Christian Eccher conversa con Mihal Ramač
Mihal Rama |
Mihal Ramač è scrittore, pubblicista, poeta e giornalista. Ha diretto i quotidiani “Naša Borba” e “Danas”. Uomo e intellettuale coraggioso, si è opposto al regime di Slobodan Milošević e ora è molto critico verso il governo autoritario di Aleksandar Vučić. In esclusiva per “Odissea”, Mihal Ramač parla di sé, della Jugoslavia, della componente a cui appartiene, quella russina. Non mancano contatti e riferimenti alla componente italiana dell'Istria e del Quarnero.
Lei è cresciuto nella ex Jugoslavia, i
suoi genitori sono vissuti nel regno Austro-Ungarico. Lei stesso appartiene
alla componente russina che da secoli si trova in Voivodina. Come definirebbe
la Sua identità?
I miei antenati si sono trasferiti in Voivodina nel
1751 dall’attuale Ucraina tanscarpatica. All’epoca entrambe queste aree erano
sotto la Casa d’Asburgo. Nei ricordi dei miei antenati, c’erano sempre “la vecchia regione” e i Carpazi, le
montagne che avevano lasciato per venire qui, in pianura. Siamo rimasti legati
alle antiche tradizioni, prima di tutto a quelle del Natale e della Pasqua. Si
sono conservate le canzoni popolari, che sono uguali a quelle ucraine. Si è preservata anche la lingua
degli antenati, che è vicina ai dialetti occidentali dell'ucraino. Fin dalla
prima infanzia i miei genitori mi hanno insegnato che noi russini (ruteni)
facciamo parte del popolo ucraino. Anche oggi sento questa appartenenza. A
questo proposito, forse è bene precisare che i popoli dell’Ucraina occidentale
(Galizia) si chiamavano ruteni fino alla seconda metà del XIX secolo. Così li
hanno denominati le autorità asburgiche, che non volevano che si
identificassero con i connazionali che vivevano nell’impero russo. Le autorità
russe hanno a loro volta vietato il nome “ucraino”:
chiamavano gli ucraini piccoli russi.
All’epoca in in
Voivodina vivevano ungheresi, serbi, tedeschi danubiani (podunavske švabe),
slovacchi, rumeni... Il fatto che i ruteni siano cattolici di rito bizantino
(uniati), ha contribuito alla conservazione della coscienza nazionale. Questo
li differenziava sia dagli ortodossi, sia dagli evangelici (luterani) sia dai
cattolici romani; proprio questo ha fatto sì che i russini non si
assimilassero.
Ci dica qualcosa della componente rutena, come vivete
oggi, quali sono le vostre istituzioni più importanti...
Oggi ci sono circa 15.000 ruteni in Serbia. Esiste una
scuola elementare ottennale e una scuola superiore in lingua rutena. In diverse
scuole è possibile lo studio facoltativo della lingua materna rutena. Alla
Facoltà di Filosofia di Novi Sad dal 1974 esiste un dipartimento di lingua e
letteratura rutena. La casa editrice Ruskoe
slovo (La Parola Russina), finanziata dal governo, pubblica il settimanale
omonimo, il giornale trimestrale di letteratura e cultura Svetlost, la rivista mensile per bambini Vrt, la rivista mensile per giovani Mak e una decina di libri all'anno. Ho pubblicato sette libri di
poesie in ruteno.
L’appartenenza a una piccola comunità nazionale per me
non è mai stato un problema e non l’ho mai vissuta come una difficoltà. Ho
sempre scritto sia nella mia lingua madre sia in serbo - poesia e prosa. Come
giornalista ho lavorato principalmente per giornali in lingua serba. Quando si
è membri di una minoranza, è più facile prendere le distanze dalla propaganda
politica alla quale è soggetta la maggioranza della popolazione: per questo
sono stato sempre refrattario a ogni condizionamento ideologico, sia in epoca
comunista sia sotto il regime nazionalista alla fine del XX e nei primi decenni
del XXI secolo. Dal momento che non sono ossessionato dall’idealizzazione del
passato del mio popolo e dall’adorazione incondizionata di eroi e santi dei
tempi antichi, mi sembra ridicolo come in Serbia - per trent’anni - abbia
dominato un’idea falsa e immaginaria del passato vicino e lontano; mi sembra
altresì ridicolo il modo in cui i fatti storici vengano manipolati. Ad esempio,
durante l’occupazione tedesca, nel 1942, il Primo Ministro si vantava che la
Serbia fosse “il primo Stato senza ebrei (Judenfrei) in Europa” e oggi si dice
che i serbi sono sempre stati vicini agli ebrei nel corso della Storia.
Nei primi anni dopo la Seconda guerra mondiale, la
minoranza italiana ha incontrato enormi difficoltà poiché le autorità la
consideravano un potenziale pericolo per la Jugoslavia. Soprattutto dopo il ’48
(l’anno in cui Tito ruppe con Stalin), gli italiani erano in una posizione
molto difficile. Come avete vissuto voi russini quello stesso periodo?
In Serbia non sapevamo quasi nulla del destino degli
italiani in Croazia e in Jugoslavia. Ne sono venuto a conoscenza solo nel 1986,
quando ho iniziato a tradurre un’antologia di poeti italiani che vivevano in
Jugoslavia. Il curatore dell’antologia, Giacomo Scotti, ha aperto ai miei occhi
nuovo mondo: le foibe. Ero scioccato dal fatto che qualcosa del genere -
massacri e un esodo - fossero accaduti nel mio paese. Solo allora ho scoperto
che i tedeschi del Danubio proprio nella regione in cui vivo, nel nord della
Serbia, avevano avuto un destino simile a quello degli italiani. L’antologia di
cui parlavo è stata pubblicata nel 1987 con il titolo “Na udaru mora”.
La comunità rutena ha avuto l’opportunità di coltivare la
propria lingua e la propria cultura, ma a causa delle complesse relazioni
politiche fra Jugoslavia e Unione Sovietica a quel tempo, le fu impedito di
avere qualsiasi tipo di contatto con la sua madrepatria, l’Ucraina. Ciò è
cambiato solo negli anni ’90, quando l’Ucraina è diventata uno stato
indipendente. Mia figlia ha studiato a Kiev, oggi lavora come insegnante di
lingua rutena e ucraina all' Università di Novi Sad.
Lei ha studiato a Roma. Di quegli anni parla anche nel
suo libro “Zov vedrih vidika”. Ha ancora rapporti con
l’Italia? Che ricordi ha degli anni trascorsi a Roma?
Un ragazzo della Jugoslavia comunista arriva in Italia
nel settembre 1967. All’arrivo alla stazione Termini, mi aspetta Padre
Sapeljak, ultimo vescovo greco-cattolico in Ucraina. Per la prima volta vedo il
Colosseo, la Basilica di San Pietro e altri monumenti romani. Negli anni
seguenti ho vissuto in Via Boccea, al numero 480, dove c’è il Pontificio
Seminario Minore Ucraino, vicino alla stupenda chiesa di Santa Sofia. Il mio
sacerdote era Stefano Cmilj, un salesiano che, vent'anni prima in Argentina,
era stato a sua volta sacerdote di un ragazzo di nome Jorge Mario Bergoglio. Un
ragazzo di un povero villaggio della Jugoslavia comunista scopre il mondo nella
libera Italia. Legge classici romani e greci. Viaggia fra Napoli, Ravenna,
Firenze, Milano e trascorre l’estate in Val d’Aosta dove guarda meravigliato
ogni giorno il magnifico Monte Cervino. Quelle vecchie immagini sono sempre
davanti ai miei occhi.
Nel 1983, ero in Italia quando il governo cadde (il
quinto governo Fanfani, ndr). Al mio ritorno ho scritto un articolo a riguardo
sul quotidiano “Dnevnik” di Novi Sad. Mi hanno offerto di scrivere un articolo
ogni settimana sull’Italia. La mia fonte principale era il settimanale
“Panorama”, che in Jugoslavia si poteva acquistare liberamente. Compravo anche
il quotidiano “la Repubblica”, fondato dal leggendario Eugenio Scalfari. Ho
curato per alcuni anni la rubrica “Obično neobična Italija”.
Da giovane giornalista, ascoltavo spesso le notizie della
RAI a mezzanotte per scoprire cosa non fosse stato riportato dai media
jugoslavi. Per i motivi che ho elencato, l’Italia è rimasta il mio grande amore
per sempre. In questi giorni difficili ricordo spesso gli anni trascorsi in
quel bellissimo paese.
Lei è stato caporedattore di numerosi giornali, fra i
quali citiamo qui solo “Naša Borba” e “Danas”. Cosa ricorda di quel periodo? A
quel tempo, governava Milošević... C’è differenza tra il giornalismo di allora
e quello di oggi?
Nei paesi in cui al potere ci sono un solo partito e una
singola persona, non c’è libero giornalismo. Il governo cerca di soffocare in
tutti i modi i media indipendenti, quelli che non accettano di essere un mero
mezzo di propaganda. Durante il regime di Slobodan Milošević, l’attuale
presidente serbo, Aleksandar Vučić, era Ministro dell’Informazione. Oggi, usa
gli stessi identici metodi di allora. I media liberi sono sotto continua
pressione politica e sempre vicini alla bancarotta. Il regime, ad esempio,
proibisce alle aziende statali e private di fare pubblicità su tali media. Ai
giornali indipendenti viene in tutti i modi ostacolata la distribuzione nelle
edicole. Tutti e cinque i canali televisivi che utilizzano frequenze pubbliche
sono controllati dal partito al potere. La maggior parte delle emittenti
televisive locali sono sotto l’autorità governativa. Fortunatamente, è
possibile seguire via cavo l’unica televisione indipendente, N1. Si possono
guardare canali stranieri: CNN, BBC, Al Jazeera... Chiunque lo voglia davvero,
può scoprire cosa sta succedendo in Serbia e nel mondo. Tuttavia, la stragrande
maggioranza della popolazione si affida e si fida dei canali nazionali. In
termini di informazione, i cittadini serbi vivono in una situazione in tutto e
per tutto simile a quella della Russia e dei paesi dell’Asia Centrale che un
tempo facevano parte dell'URSS. Quindi, informazione oscurata e stupidità che
rimbecillisce.
Come vive questo periodo in quarantena, cosa fa e cosa
pensa di ciò che sta accadendo in Serbia in questi giorni? Emergenza,
coprifuoco, Lei è un pensionato e non può nemmeno uscire di casa...
Ho avuto un’esperienza simile durante i bombardamenti
della NATO, quando vivevo al paese. All’epoca, però, non c’erano limitazioni
alla libertà di movimento. Andavo in bici ogni giorno e stavo in compagnia, con
gli amici. Ora è vietato avere contatti. Durante i primi cinque anni di questo
secolo sono stato giornalista indipendente, quindi trascorrevo la maggior parte
delle mie giornate a casa, scrivevo e inviavo messaggi alle redazioni
giornalistiche in Serbia e all’estero. Da quando mi sono pensionato, nel 2016, traduco la Bibbia
in ruteno con mio fratello Janko, ogni giorno per qualche ora. È la prima
traduzione della Sacra Scrittura in ruteno.
Per questo, la solitudine non è per me una novità e non
mi pesa troppo. Tuttavia, prima del coprifuoco uscivo più volte al giorno a
passeggiare lungo il Danubio. Per un’ora o due mi dedicavo alla pesca, quasi
ogni giorno. Sono abituato a guardare ogni giorno il fiume che mai si ripete e
ad ammirare la sua forza e la sua bellezza. Adesso tutto questo è proibito.
In isolamento, ho tradotto la prima elegia delle
Bucoliche di Virgilio, diverse centinaia di versi della “Tristia” di Ovidio,
diverse centinaia di versi di Adam Mickiewicz...
Fortunatamente, vivo in un edificio risalente alla prima
metà del XVIII secolo che ha un lungo corridoio. Quei venti metri di corridoio
sono l’unico posto dove possa camminare. Considero l’isolamento obbligatorio
come una necessità. La cosa più difficile è che dal 15 marzo non vedo i miei
nipoti, due bambini di 8 e 4 anni. Mi dà fastidio che il regime stia usando
questo tempo per fare propaganda - una propaganda peraltro di cattivo gusto - e
addirittura per creare un culto della personalità nei confronti del presidente
Vučić. Io personalmente rido di tutto ciò, ma molte persone sono soggette a
questa propaganda martellante.
Con papa Giovanni Paolo II |
7) Il Suo nuovo libro si intitola “Notte
alla stazione Keleti”. Perché proprio Budapest e perché proprio la stazione
ferroviaria di Keleti?
Negli anni ’90, durante le guerre e le sanzioni
internazionali, dalla Serbia si poteva viaggiare per il resto del mondo quasi
esclusivamente attraverso l’Ungheria. La stazione ferroviaria di Budapest è
stata il primo incontro con il mondo libero per decine di migliaia di rifugiati
dall’ex Jugoslavia. Successivamente, sono andato all’estero diverse volte,
principalmente in Ucraina o nella Repubblica Ceca: per questo, ho trascorso
diverse ore in quella stazione o all’aeroporto di Ferihegy. Dietro questo
titolo ci sono quindi ragioni sentimentali.
Il tema principale delle storie di questo libro sono le
guerre, sia quelle di cui mi raccontavano i miei nonni, sia quelle che ho
vissuto personalmente. Scrivo di come i bambini e la gente comune vivano le
guerre, le ingiustizie sociali, la dittatura; scrivo di persone intossicate dal
potere...
Come scrittore, sono stato plasmato principalmente dalla
mia educazione in Italia, ma anche dal crollo del Comunismo, dalla nascita del
sistema multipartitico nei paesi dell’Europa orientale, dal tempo dello
sciovinismo e dalle guerre nell’ex Jugoslavia. Ho scritto tutto questo come
giornalista per anni, ora osservo tutto ciò e lo descrivo attraverso poesie,
racconti e saggi.