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sabato 4 aprile 2020

A PIÙ VOCI
di Grammenos Mastrojeni* e Fiorella Belpoggi*

Grammenos Mastrojeni

Fiorella Belpoggi

“Cosa ci insegna la tragica esperienza del coronavirus?”

Ci siamo: è iniziata l’era della natura ammalata. Appena un paio di anni fa ancora non volevamo credere a una scienza che ci pareva fantascienza quando indicava che presto il clima alterato avrebbe colpito i nostri raccolti, sradicato foreste, o devastato un porto in Liguria, e altrove avviato conflitti e migrazioni. E non ci siamo neanche accorti che la stessa scienza ammoniva sui forti pericoli sanitari causati dal degrado ambientale.
Ma sono arrivati gli uragani sul Mediterraneo, è arrivato Covid-19. Benvenuti in un primo, ma forse piccolo, assaggio del mondo che ci aspetta se non cambiamo rotta e non facciamo attenzione alla casa comune Terra: crescita esponenziale degli impatti su agricoltura, territorio, sicurezza e pace; ma anche moniti su batteri resistenti a ogni antibiotico o sullo scongelamento di virus preistorici con la fusione del permafrost artico. Questa stessa scienza, che finora ha colto nel segno, certifica anche un altro fatto essenziale: abbiamo pochissimo tempo, ma possiamo ancora invertire rotta se solo comprendiamo bene cosa è successo e ne traiamo le logiche conseguenze.
Non si tratta di lodare gli aurei tempi passati, funestati da guerre, carestie e pestilenze, segnati da attese di vita alla nascita di molto inferiori alle nostre: benvenuta scienza, grazie tecnologia! Si tratta invece di cogliere il paradosso. Oggi avremmo tutto - scienza e risorse - per liberarci dai mali del passato; invece abbiamo abbracciato un sistema che questi mali ce li restituisce amplificati e invincibili, e che possiamo cambiare al solo prezzo di distribuire le risorse per vivere tutti meglio. Non serve costruire un mondo più sanitario, bensì un mondo più sano per tutti, su tutto il pianeta.
Non si può rigorosamente affermare che proprio COVID-19 sia causato dal degrado ambientale, così come non si può asserire che uno specifico ciclone sia causato dal riscaldamento globale. Ma possiamo notare che sono parte di una tendenza statistica che suggerisce, ad esempio, che AIDS ed Ebola siano entrati nel circuito umano grazie al nostro rapporto distruttivo con le foreste, o che il prossimo invincibile Super batterio nascerà in uno di quegli allevamenti crudeli ove si stipano animali, imbottendoli di antibiotici fino ad incubare la resistenza a qualsiasi farmaco. E non è un problema in più rispetto al clima o alla drammatica perdita di biodiversità; è lo stesso problema perché ha come causa gli stessi errori dell’uomo.
Ma cosa è successo? Basti pensare a come mangiamo: grazie scienza, grazie tecnologia che ci fate produrre calorie sufficienti a sfamare più di 10 miliardi di persone. Ma chi dobbiamo ringraziare se questo apparente successo si è trasformato in un sistema che spreca il 30% del cibo prodotto, depreda risorse come le foreste - diminuendo l’assorbimento di CO2 e favorendo la diffusione di Ebola - che ha indotto 1,5 miliardi di iper-mangiatori insalubri a fronte di 815 milioni di denutriti? Se orientassimo giuste dosi di tecnologia su produzioni più piccole, sovrane e locali, culturalmente ricche e varie, ne avremmo per tutti di cibo, migliore, e in abbondanza. Non solo, ma le diete sarebbero meno avvelenate, potrebbero provenire all’uomo in dosi salutari, da animali che hanno vissuto un’esistenza dignitosa e senza antibiotici, o da vegetali cresciuti in terreni sani, fertilizzati con deiezioni di animali sani, riportando il sistema agricolo alla sua dimensione, cioè quella di un sistema chiuso che non crea effetto serra poiché il ciclo del carbonio si compie senza residui. Tutto questo al posto dell’agricoltura industriale, quella degli obesi contro i denutriti, che invece è responsabile di oltre il 20% dei gas serra.
Basti pensare che un numero enorme di animali, circa 70 miliardi, vengono allevati ogni anno nel mondo per la nostra alimentazione (esclusi i pesci). In Europa, più dell’80% provengono da allevamenti intensivi: animali geneticamente selezionati per una produttività sempre maggiore, confinati in edifici sovrappopolati, dove non possono esprimere alcuno dei comportamenti naturali della loro specie. E per quanto riguarda pesticidi e fertilizzanti le cifre sono impressionanti: nel 2017 in Italia sono stati utilizzati 1,3 miliardi di Kg di pesticidi e fertilizzanti, pari a circa 100 Kg per ettaro coltivato, corrispondenti a circa 14 Kg per abitante; nel mondo ne sono stati usati 605 miliardi di Kg, pari a circa 125 Kg per ettaro coltivato, circa 80 Kg per abitante della terra, compresi coloro che non hanno nulla da mangiare.
La diseguaglianza porta il sistema Terra a uno squilibrio che si trasforma in minacce per la sicurezza, la dignità la pace e, certo, anche la salute. E vale in tutti i settori, non solo per quello dell’approvvigionamento del cibo. Se alcuni concentrano le loro vite nel produrre un reddito dedicato a oggetti che non hanno neppure il tempo di usare, mentre altri cercano brandelli di quegli oggetti nelle discariche; se ci si complica l’esistenza con tre auto in garage, mentre una donna in un villaggio dell’Africa deve fare 10 miglia a piedi per un orcio d’acqua, Madre Natura ci restituisce il conto con gli interessi. Non è una vendetta morale: la natura entra in degrado con le diseguaglianze, perché ha raggiunto il proprio equilibrio distribuendo equamente le proprie energie, attraverso milioni di anni di adattamento.
COVID-19, su questo, ci sta dando anche un’ulteriore lezione, essenziale: non c’è governo al mondo che possa risolvere il clima, la biodiversità, le pandemie, senza la libera responsabilità individuale. Restiamo tutti a casa, tocca a noi e non ai divieti: sarà anche l’occasione per fermarci, riflettere e cambiare.

*Diplomatico
*Istituto Ramazzini, Bologna