del 1989 il pretore Gandus condanna Isacchini a 6 mesi di reclusione che viene assolto in appello. Nel 1990 nuova tornata elettorale, gli elettori lo hanno bocciato.